Quando Pio VII giunse in catene di Vittorio Gorresio

Quando Pio VII giunse in catene In carrozza chiusa, tra i gendarmi Quando Pio VII giunse in catene i o o o -, E' stato Pio VII l'ultimo Papa venuto a Torino prima di Giovanni Paolo n. Più di centosettanta anni fa egli vi giunse o vi passò tre volte — in novembre del 1804, in aprile del 1805. in luglio del 1809 — mai però per sua libera determinazione bensì costrettovi sempre da Napoleone, un imperatore che impartiva ordini anche al romano Pontefice. Cosi Torino fu soltanto una tappa nel viaggio di Pio VII alla volta di Parigi dove egli era stato comandato all'incoronazione di 3onaparte in Notre Dame. Lasciata Roma il giorno di Ognissanti del 1804 con sei cardinali al suo seguito, il Santo Padre fece soste a Radicofanl, Firenze, Pistoia e Modena, evitando Bologna, una città che gli era stata tolta a termini del trattato di Tolentino: «/{cardinale Antonellì dirottamente piangeva per tenerezza», ha scritto A. P. Artaud, scrupoloso cronista di quel viaggio. A mezzanotte del 12 novembre il Papa era a Torino, e il pomeriggio del giorno seguente dalla loggia centrale di palazzo Madama benedisse i fedeli che lo acclamavano in piazza Castello. Era stanchissimo, anche se consolato dall'accoglienza popolare, trionfale. Comunque, scrisse a Napoleone chiamandolo «dilettissimo figlio in Gesù Cristo»: «Fedeli alla nostra promessa, affrettiamo il più che siaci possibile il nostro viaggio, per soddisfare al Vostro desiderio: ma la fatica e la lunga e penosa corsa d'ieri, lo stato pessimo delle strade, e tale mancanza di cavalli che ci separa ancora da una parte del nostro corteggio che non è ancora qui giunta, ci costringono a riposarci un giorno in Torino Pareva volersi scusare, chiedere un permesso, e Napoleone gli mandò in risposta poche righe che erano un invito ad affrettarsi: «Ho con la più viva gioia sentito dalla .lettera di Vostra 'Santità, in nata di Torino, ch'ella trovafoasi in buona salute. Sono impaziente di sapere come abbia Sopportato gli incomodi del \passaggio delle montagne. Ho fidanza che nella corrente settimana avrò il contento di vederla...». E allora Pio VII a rassicurare Napoleone in una lettera che gli scrisse da Cogne: «I nòstri segretari non ci hanno per anco raggiunti; e perciò siamo obbligati a stancare Vostra Maestà colla lettura de'nostri proprii caratteri: del che Vostra Maestà vorrà scusarci..». Poi, a Parigli-!» cose andarono come si sa: il 2 dicembre in Notre Dame Napoleone «salì sui gradini dell'altare, prese la corona e se la pose in testa. Quindi dato di piglio a quella dell'Imperatrice tornò a lei e l'incoronò». Il povero Pio VII aveva dunque fatto tutto quel viaggio per vedersi ridotto al ruolo di spettatore. Per qualche mese restò a Parigi quasi in ostaggio e solamente dopo Pasqua, in aprile del 1805, «la partenza del Papa era stata finalmente permessa». Napoleone, che scendeva in Italia per farsi incoro- tPaidtsmatcMddgqqrspslspentvd ò o o i . e - , a tiare a Milano re del nostro Paese, aveva dato a Pio VII appuntamento a Torino, ma il Papa ve lo aspettò invano durante la sua seconda sosta torinese che cosi resta senza storia. Rassegnato, a quel mancamento di parola, Pio VII andò a Parma da dove scrisse gentilmente a Napoleone: «Se la certezza di rivedere Vostra Maestà in Torino ci ha fatto differire dallo scrìverLe per darLe nostre notizie, non vogliamo trascurare di far ciò quest'oggi prima di partire da questa città, certi di soddisfare alle tenerezze e alle sollecitudini che Vostra Maesà mostra di avere per noi...». Da un punto di vista evangelico era assai meritoria questa disposizione del Papa a porgere l'altra guancia all'imperiale schiaffeggiatore, ma da un punto di vista politico era un eccesso di remissività destinato ad accrescere la tracotanza di Napoleone, come si vide quattro anni dopò, 1809. La notte fra il 5 e il 6 luglio di quell'anno Pio VH difatti fu arrestato in Quirinale da militari francesi comandati dal generale Radet, fatto salire su una carrozza, e via alla volta della Toscana con la scorta di gendarmi a cavallo come allora si usava nella «traduzione» di un detenuto. Gli sportelli della carrozza erano chiusi dall'esterno, le tendine dei finestrini abbassate, e il cardinale Pacca che era compagno di sventura di Pio VII racconta: «Si continuò còsi il viaggio chiusi nel legno, quasi senz'aria neileore più cocenti dell'ardentissimo sole di luglio». Al Papa e al cardinale era stato impedito di prendere bagaglio; viaggiava il Papa in mozzetta e stola, il cardinale in mantelletta, rocchetto e mozzetta, senza nemmeno una camicia di ricambio. Pazientemente disse Pio VII citando il monito di Cristo agli apostoli: «Nihil tuleritis in via, ncque panerà, neque duas tunicas, neque pecuniam». Nella borsa del Papa c'era infatti soltanto una moneta da un «papetto» e tre «grossi» in quella di Pacca, trentacinque bajocchi in tutto, veramente pochissimo. I due patirono la sete, il caldo li opprimeva, e nella tappa a Radicofani gelarono: «Non avendo vesti da cambiarsi, ci convenne tener quelle che avevamo tutte molli e bagnate dì sudore che all'aria fredda, che sempre ivi domina anche nel cuor della state, ci si asciugarono in dosso». Una volta, presso Firenze, la carrozza ribaltò e si ruppe l'assale: «La cassa andò in mezzo alla strada restando il Santo Padre di sotto ed io sopra — ha scritto il cardinale Pacca — ma si rimase poco in questa situazione perché una folla di popolo piangendo e gridando "Santo Padre!" alzò in un momento la cassa del carrozzino». Il Papa disse con mestizia: «Mi accorgo bene che costoro con tutti questi strapazzi cercano di farmi morire, e prevedo che io non potrò per lungo tempo durar questa vita». Tre giorni di riposo gli furono concessi ad Alessandria, dal 14 al 16 luglio, e li trascorse vigilato a vista da un ufficiale dei gendarmi, sempre nella sua stanza. Finalmente, partenza per Torino, ma il centro della città fu scrupolosamente evitato. Racconta Pacca che il cambio dei cavalli fu fatto a Moncalieri, «a due miglia da Torino, e per una strada scorciatoia si giunse a Rivuti ch'era già notte». Si era sparsa la voce che Napoleone stava facendo tradurre in Francia anche il re spodestato Carlo Emanuele IV, cosicché «negl'entrare nel paese, appena sentito il rumor delle carrozze, si videro all'improvviso de' lumi nelle finestre e in tutte le botteghe, ed uscir dalle case varie persone parimenti con lumi in mano che circondarono le carrozze e domandarono "Dov'è il nostre re, dov'è il nostro re?"». Il re non c'era, c'era un povero Papa quasi settantenne, avviato in Francia a una prigione che doveva durargli fino al 1815. sei tristi anni nella storia del Pontificato romano. Checché si senta dire, 1 tempi sono oggi di gran lunga migliori per la Chiesa. Vittorio Gorresio