Caseifici in sciopero e si distrugge il latte

Caseifici in sciopero e si distrugge il latte L'agitazione dei lavoratori alimentaristi Caseifici in sciopero e si distrugge il latte Alcuni parlano di miliardi di danni in Lombardia - I sindacati si sono impegnati a far stoccare il latte, ma le cisterne sono ormai colme - Imminenti altri scioperi? DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — Lo sciopero degli alimentaristi, soprattutto di quelli che lavorano nelle aziende di trasformazione del latte, ha gettato nel caos il settore lattiero-caseario, già messo a dura prova dalle importazioni, che avvengono a prezzi più bassi di quelli nazionali, provenienti dalla Germania e dalla Francia. L'altro ieri gli alimentaristi hanno scioperato per ventiquattr'ore, bloccando i ritiri di latte che vengono fatti dalle industrie alimentari. Secondo alcuni esperti, migliaia di quintali di latte giacciono inutilizzati presso le aziende agricole lombarde (soprattutto nelle province di Milano e Cremona): si parla di miliardi che ogni giorno vanno in fumo. E' vero tutto ciò? Lo chiediamo ad Agostino Mantovani, direttore della Federazione lombarda delle Unioni agricoltori (Confagricoltura). «Il problema non è forse ancora così drammatico, ma è certamente grave, perché s'intersecano nello stesso momento alcune componenti negative». Mantovani ricorda un incontro, avvenuto qualche tempo fa alla Regione Lombardia, tra l'assessore all'agricoltura, Vercesi (che si sta attivamente interessando alla vertenza), i rappresentanti degli agricoltori, degli industriali e i sindacati alimentaristi. Questi ultimi avevano detto che, in caso di sciopero, avrebbero fatto il possibile perché una materia prima cosi deperibile come il latte venisse ritirata e stoccata, o iniziasse la prima fase della lavorazione, per evitare la perdita del prodotto. Ora lo sciopero c'è stato, dice Mantovani, e tutti insieme abbiamo tentato di non far distruggere il latte. Ma lo stoccaggio ha un limite, che coincide con la capienza delle cisterne: quando queste sono piene, non c'è più nulla da fare. Si può, sì, fare la cagliata ma anche in questo caso bisogna che al più presto (comunque non oltre quattro, cinque giorni) seguano le altre lavorazioni per il formaggio, altrimenti si butta tutto. Sembra che in alcune parti del Comasco, si sia distrutto molto latte, ma anche in altre zone si è ormai al limite della capacità di stoccaggio. Se, come si teme, la prossima settimana ci saranno altri sciope ri, migliaia di quintali di latte andranno a male, con la per dita di miliardi. (In Lombardia si produce un terzo di tutto il latte italiano). Una delle province più colpite da questa situazione è quella di Cremona. Il diretto re dalla locale Unione agricoltori. Mazzini, afferma che glagricoltori sono stati messnell'impossibilità di consegnare il latte, che in parte andato perduto. Chiediamo a Mazzini che cosa intendono fare gli agricoltori. «In questa vertenzamanteniamo una posizione di neutralità — dice —, però lo sciopero degli alimentaristnon deve danneggiare le aziende agricole. Il latte che noi consegniamo ci deve essere pagato, anche se le aziende non possono ritirarlo o lavorarlo». Ma le aziende pagheranno? La vertenza degli alimentaristi si inserisce in una situazione molto pesante del mercato del latte, soprattutto a causa delle importazioni—dice Mazzini — di latte e for maggi che vengono fabbricati con latte sofisticato, cioè latte in polvere che dovrebbe essere destinato all'alimentazione dei vitelli, e che invece viene riciclato e lavorato nei caseifici. Mazzini afferma che sarebbe necessario inserire in questo latte un «tracciante», cioè un rivelatore: potrebbe trattarsi di un colorante innocuo, un bel viola che colorasse il latte destinato agli animali, in modo che i caseifici non lo possano lavorare. Ma solo l'Italia è favorevole a questa misura, gli altri Paesi della Cee non la vogliono, perché diminuirebbero le loro esportazioni di latte e formaggi nel nostro Paese. (Il consumatore italiano qualcosa di utile potrebbe farlo: acquistare solo prodotti nazionali). La crisi del latte dura da mesi e ha avuto già gravi ripercussioni su una importante produzione lombarda: quella del grana padano (il cugino povero del parmigiano reggiano). Poiché il grana resta invenduto, secondo le norme della Cee è intervenuta l'Alma (Azienda di Stato per gli interventi sui mercati agricoli), ritirandone 100 mila quintali. Questo formaggio sarà stoccato e per qualche mese il mercato del grana verrà tonificato. «Ma non so che cosa accadrà — dice Mazzini — tra cinque, sei mesi, quando il grana dovrà essere venduto». (Questo formaggio, a differenza del parmigiano reggiano, non può essere conservato più a lungo). «Se fosse immesso sul mercato, ci sarebbe un crollo dei prezzi». Forse sarebbe utile un'iniziativa analoga a quella presa dal Consorzio Parmigiano Reggiano, che a Natale e a Pasqua ha ceduto grossi quantitativi di Parmigiano alla grande distribuzione a una cifra bassa, ma a condizione che fosse messo in vendita a prezzo prefissato. Livio Burato

Persone citate: Agostino Mantovani, Livio Burato, Mantovani, Mazzini, Parmigiano

Luoghi citati: Cremona, Francia, Germania, Italia, Lombardia, Milano