Demolite a Ventotene le caserme fasciste dev'erano confinati Pertini e Di Vittorio di Remo Lugli

Demolite a Ventotene le caserme fasciste dev'erano confinati Pertini e Di Vittorio Sparisce (in nome del turismo) un pezzo di storia del ventennio Demolite a Ventotene le caserme fasciste dev'erano confinati Pertini e Di Vittorio Con loro si trovavano al domicilio coatto Secchia, Terracini, Ernesto Rossi, Spinelli - Un ex milite li ricorda: «Dovevo seguire sempre Pertini a tre passi di distanza e ascoltare tutto quello che diceva» ISOLA DI VINTOTENE — Il bulldozer s'avventa contro un tronco di muro ancora in piedi e i blocchi di tufo si rovesciano al di la, la pala li raccoglie, li spinge avanti nel gran mucchio delle macerie. Un lavoro di demolizione come tanti altri. No. Questo bulldozer sta demolendo un pezzo della storia italiana. Quelli che crollano sono i muri della città confinaria, i padiglioni che ospitarono, dagli Anni 30 alla caduta del fascismo, gli antifascisti che Mussolini aveva qui relegati in confino coatto, i nomi maggiori della sinistra italiana, molti dei quali avrebbero poi contribuito a rifare l'Italia democratica, come Pertini, Di Vittorio, Secchia, Terracini. Rossi, Spinelli. E' una Ventotene che scompare, una testimonianza drammatica che lascia il posto a uno spiazzo sul quale sorgeranno attrezzature per l'infanzia. Le costruzioni erano cadenti: soffitti crollati, muri pericolanti, locali diventati ricettacolo di un turismo non gradito e Comune e Demanio statale si sono. accordati per l'operazione. Rimarrà un semplice monumento che è stato eretto il 2 giugno '78, nel trentesimo anniversario della Costituzione: un pezzo di muro con una finestra munita di inferriate e una lapide. Ricorda le -virtù umane e civilU dei perseguitati -sotto la dura repressione del regime autoritario» e la loro 'Vita di sacrificio e di studio preparandosi alla lotta per un'Italia rinnovata nella libertà.. Ventotene è a 28 km dalla costa continentale, tra Ischia e Ponza, ha una superficie di 1,3 kmq, il suolo d'origine vulcanica: un blocco di tufo stretto e lungo posato in mezzo al Tirreno. E a fianco, a meno di 2 km, c'è risoletta di Santo Stefano già sede del penitenziario borbonico, chiuso nel 1965, dove erano1 stati rinchiusi anche Pertini e Terracini. La tradizione confinaria di Ventotene si perde nei tempi: in epoca romana vi erano state relegate Giulia,' Agrippina, Ottavia; ai primi del '9001 confinati comuni, poi i militari della «compagnia di disciplina». E' nel '32 che i fascisti la scelgono per trasferirvi i confinati politici di Ponza, Ustica, Lipari ecc. Si costruiscono in fretta i capannoni per le camerate, una dozzina, e la caserma per la Mvsn, la milizia. La cittadella riceve, i primi ospiti nel '33 e via via si popola sempre più, arriva a 800 unità, di cui una ventina di donne; mentre gli abitanti sono un migliaio. Poi ci sono gli «altri», quelli che devono sorvegliare, pedinare, ascoltare: 200 militi fa¬ scisti, 70 carabinieri, 60 agenti di ps. La vita dei confinati sta tra la prigionia totale e la mezza libertà: chiusi con il lucchetto dalla sera alla mattina, liberi di uscire di giorno, ma con una serie lunghissima di limitazioni. Alberto Jacometti, nel suo libro «Ventotene», riempie una pagina.per scrivere quello che non si poteva fare: ad esempio, non sedersi in un caffè, non giocare a carte, non parlare con i parenti degli altri confinati, non intrattenersi con i ventotenesi, non entrare nelle loro case, non spedire più di una lettera la settimana; e poche righe per dire quello che era ammesso: dormire o passeggiare anche tutto il giorno nei luoghi consentiti, leggere e scrivere, giocare a dama, portare i pantaloncini. Racconta Luigi Bosco, 64 anni, allora barbiere: «Le strade del centro storico sembravano un formicaio, animate sempre da questo incessan- te andirivieni. Il percorso era breve, molte strade avevano agli imbocchi una garitta con un milite: loro non potevano, passare, delusola conoscevano solo una piccola porzione.. I confinati percepivano un sussidio