«Scioperi ed enormi oneri finanziari ecco perché la Finsider è in perdita»

«Scioperi ed enormi oneri finanziari ecco perché la Finsider è in perdita» Concludiamo l'inchiesta sul grave dissesto deiriri «Scioperi ed enormi oneri finanziari ecco perché la Finsider è in perdita» A colloquio con i big dell'acciaio di Stato: «Paghiamo 1000 miliardi di interessi passivi all'anno; la ricapitalizzazione Finsider è urgente» - «L'impianto Italsider di Taranto? Saremmo disposti a rifarlo» ROMA — «E' una notizia superata, le cose si sono aggiustate, non stia a ripeterla: dobbiamo andare d'accordo coi sindacati». Il segretario generale della Finsider, Vincenzo Cappiello. si preoccupa di una indiscrezione che il presidente Alberto Capanna si è lasciato scappare. E cioè, che proprio il giorno dopo aver raggiunto l'accordo per la ristrutturazione dell'acciaieria, a Cornigliano era scoppiato uno sciopero dovuto al fatto che la produzione, grazie alle innovazioni tecnologiche era aumentata (con in prospettiva il raddoppio da 1,1 milione di tonn. a 2.2 milioni) mentre il livello della manodopera non seguiva la stessa progressione. Un'altra indiscrezione «inopportuna»: lo sciopero generale del 15 gennaio è costato alla Finsider 10 miliardi. Detto questo, la combattività sindacale —sulla quale torneremo — non è la causa principale del disastro Finsider, il pozzo mangia-soldi dell'Iri. Eppure, malgrado questo primato negativo, c'è un certo orgoglio negli uomini dell'acciaio che, con Alberto Capanna alla testa, hanno accettato di rispondere alle nostre domande. Quanto perdete? «1 debiti sono di 8000 miliardi. Ma i nostri sono debiti che si vedono. Basta guardare Taranto, Cornigliano, Piombino. I francesi, tanto per fare un esempio, hanno debiti come i nostri, ma non si vedono». Quest'anno quanto perdete? «Quest'anno 526 miliardi, l'anno scorso 509». A cosa è dovuta questa emorragia? «All'80 per cento al problema finanziario. L'anno scorso abbiamo pagato solo d'interessi 900 miliardi. Oggi la siderurgia è in crisi ovunque ma tutti ci riconoscono che, assieme ai giapponesi, abbiamo gli impianti più moderni del mondo, maestranze e dirigenti capaci. Avremmo tutto il diritto di stare in piedi». E perché, invece, siete il settore dell'Iri che perde di più? «Abbiamo seguitato a fare investimenti. Ma questo è stato un titolo di merito. Oggi Taranto non costerebbe 3000 ma 10 mila miliardi. Certo non abbiamo avuto il capitale adeguato: all'incirca 6 lire su 100, mentre la quota giusta sarebbe stata di un terso. Così, invece, ci siamo indebitati». Non era il caso di muoversi con più prudenza? « Chi poteva immaginare la crisi petrolifera? Chi il crollo del consumo dell'acciaio? Chi i tassi al 20 per cento? Nel '74 alla Conferenza mondiale dell'acciaio si prevedeva un miliardo di tonnellate di consumo e, tenuto conto degli impianti ormai senescenti, si calcolava di dover costruire acciaierie per 600 milioni di tonnellate. In Italia l'euforia era anche basata sul fatto che il consumo tra il '50 e il 74 era aumentato di dieci volte e non accennava a smettere. Ora, anche guardando indietro, e pensando alla intuizione di Sinigaglia che portò gli altiforni sul mare, dobbiamo ribadire che industrialmente abbiamo visto giusto. Guai se non avessimo fatto gli impianti». E dov'è allora l'erróre? «L'ho già detto: nella sottocapitalizzazione, per cui quest'anno diamo alle banche 1000 miliardi: Ecco dove finisce il nostro dividendo. Ebbe¬ ne, lo Stato ci dia oggi i soldi che non ci ha dato ieri. Guardi cosa ha fatto il governo francese: ha ridotto gli oneri finanziari al 5 per cento del fatturato. Su 4500 