La grande riforma di Craxi di Vittorio Gorresio

La grande riforma di Craxi Taccuino di Vittorio Gorresio La grande riforma di Craxi Io mi ricordo che verso la fine del 1979 l'onorevole Craxi pubblicò su»'Avanti! la proposta di «una grande riforma» dello Stato. «Grande» era aggettivo appropriato poiché la riforma avrebbe dovuto abbracciare l'intero «ambito istituzionale, amministrativo, economico-sociale e morale». Il segretario del partito socialista metteva in discussione tutto l'assetto organizzativo dello Stato italiano, e giustamente affermava anzitutto la necessità del riordino della pubblica amministrazione, non èssendo pensabile alcuna politica di programmazione e di riforma qualora non si disponga di un apparato statole efficientemente operante. E' cosa che può apparire ovvia o addirittura banale, ma era molto importante che un politico di alto rango — per la prima volta nella storia della Repubblica — fosse passato dalle consuete preoccupazioni tattiche e di breve periodo a considerazioni strategiche sui ^futuri possibilu del nostro Paese. Di tale salto di qualità, Sandro Petriccione riconobbe a Craxi il grande merito, in un articolo apparso nel fascicolo ottobre-dicembre della bella rivista di Giuseppe Galasso intitolata Prospettive Settanta. Non meno pregevoli i contenuti della proposta craxiana per la ^grande riformat: egli a esempio proclamava che l'interesse della collettività non si difende con arcaiche impostazioni statalistiche («fonti di diseconomia e di corruttela») ma piuttosto mediante la sburocratizzazione delle attività produttive. Ci si poteva vedere il suggerimento di un'inversione di tendenza; ci si coglieva l'eco di quel neo-liberismo di cui sono assertori alcuni partiti socialdemocratici dell'Europa settentrionale, e che negli Stati Uniti d'America ha preso il nome di deregulation. A coronamento della sua proposta Craxi rotondamente dichiarava che per restituire credibilità allo Stato, e così garantire la governabilità del Paese, era pregiudiziale una modifica degli atteggiamenti eticopolitici invalsi in Italia e {perciò concludeva che una «riforma morale» era l'imprescindibile complemento delle necessarie trasformazioni economico-organizzative. Pareva quasi un'anticipazione del binomio capacità-onestà che successivamente sarebbe stato formulato da Pertini: per Craxi era un bel titolo di gloria. La proposta di Craxi, tuttavia, cadde nel vuoto l'anno scorso, o per dir meglio si impantanò nel paludoso sottofondo delle manovre precongressuali democristiane. E pazienza: le proposte giuste debbono essere presentate nel momento giusto, e Craxi aveva solo sbagliato il tempo. Ma la buona occasione è poi venuta con le trattative per il nuovo governo, e mi stupisce molto che in una circostanza come questa nessuno abbia sentito più parlare della «grande riforma» dì Craxi Non risulta difatti che egli l'abbia messa sul tavolo dei negoziati, facendone la condizione sine qua non per l'ingresso del suo partito nel Cossiga 2. Dove è finita la «riforma morale»? Abbiamo avuto la sensazione che sulla tanto bella sua sceneggiata di buoni propositi sia calato il sipario. Si è fatto silenzio attorno alle motivazioni etico-apolitiche del rinnovo dello Stato, ed è affatto mancato quel serio dibattito culturale che l'anno scorso, Craxi aveva auspicato, anzi mostrato di voler promuovere. Accontentandosi del cospicuo piatto di lenticchie di nove ministri e diciotto sottosegretari nel Cossiga 2, egli parrebbe aver venduto la sua primogenitura di grande riformatore: che peccato per lui e per ilpsi. Peccato anche per l'Italia, tanto bisognosa di riforme, di etica rivalutata, di impegni culturali. E invece Craxi non ha solo cessato di parlare di etica e cultura, ma di concerto con Formica in questi giorni sta sbaraccando il centro culturale 'Mondoperaio*, e già ha tagliato i fondi alla rivista omonima che ne era l'organo. Il centro e la rivista erano il fiore all'occhiello del partito socialista, ne assicuravano la presenza nel mondo della cultura italiana, erano quanto di meglio il socialismo possa offrire oggi agli studiosi, agli intellettuali agliideologi, ai politologi, ai sindacalisti. «Non ci sono i soldi», avrebbe detto Formica, ma la scusante non è credibile, avanzata da un uomo che in veste di amministratore del psi ha dato tante prove di saperne trovare per ogni evenienza. Lui stesso, d'altra parte, avrebbe aggiunto riferendosi al centro culturale Mondoperaio: «Si tratta di un club privato, per che mai il partito dovrebbe finanziarlo?». Qvesto è assai più plausibile: gli intellettuali di Mondoperaio avevano difatti saputo conservare una dignitosa autonomia dal segretario politico e dal segretario amministrativo del partito, e così la vendetta si può spiegare. Resta il fatto, però, che proprio Craxi nel 1978 aveva programmato l'autonomia di Mondoperaio, ed il suo braccio destro Claudio Martelli aveva allora teorizzato la figura dell'intellettuale ^disorganico*, affine al partito ma non integrato nelle sue strutture, e quindi critico, libero di dissentire, anzi «con il dovere di dissentire» come sostenne a suo tempo Martelli in un convegno a Milano. Poi, alla prova del dissenso, il trio FormicaCraxi-Martelli ha cambiato opinione. L'errore è grave. Partito alla conquista dell'intellighenzia italiana nel 1978, lanciatosi nel 1979 nell'im presa di una «grande riforma» etico-politico. Craxi nel 1980 ha mollato tutto pur di saltare sul band-wagon di un governo purchessia. E' un giorno triste per il socialismo italiano.

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