Quand'era Super K della diplomazia

Quand'era Super K della diplomazia Quand'era Super K della diplomazia D primo tomo delle memorie di Henry Kissinger. pubblicato in Italia dalla SugarCo quando già erano celeberrime e discusse in tutto il mondo (Gli anni della Casa Bianca, 1150 pagine in fittissimi caratteri di stampa per condensare le 1521 dell'originale, al prezzo di 16 mila lire), mi ha fatto rivivere le molte, spossanti ore trascorse all'aeroporto moscovita di Vnukovo in attesa che vi atterrasse il quadrigetto bianco e azzurro delle U.S. AirForccs. «Super K»>, come Io chiamavano allora i magazines americani che gli dedicavano in media tre copertine l'anno, viveva praticamente su quell'aereo con lo stuolo di assistenti, segretarie, addetti alle comunicazioni, agenti del servizio segreto e l'immancabile drappello di dieci giornalisti, che lo seguiva in tutte le missioni in un rapporto di simbiosi così stretto e irripetibile tra statista e cronista che alcuni hanno finito inevitabilmente per legare le loro fortune professionali alIVeroe» del quale cantavano le gesta (i fratelli Kalb della Cbs. o Valeriani dcila Nbc, per citare tre autori di libri di successo). Tra ripetuti negoziati con Leonid Breznev («un uomo insicuro, segretamente afflitto da un senso dì inferiorità, che cercava a volte di mascherare con una sorta di spacconeria chiassosa e tiranna", secondo l'azzeccato giudizio di pagina 887), navettes mediorientali, trattative parigine per il Vietnam e altri viaggi Kissinger ha trascorso su quel Boeing 707 più tempo che nella villa di Georgetown o negli uffici dalla moquette giallo-paglierino della' Casa Bianca o del Dipartimento di Stato. Di tutti i viaggi di Kissinger a Mosca — una media di 2.7 l'anno tra il 1972 e il 1975 ne ho mancato uno soltanto, il primo, il 20 aprile 1972, che gettò le basi della storica visita di Nixon in maggio e dell'intera, breve ma intensa, love story russo-americana. La Tass. l'agenzia ufficiale sovietica, ne dette l'annuncio quando il «dottor Kissinger» (come veniva chiamato nei comunicati ufficiali Palloni assistente del Presidente per i problemi della sicurezza) era già tornato a Washington. Ma quel viaggio fummo in molti a mancarlo, compresoja cob Beam, un signore alto e distinto, padrone di un bellissimo schnauzer (erano due figure inscindibili, tanto che sem bravano somigliarsi l'un l'ai tró). che ricopriva la carica di ambasciatore americano a Mo sca. Il viaggio era stato talmen te segreto che neppure l'amba sciata ne era stata informata e Kissinger, a pagina 900 delle memorie, ricorda che il compito meno gradevole di quella missione fu proprio di informare, a cose fatte, Jacob Beam, «un serio professionista che (...) durante il suo mandato a Mosca si era comportato con grande abilità, competenza e modestia». Piuttosto che mettere al corrente l'ambasciata, Kissinger preferì usare, per comunicare con la Casa Bianca durante quei tre giorni, le sofisticate apparecchiature ricetrasmittenti del suo leggendario aereo, atterrato e parcheggiato in un remoto aeroporto militare a più di un'ora di automobile da Mosca: una procedura scomoda, e anche snervante perché i russi disturbavano regolarmente le frequenze, rendendo scadenti trasmissione e ricezione. Se l'estrema segretezza del precedente viaggio a Pechino può trovare una giustificazione anche nella mancanza, a quel tempo, di rapporti diplomatici tra la Cina e gli Stati Uniti, nel caso della missione a Mosca la riservatezza spinta fino a nascondersi all'ambasciatore e preferire la radio di un aereo alle apparecchiature in codice dell'ambasciata suona sfiducia profonda, fino al disprezzo, nella diplomazia tradizionale. Rivalità tra National Securiry Council e Dipartimento di Stato? Dissensi e gelosie personali tra Kissinger e l'allora segretario di Stato Rogers («a quell'epoca i nostri rapporti si erano fatti così tesi che non c'era neppure da pensare di lavorare insieme», a pag. 880)? Egocentrismo ed esibizionismo di Kissinger, spinto sempre a cercare le soluzioni più spettacolari proprio come un Nembo Kid della politica internazionale, secondo la celebre raffigurazione di una copertina di Newsweek} In realtà dietro la clamorosa villania fatta all'ambasciatore Beam c'è una delle tre o quattro questioni fondamentali proposte dalle memorie di Kissinger alla meditazione di storici e politologi (non è vero, per inciso, che questo sia soltanto un libro cronistico-aneddotico, come ha superficialmente osservato qualcuno, per chi sa leggerlo in controluce è un libro problematico): l'obsolescenza della diplomazia quale canale di rapporto tra governi e strumento di soluzione delle crisi. Non si dura molta fatica, a mano a mano che la lettura procede, a capire qual è l'opinione di Kissinger. che sottolinea continuamente la contrapposizione tra il lento, impacciato burocratismo del Dipartimento di Stato alla scattante, intuitiva efficienza del suo ristretto (ed arrogante) gruppo di collaboratori: Helmut Sonnenfeldt e William Bill Hyland, Peter Rodman e Winston Lord, Brent Scowcroft e Lawrence Eagleburgcr. Perfino vestendo i panni dello storico, nelle tre pagine di «Premessa» al primo tomo di memorie. Kissinger