miliardi di debiti gli interessi sono stati ridotti allo 0,1 per cento per cinque anni e all'I per cento per gli altri cinque anni. Il debito è stato poi consolidato all'8 per cento. Se noi avessimo lo stesso rapporto tra oneri finanziari e fatturato saremmo andati in attivo giù dall'anno scorso. Tutti i Paesi, i belgi, gli inglesi, hanno avuto i contributi per pagare gli interessi. Noi no». Si, ma vi sono anche imprese siderurgiche in Germania, e in Giappone, che se la cavano senza aiuti. Come mai? «Perché quelli non hanno gli scioperi. Nel '79 con sette mesi di scioperi abbiamo perduto un milione e mezzo di tonnellate e 350 miliardi di fatturato. Dal '69 abbiamo perso in scioperi 2500 miliardi di lire. Noi abbiamo avuto due condizioni negative: la mancanza di capitali di rischio e la produzione danneggiata dagli scioperi. Ecco spiegata la differenza con tedeschi e giapponesi. Eppure noi e i sindacati dovremmo, anzi dobbiamo, essere dalla stessa parte della barricata». Ma i rapporti non sono migliorati? «Si. A Cornigliano, ad esempio, che è oggi una delle più belle acciaierie d'Europa, la ristrutturazione è stata fatta d'accordo con un comitato sindacale che ha dato un contributo prezioso. Altre volte viene fuori il finimondo per spostare 100 o 200 persone. E noi non chiediamo di licenziare messuno, ma solo di avere maggiore mobilità. Nel frattempo i francesi hanno smobilitato Thionville, messo in disarmo la Lorena e licenziato 42 mila persone, in Inghilterra la cifra è di 100 mila, i tedeschi sono sotto del 20 per cento. Da noi si sono rotte le trattative perché alla Dalmine volevamo spostare 60 persone da una lavorazione all'altra». La ristrutturazione del settore, comunque, sta andando avanti? «Come ho detto, Taranto è fra i migliori impianti del mondo, Cornigliano rinnovata è partita dal 1° aprile, a Piombino è entrato in marcia il treno vergella e l'altoforno, a Bagnoli l'accordo è stato fatto, il reparto acciaieria è modernizzato mentre restano ancora bloccati i laminatoi, a Campi l'accordo è stato fatto, alla Terni restano da assorbire 360 persone. Problema più serio è invece la Dalmine perché è entrata in crisi la produzione di tubi, come tutto l'acciaio elettrico che oggi costa più di quello d'altoforno». Come mai? Non si era detto sempre il contrario? «Il fatto è che mentre l'energia elettrica e il rottame hanno avuto una impennata di' prezzo, il carbone e il minerale di ferro sono rimasti piuttosto stabili. 'Dal punto di vista globale della Finsider questo m'induce a un certo ottimismo». E sulla ricapitalizzazione è ottimista? Cosa crede che avverrà? «Lo vorrei chiedere a lei. L'ipotesi è che ci diano per il 1° luglio almeno 1500 miliardi, che è una cifra insufficiente perché su 9000 miliardi d'investimento avremmo bisogno almeno di 3000 miliardi per sfuggire alla morsa delle banche. Noi, le ripeto, possiamo tornare a dare utili e dividendi. Solo che oggi paghiamo 3 miliardi al giorno d'interessi: su un chilo d'acciaio die costa 300 lire ce ne sono 40 d'interessi. Se lo Stato trova il modo di sgravarci di questo peso andiamo in attivo, anche perché il mercato sta andando bene». Con tutti i guai che mi ha descritto, non pensa che sarebbe stato meglio importare l'acciaio e non aver fatto Taranto? «Mai. Non sarebbe stata una scelta degna di un Paese industriale. Se dovessi scegliere ancora una volta tra tutto quello che è successo e aver fatto Taranto, preferisco aver fatto Taranto». Mario Pir ani . (3, fine. Oli articoli precedenti sono stati pubblicati 11 24 e 11 29 aprile)

Persone citate: Alberto Capanna, Mario Pir, Sinigaglia, Vincenzo Cappiello