Chi rivede le spese del Parlamento?

Chi rivede le spese del Parlamento? DIBATTITO SULLA CORTE DEI CONTI Chi rivede le spese del Parlamento? Un nuovo nodo si presenta al pettine della politica costituzionale italiana: la Corte dei Conti pretende di controllare le spese del Senato, della Camera dei deputati, della Presidenza della Repubblica e della Corte Costituzionale. I quattro organi costituzionali sembrano non disposti a farsi rivedere le bucce, perché ritengono che la Corte dei Conti non possieda una competenza che viene rivendicata per la prima volta dopo più di un secolo di storia. Argomenti «morali» a sostegno della pretesa non mancano. L'obbligo della «resa dei: conto», secondo un fervido as- ( settore delle tesi della Corte (A. Sorrentino), soddisfa a un «bisogno dello spirito»: né i tesorieri degli organi costituzionali potrebbero vantare un'esenzione a causa della posizione di vertice degli organi stessi senza violare la regola dell'eguaglianza di trattamento. L'opinione pubblica vuole che chi amministra denaro pubblico si senta obbligato (e orgoglioso) di dover dire come ha speso quel denaro. ** La querelle tra organi costituzionali e Corte dei Conti ha origini lontane. Quella Corte ha due facce, l'una del control-1 lore degli atti dell'esecutivo e' degli enti sovvenzionati dallo Stato, e l'altra del giudice contabile. La Costituzione infatti le dedica due diverse norme: l'una (art. 10d) quale organo; ausiliario del governo (o piuttosto del Parlamento), l'altra ! (art. 10J) quale organo giuri-1 sdizionale speciale. Nell'ambi-! to della seconda funzione, di- ; versa dalla prima, rientrano i giudizi contabili a carico di chiunque faccia il «tesoriere» di denaro pubblico. Tali giudizi intendono accertare la «regolarità delle operazioni finanziarie delle entrate e delle uscite (del denaro) o delle operazioni di carico e di scarico (delie materie)». Dice la Corte che essa non si riterrà perciò autorizzata in nessun caso a estendere la sua indagine a monte delle operazioni materiali di entrata é di uscita, è cioè a sindacare la gestione dei fondi attribuiti agli organi costituzionali: con ciò mettendosi al riparo da ogni accusa di attentato all'indipendenza degli organi stessi. Si tratta di una tesi originale, che era stata sostenuta nel 1958 e poi ripresa nel 1969 da S Buscema: secondo questo autore, il giudizio di conto «non si può trasformare in uno. strumento di controllo sugli ordinatori della spesa». Sugli organi costituzionali «per evidenti motivi politici» la Corte non avrebbe modo di esercitare il controllo ex art. 100, mentre quei motivi non sarebbero sufficienti a far ritenere inoperante il controllo giudiziario di carattere contabile ex art. 103. Ma che forza hanno tali argomenti contro una prassi fermissima, che nega l'ingresso della Corte in Parlamento e che risale al periodo statutario? Che valore' hanno di fronte ai lavori dell'Assemblea costituente dai quali si desume chiaramente la volontà dei costituenti di confermare le prerogative di totale indipendenza delle Camere, così come eranoi state riconosciute dalla consue tudine nelle democrazie parla mentarir' Certo, al di'là dell'arido linguaggio delle leggi, i presupposti perché il soggetto pubblico che ha il maneggio del pub blico denaro debba rispondere ci sono: la Corte Costituziona le l'ha detto nel 1971 in una sentenza che la Corte dei Con ti richiama. Ma qui nessuno sostiene che chi riscuote o paga non debba dar conto di ciò che fa a chi gli ha ordinato l'operazione, la questione è se, trattandosi di organi costituzionali, e perciò sovrani, possa intervenire o no dal di fuori, a chiedere il conto al tesoriere, un giudice, per quanto indipen dente esso sia o possa essere. La Corte dei Conti ha chiesto il rendiconto di otto (bini, dal 1969 al 1977, ai tesorieri dei quattro organi: può costituire o no, questo intervento di un giudice esterno, un attentato all'autonomia conta bile che pacificamente si riconosce agli organi costituziona li. in quanto espressione indi spensabile della loro indipendenza e sovranità? Questo è il nocciolo della questione. Alcuni scrittori sono interve-' nuti, in un senso o nell'altro. | In dissenso con la Corte, S. To-' si e F Cosentino, il primo dei quali trova inutile e illegittima la pretesa della Corte, il secon-ì do propone, in luogo di uni rppp inefficiente . controllo meramente giuridico, di vecchio stampo, un moderno controllo sul rendimento della spesa pubblica (il che mi trova concorde, anche se dubito che esso possa essere applicato alle spese degli organi costituzionali). La Corte Costituzionale sembra anch'essa orientata contro la pretesa dell'altra Corte: nel 1975, nel 1971 e nel 1968 essa ha affermato, in linea generale, che l'attività degli organi costituzionali è sottratta al controllo della Corte dei Conti, ap-i punto perché un riscontro! esterno comprometterebbe il! libero esercizio delle funzioni supreme loro attribuite. Ma quando il riscontro esterno assume la forma giudiziaria, secondo me interviene. argomento decisivo che, conduce a escluderlo tassativamente: giudizio vuol dire possibilità di ordini e di sanzioni, non solò nei confronti dei tesorieri, ma anche degli uffici, che sostanza si troverebbero in posizione di soggezione rispetto alla Corte dei Conti, in flagrante conflitto con l'indipendenza di cui essi fruiscono. La Corte, infatti, «può non soltanto intimare all'agente la resa del conto, ma può condannarlo a una pena pecuniaria, alla compilazione d'ufficio del conto, e può persino proporre la sospensione e la destituzione» (Buscema); e in fase istruttoria ha tuti poteri previsti dai codici processuali, ivi compreso probabilmente quello di accedere negli uffici per rinvenire gli atti che intende acquisire. E' compatibile un tale inter-. vento autoritativo con, la posi-1 zione sovrana degli organi costituzionali? E' difficile rispondere positivamente. Una questione affine sta per essere decisa dalla Corte Costituzionale nei confronti del Senato, in tema della «giurisdizione domestica» che esso ha nei confronti' dei suoi dipendenti; e anche in quel caso, l'argomento che sembra insuperabile è quello della inconcepibilità dell'ingresso in Senato del magistrato del lavóro, che — dopò di ave re magari travoltò il principiò della inviolabilità della sede delle Camere — imponga al limite la riassunzione di un dipendente licenziato. La Corte dei Conti richiama in proposito l'ordinanza della Corte di Cassazione che ha interrogato su questo argomento la Corte Costituzionale: ma non si cura di attenderne la decisione. In verità ci sono alcune aree che la Costituzione, esplicitamente o no, sottrae al controllo giurisdizionale: la giustizia politica, il contenzioso sulla eleggibilità dei parlamentari,' sulle autorizzazioni a procedere, sull'accesso al mezzo pubblico radiotelevisivo, sul finanziamento dei partiti, la giurisdizione domestica degli organi costituzionali sui propri dipendenti. La ragione è chiara: sovranità vuol dire indipendenza da qualunque organo esterno nell'esercizio di ogni funzione, fra l'altro anche allo scopo di proteggere il segreto o la riservatezza degli atti interni. ^ Tosi ci dice che gli organi costituzionali intendono sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale il «conflitto di attribuzione» nei confronti della Corte dei Conti per questa sua pretesa. Non ne sono lieto. Non sarà questo né il primo né l'ultimo conflitto fra i poteri dello Stato: ma poteva essere evitato. Sorrentino dice che la Corte dei Conti dà prova di se rietà e di responsabilità per avere avanzato la sua pretesa dopo tanti anni di «travaglio»; a me pare invece che la tesi della Corte, involgendo un controllo soltanto sulla fase finale della spendita del denaro pubblico, e a carico solo dell'agente contabile e non già di eh ha ordinato la spesa, sia un di scorso bizantino che non tote ressa nessuno. Sulla questione giuridica, di certo elegante, si sprecheranno anni e energie, mentre tutte due le Corti navigano in montagne di arretrati: la Corte Costituzionale è quasi al collasso per effetto del prò-1 cesso Lockheed, la Corte dei Conti dà con ritardi paurosi i risultati, ormai totalmente inutili, del controllo sugli enti sovvenzionati dallo Stato. Certo, l'esigenza morale di vedere dove finiscono le somme spese dagli organi anche se costituzionali sussiste: ma essa può e deve essere soddisfatta mediante la compilazione di bilanci pubblici intelligibili. Si provveda inoltre a imporre una seria pubblicità dei bilanci dei partiti politici, che oggi sono compilati in modo sommario e controllati solo f iniziamento, dal Parlamento. Ma un giudice estraneo che metta il naso in quelle contabilità e che ci dica, dopo anni, come la pensa, o punisca un contabile, violerebbe l'indipendenza e darebbe alla pubblica opinione informazioni tardive e inutili. Paolo Barile

Persone citate: Buscema, Cosentino, Paolo Barile, Sorrentino