sembra provare fastidio per la diplomazia, sinonimo di «proliferante burocrazia» e di «archiviazioni obbligatorie», che rischiano di sommergere lo storico facendogli perdere una visione d'assieme e razionale dei fatti o il filo conduttore di avvenimenti apparentemente slegati. Certo nessuna diplomazia tradizionale avrebbe mai potuto realizzare, almeno in tempi tanto brevi e con sittanta audacia, i tre capolavori della diplomazia kissingeriana, così gustosamente raccontati (avendo Kissinger un senso dell'umorismo almeno pari alla sua eccezionale acutezza di osservatoré) in questo primo volume di memorie: la normalizzazione dei rapporti con la Cina, il primo trattato sulla limitazione delle armi strategiche (Salii e la creazione di un rapporto privilegiato con l'Urss, gli accordi di pace per il Vietnam. Certo, nell'era della comunicazione istantanea, delle linee calde aperte ventiquattr'ore su ventiquattro, delle telecopiatrici e dei jet supersonici, occorre chiedersi se un manipolo di supernen in movimento perpetuo, coadiuvati da un efficiente sistema di elaborazione centralizzata dei dati, non sia più efficace ed incisivo di una pletora di ambasciatori e di ministri consiglieri, di primi, secondi e terzi segretari. Ma si può anche rovesciare l'analisi e chiedersi se sia stato Kissinger a creare le circostanze per i suoi successi, oppure se non siano state le circostanze contingenti che hanno consentito a Kissinger di raggiungere certi risultati. Alla fine degli Anni Sessanta, quando egli cominciò ad affacciarsi sulla scena mondiale, non più come professore universitario, bensì come «creatore di politica» (policy maker), la situazione internazionale poteva essere racchiusa nella celebre formula a lui attribuita: 2X 1/2 + Y Z. dove le due potenze sono Usa e Urss, la mezza potenza è la Cina, le incognite Y e Z sono Europa e Giappone. Allora tutto si riduceva ad un rapporto bipolare, tra Russia e America, con qualche correttivo tripolare del tutto strumentale (la Cina, o anche l'Europa e il Giappone). Allora, e per alcuni anni in seguito, Kissinger sembrava; nel giusto quando affermava, partendo dal presupposto che «l'imponente monolito degli Stati totalitari nasconde spesso la loro latente debolezza", che «sta a noi definire i limiti delle mire sovietiche» (pag. 108). Sicché una politica è riuscita quando combina «entrambi gli elementi: incentivi alla moderazione sovietica (quali gli accordi economici) e penalità per l'avventurismo (come una ferma reazione degli Stati Uniti, compreso l'appoggio militare agli amici che resistono alle pressioni sovietiche o cubane o radicali)» (pag. 97é). Ma la situazione si è bruscamente ribaltata nella seconda metà degli Anni Settanta (mai. forse, nella storia moderna la seconda metà di una decade è stata così sconvolgentemente diversa dalla prima) ed ora la formula kissingeriana dovrebbe aggiungere alle «2X 1/2» una serie infinita di incognite tale da renderla praticamente irresolubile. Kissinger vuol far credere di ritenere che ciò sia dovuto, in massima misura, al fallimento del rapporto bipolare Usa-Urss per «il collasso dell'autorità esecutiva americana dopo il caso Wa terga te. lo sgretolamento della leadership politica perfino in seno al Congresso, la tendenza all'isolazionismo determinata dalle frustrazioni dell'esperienza vietnamita e la volontà, sempre più diffusa del nostro Paese, di rinunciare all'impegno di un controllo nell'ambito geopolitico», mentre a | Mosca «le precarie condizioni di salute di Breznev hanno forse consentito a uomini più energici di programmare (...) una nuova sfida nei confronti dei Paesi occidentali» (a pag. 892). In realtà la frustrante esperienza mediorientale (dove mai gli riuscì pur con lunghe e spettacolari shuttles tra II Cairo e Gerusalemme. Damasco e Amman, di imporre la «sua» soluzione) e la stessa lacerante vicenda vietnamita avrebbero dovuto insegnare a Kissinger i limiti della politica bipolare di fronte alle sfide delle potenze medio-piccole in scacchieri complessi. Lo stesso Kissinger riconosce ora (e sono questi i vantaggi dello storico, che valuta retrospettivamente, sul politico, che opera contingentemente) che «le maggiori potenze nucleari sono in grado di rovinarsi a vicenda, ma trovano parecchie difficoltà a far pesare il loro potere sulla soluzione dei problemi che più facilmente insorgono. Possono usarlo come deterrente in caso di minaccia alla propria sopravvivenza, ma non sono necessariamente in grado di ricorrervi per imporre la propria volontà. Le nuove capacità distruttive si sono rivelate difficilmente convertibili in minacce credibili anche nei confronti di Paesi che non posseggono mezzi di ritorsione» (a pag. 65). Di fronte a questa complessa realtà (si pensi all'Iran e agli ostaggi), che finisce per stimolare una nuova competizione tra le grandi potenze (si pensi all'Afghanistan, anche all'Africa, al Golfo Persico, al Sud Est Asiatico e allo stesso Medio Oriente), basterebbe oggi un Nembo Kid della diplomazia, con la «K» di Kissinger stampata sul torace robusto, che vola da un continente all'altro su un Boeing 707, per risolvere i problemi e riportare ordine nel mondo? paolo Gannitici ti