Eurocomunismo triangolo rotto di Aldo Rizzo

Eurocomunismo triangolo rotto OSSERVATORIO Eurocomunismo triangolo rotto Nella Madrid dove, il 3 marzo 1977, si svolse lo storico incontro tra Berlinguer, Carrillo e Marchais. si è avuta la conferma che'l'eurocomunismo è ormai una storia (un problema, un'ipotesi) che riguarda solo italiani e spagnoli, mentre i francesi hanno ceduto al «fascino discreto dell'archeocomunismo», come lo definisce Jean Elleinstein, il critico più severo, e ormai quasi il solo, dell'involuzione «clericale» del partito di Marchais. Sia Berlinguer che Carrillo, nella manifestazione per i sessantanni del partito spagnolo, hanno lasciato cadere ogni riferimento al pcf, praticamente estraniandolo, o prendendo atto che esso si era estraniato, dal «progetto» eurocomunista. Già nella riunione di Roma, del 26 gennaio, quando i leaders del pei e del pce dichiararono il loro «comune giudizio di riprovazione» per l'intervento sovietico in Afghanistan, mentre Marchais a Mosca lo giustificava in forme plateali, si era capito con chiarezza che il triangolo eurocomunista aveva perso uno dei suoi lati: se c'era qualche dubbio residuo, esso ì\ è ora dissolto. (L'adesione del pcf, del resto, era sempre stata guardata con sospetto, per la sua repentinità e per l'insufficiente dibattito interno che l'aveva accompagnata). Contemporaneamente, è parsa rivitalizzarsi una propaggine remota, ma significativa, dell'eurocomunismo, quella rappresentata dal .partilo giapponese, per via del messaggio che uno dei suoi maggiori dirigenti, Kenji Miyamolo, ha trasmesso al «meeting» di Madrid. A parte le affermazioni, scontate, sulla via democratica al socialismo, ha col¬ pito la denuncia della «grave violazione della sovranità nazionale dell'Afghanistan» e soprattutto l'impegno a «non permettere mai più che si manifesti l'egemonismo in seno al movimento comuni•sta». Egemonismo, fra l'altro, è termine di estrazione cinese, di quella Cina dalla ■quale Berlinguer è appena tornato: quanto di meno piacevole per le orecchie dell'Urss. Saranno dunque i giapponesi a prendere il posto dei francesi nel triangolo rotto dell'eurocomunismo (se così si può ancora chiamare)? Naturalmente, non è questo il punto: benché i comunisti di Tokyo abbiano in comune con italiani e spagnoli il fatto di agire in società industriali moderne e di affrontarne i problemi e le sfide, il contesto geopolitico resta troppo differente. Valgano invece due osservazioni. La prima è che l'eurocomunismo, quello residuo, è ormai sempre più portato a identificarsi con la strategia che in Italia si chiama del «compromesso storico». Allontanatesi le illusioni e le complicazioni dell'alternativa di sinistra in Francia, sia Berlinguer che Carrillo hanno rilanciato la via della solidarietà nazionale, in chiave progressista, come la sola idonea a trasformazioni socialiste nella democrazia (e lo stesso ha fatto, per la parte che gli compete Miyamoto). L'altra osservazione è che sempre meno bisognerà considerare l'eurocomunismo come un «centro» o un'alleanza di partiti; sempre più esso è una ricerca politica e ideologica, che va giudicata per i risultati oggettivi che consegue. Aldo Rizzo Carrillo e Berlinguer: in Giappone il «terzo partner»