Genova: i presunti «ideologi» Br contestano difensori e processo di Vincenzo Tessandori

Genova: i presunti «ideologi» Br contestano difensori e processo Gli imputati vogliono andarsene dal dibattimento Genova: i presunti «ideologi» Br contestano difensori e processo «Nulla ci lega più a questo procedimento» - «La nostra scelta non è però una rinuncia» - Minacce ai carabinieri - «Berardi fu ucciso da pressioni spaventose» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE GENOVA — E' il processo di contestazione, che forse dovrebbe sostituirsi ai processo di guerriglia, troppo pesante da sostenere. Per sottolineare le irregolarità presunte dell'istruttoria, gli intellettuali impegnati nella sinistra di base e sospettati di essere gli «ideologi» delle Brigate rosse genovesi dicono di volersene andare dal dibattimento, disinteressarsi "alla sentenza che, assicurano, sarà «di probabile condanna». L'eco sommessa dei drammi che si è trascinata dietro questa istruttoria arriva nel seminterrato dov'è l'aula magna del palazzo di giustizia, a Piccapietra. Ombre sullo sfondo di questa vicenda: l'assassinio di Guido Rossa, sindacalista dell'ltalsjder; Francesco Berardi, «postino» bierre, suicida a Cuneo; i quattro terroristi uccisi in via Fracchia; l'ordine di arresto e poi il suicidio dell'avvocato Edoardo Arnaldi, che difendeva molti fra gli imputati, e poi l'arresto dell'altro difensore, Gabriele Fuga, che lo aveva sostituito come patrono in molte posizioni. Sono le 9,25 quando Luigi Grasso e Massimo Selis consegnano un documento al presidente della Corte, Giuseppe Quaglia. Più tardi Grasso potrà leggerlo. Afferma: «Noi detenuti comunisti, essendoci chiesti che cosa ci legasse ancora a questo processo, siamo giunti a una conclusione semplice'' e chiara, quasi ovvia: più nulla, assolutamente nulla, quasi stupiti che dopo tante lacrime e sangue, le assurdità e le sofferenze da cui esso è segnato e macchiato, si potesse ancora pensare di esercitarvi un ruolo protagonista, amiche quello assegnatoci fin dal giorno dell'arresto, delle comparse*. Un processo inutile perché scontato, sostengono Selis e Grasso, che militò nel gruppo luddista di Gianfranco Faina, ora indicato come ideologo di Azione rivoluzionaria. L'accusa vuole Grasso anello di congiunzione fra Brigate rosse e Azione rivoluzionaria, fra i marxisti leninisti e gli anarchici che hanno scelto la via del terrorismo. Via dall'aula, dunque, come per una rinuncia a battersi. Nel documento, tuttavia, ciò viene negato: «Non si interpreti comunque la nostra scelta di oggi come una rinuncia». Il linguaggio del documento è paludato, retorico: «Tutto sarà detto al popolo. Non certo al popolo del capitale, ma alla vasta comunità di coloro che desiderano il rovesciamento radicale dell'attuale società e si battono nelle forme più diverse per raggiungere questo obiettivo*. Lo spazio che avevano posto fra sé e i militanti clandestini, quindi, sembra assottigliarsi, anche se responsabile di questo cambiamento, sostengono gli imputati, è il potere, sono gli arresti anche fra gli avvocati: «Lo Germania è davvero vicina*. L'aula è silenziosa. Il pubblico, già poco numeroso forse per i molti controlli di sicurezza a cui veniva sottoposto, si è ancora assottigliato. Gli imputati, dichiarato di non voler i difensori d'ufficio, avvertono di non volerne nominare di fiducia, si scagliano su quello che più di ogni altra cosa sembra essere il loro nemico, che non sembra essere lo Stato borghese, ma i carabinieri. Loro hanno costruito l'inchiesta, dicono alcuni imputati: «Hanno tentato di costruire supertestimoni per cosi dire pentiti sema riuscirvi. Non ci sono riusciti con Berardi, prima violentato e poi "ucciso" da pressioni spaventose*. Il tema è ripreso anche da Enrico Fenzi, già docente di letteratura italiana alla facoltà di lettere di Genova, indicato, sia pure senza nome, proprio da Francesco Berardi come colui che cercava proseliti per le Bierre all'Italsider. «A Genova non ci sono i Caselli, i Calogero, i Vigna, i Gailucci: qui tutto è stato e continua ad essre saldamente in pugno ai soli carabinieri che hanno trovato nel giudice istruttore Bonetto il loro dili¬ gente anche se non intelligente notaio*, scrive il professore in un documento firmato anche da Walter Pezzoli e Isabella Ravazzi. Non è difficile indovinare, da parte di questi intellettuali borghesi che si autodefiniscono «proletari» la sensazione, meglio il timore di essere degli isolati^ Il processo ci sarà, dice Fenzi: «Non mancherà neppure il pubblico. Il pubblico degli onnipresenti carabinieri, s'intende, ma anche quello degli ammiratori dei carabinieri, dei tifosi, degli amanti dei carabinieri. Ci riferiamo ai cosi detti sindacalisti che vengono in quest'aula avidi di emozioni forti e di condanne esemplari, affascinati dallo spettacolo del potere, smaniosi di servirlo e applaudirlo*. Sono queste le ultime parole che, forse, abbiamo udito in aula da parte di cinque imputati che l'accusa non considera secondari. Il processo è rinviato a domani, quando verranno nominati i patroni d'ufficio e, forse, si deciderà una nuova sospensione per consentire ai nuovi difensori la lettura delle carte. Ma il senso politico del processo è apparso chiaro oggi. E non è sfuggito. Vincenzo Tessandori

Luoghi citati: Cuneo, Genova, Germania