Il somalo bruciato vivo fu ucciso da agenti segreti del suo Paese?
Il somalo bruciato vivo fu ucciso da agenti segreti del suo Paese? Il processo per r orrendo delitto davanti ai giudici di Roma Il somalo bruciato vivo fu ucciso da agenti segreti del suo Paese? ROMA — Quattro ragazzi che passano di sera dalle parti di piazza Navona non hanno motivo di uccidere con il fuoco un «barbone» che dorme ubriaco sotto i portici. Ma se in realtà il «barbone» è un esule politico, se nel suo paese aveva svolto funzioni di rilievo nell'apparato governativo, ecco che qualcuno può avere invece interesse ad ucciderlo. Secondo Nur Giama esule dalla Somalia, quel qualcuno è un agente del nuovo governo somalo, un killer di Siad Barre. Ali Ahmed Giama, l'uomo di colore morto tra le fiamme a Roma la sera del 22 maggio scorso, sarebbe stato ucciso da agenti dei servizi segreti del suo Paese. «Prima di morire — ha raccontato ieri Nur ai giudici della corte d'assise — Ali mi aveva raccontato di minacce ricevute da agenti di Siad Barre e di un tentativo di rapimento fallito per un soffio». La testimonianza del somalo ha avuto certamente grande effetto sui giudici popolari. Ieri il processo era alla quarta udienza, e fino a quel momento gli interrogatori degli imputati e dei primi testimoni non avevano fornito alcun elemento di giudizio. Marco Rosei, Roberto Golia, Marco Zuccheri e Fabiana Campos (i quattro giovani accusati dell'omicidio) avevano ripetuto caparbiamente di non essere stati loro a passare quella sera da piazza Navona. Gli avventori di un ristorante, che avevano assistito alla scena, avevano descritto la ragazza vista di spalle mentre si allontanava a bordo di una moto. Nessuno però aveva visto qualcuno avvicinarsi al «barbone» che dormiva sdraiato per terra. Ieri mattina la testimonianza di Nur Giama ha fornito per la prima volta ai giudici popolari una chiave d'in terpretazione diversa. Ali Ahmed non sarebbe stato ucciso da quattro ragazzi «be ne» in vena di bravate, ma da agenti somali che hanno voluto un'«esecuzione» atroce dunque esemplare. Nur Giama, capelli brizzolati, vestito di grigio, è arrivato davanti ai giudici in manette. Da nove mesi è in carcere, per aver tentato di uccietere a Roma il- rappresentante del nuovo governo-somalo presso le Nazioni Unite. Un tentativo che probabilmente gli costerà altri anni di carcere, ma che ha accreditato ancora di.più presso i giudici popolari la teoria di un «intrigo internazionale». Parlando in inglese, Nur Giama ha fornito con l'aiuto di un interprete la sua ricostruzione. -Avevo incontrato AH la sera stessa della sua morte, intorno alle 20,30. Era nei pressi della stazione, in compagnia di. Hassan Hussein, il figlio dell'ambasciatore di Somalia a Gibuti». Il teste ha raccontato ancora di aver conosciuto molti anni prima il somalo arso vivo: entrambi avevano lavorato in uffici governativi nel vecchio governo somalo. Ali Giama nel ministero degli Esteri, Nur in quello della Programmazione. Con il col¬ pvsrucf po di Stato di Siad Barre avevano lasciato la Somalia quasi contemporaneamente, per rifugiarsi in Italia. -Ahmed mi aveva raccontato più volte di tentativi degli uomini di Barre per convincerlo a rientrare in Somalia. Una volta era sfuggito per caso ad un tentativo di rapimento: due uomini di colore avevano tentato di caricarlo a forza su un'auto. Poco tempo dopo, era stato avvicinato da un agente che cercava di convincerlo a tornare in patria, minacciando altrimenti ritorsioni contro i suoi famigliari». Nur Giama ha fornito anche i nomi di altri due somali, che avrebbero raccolto con lui le confidenze di Ahmed. I giudici hanno accolto le richieste della difesa, ed hanno deciso di citarli oggi come testi. Nel corso dell'udienza sono stati ascoltati i periti d'ufficio (hanno confermato che il somalo fu cosparso di un liquido infiammabile che non era benzina da autotrazione) e alcuni testi secondari. In particolare il proprietario ed un cameriere della birreria «Giuliani» hanno confermato che la sera del delitto gli imputati lasciarono il locale intorno alle 23.30. Mezz'ora prima, cioè, di quanto i giovani hanno sostenuto
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