giornaliero, prima di 6,5 lire, poi di òtto lire, col quale dovevano mangiare e vestirsi. Si erano suddivisi in gruppi che corrispondevano alle diverse idee politiche, comunisti, socialisti, comunisti dissidenti, anarchici, Giustizia e Libertà, federalisti, ecc., ognuno dei quali aveva una sua mensa autogestita. Qualche confinato era riuscito a trovarsi una occupazione: arrotino, ciabattino, commerciante, Pietro Secchia aveva un negozietto di cancelleria, s'era anche messo a dipingere, Di Vittorio coltivava un pezzo di terra. Alcuni erano «speciali» e come tali dovevano essere guardati a vista, seguiti da un milite ih ogni loro movimento: tra questi, Pertini, Secchia, Terracini. Con Annibale Taliercio, consigliere comunale, 62 anni, percorro la passeggiata dei confinati. Oltre la piazza Castello c'è la piazzetta XX Settembre delimitata da un muretto che s'affaccia sulla spiaggia, ma non ci arriviamo. Bisogna fermarsi a una decina di metri. «Qui c'era il limite invalicabile: E11 si resta col desiderio di sapere che cosa ci sarà di sotto, oltre il muretto. Dal basso arriva il frusciare ritmico dell'onda sulla spiaggia, ma non si può vedere niente altro che il mare lontano all'orizzonte é, sulla destra, uno sperone di i oc eia. Dalla piazza saliamo per via Ulivi. Ma ci sono solo case, usci e finestre di gente che, allora, non poteva parlare con quel passanti. «Se scoprivano qualcuno intrattenersi con i confinati, i militi li denunciavano.. La stradina procede tra due muretti di tufo; più oltre, si, ci sono gli ulivi e le altre piante dell'isola, le carrube, la vite, i fichi d'India e, negli orti, fave e lenticchie. Ma un verde lontano, irraggiungibile: bisogna girare per una traversa, raggiungere la parallela via Calanave e tornare indietro. Il giro è già finito, siamo di nuovo sulla piazza. Un percorso fatto e rifatto, mille, centomila volte, ossessionante. Nella piazza c'è la trattoria di Amelia Taliercio. Anche a quell'epoca vendeva «cibi cotti». -Venivano, comperavano, ma non si sedevano, noi scambiavamo le poche parole indispensabili. Di tanto in tanto ai familiari erano concessi permessi di soggiorno nell'isola per brevi periodi e in quelle circostanze i confinati potevano dormire con loro in una stanza presa in affitto.. Incontriamo un anziano contadino con una zappa in spalla. Qualche ricordo sui confinati? SI, ce l'ha. E' Antonio Matrone, 72 anni, ex milite, uno di quelli che facevano l'ombra di Pertini, Terracini ecc., gli «speciali». Premette la scusa: -Sa, mi ero arruolato per fame, nella milizia prendevo 560 lire al mese, 18 lire al giorno, che erano proprio tante, dato che per Ventotene erano già molte le 10 lire che prendevano loro. Il nostro compito era quello di seguirli 'a tre passi" e di ascoltare quello che dicevano. Erano gentili, qualche volta ci facevano tribolare, si mettevano a correre, per esempio. Ricordo Pertini, un giorno che pioveva: lui che camminava, camminava, con l'ombrello, e io dietro, senza.. Di Pertini Matrone ricorda anche come seppe, il 26 luglio '43, frenare gli entusiasmi dei confinati, costituire una commissione per trattare con la direzione e far in modo che i militi non subissero ritorsioni. il bulldozer, dunque, cambia faccia all'isola. -La nostra aspirazione è quella turistica — dice Annibale Taliercio Dobbiamo fare qualcòsa per dare a Ventotene un'immagine diversa da quella del confino». Ma di confino, nuovo, ancora si parla. C'è qui, dal giugno '79. un presunto Br, inviato dal consigliere istruttore Gallucci di Roma. E' libero di fare quello che vuole, di muoversi ovunque nell'isola, ricevere ospiti, ma deve essere tallonato, guardato a vista dai carabinieri. Ce ne sono 18, esclusivamente per questo servizio, lo seguono passo pei* passo, due alla volta, bivaccano di notte in strada, davanti alla sua stanzetta che è a fianco di quella nella quale Secchia vendeva matite e quaderni. A volte lui esce in tuta da footing e si mette a correre lungo stradine e sentieri e loro dietro, con giberne alla cintola e moschetto a tracolla, sudati, affannati. Remo Lugli