Il credito bifronte

Il credito bifronte L'inchiesta sui finanziamenti all'industria Il credito bifronte Occorre un riordino generale fra lo Stato, le banche e il sistema delle imprese MILANO —La crisi dell'apparato produttivo successiva al rialzo dei prezzi del petrolio del 1973 è stata affrontata sostanzialmente in due modi: allargando progressivamente i trasferimenti finanziari dello Stato alle imprese pubbliche e private in difficoltà e cercando di scaricare una parte del peso del salvataggio sulle banche attraverso la legge sui consorzi. Nel primo caso l'intervento si è cosi esteso da rappresentare, con 15 mila miliardi quest'anno, il 38 per cento del fabbisogno del settore pubblico allargato, una delle principali cause di inflazione. Nel secondo caso i consorzi non sono riusciti a sorgere e a funzionare dove maggiore sarebbe stato il bisogno, disseminando il Paese di dissesti aziendali che scaricano nuove perdite sullo Stato e le banche che debbono poi rivolgersi allo Stato per rafforzare le proprie difese patrimoniali. Il punto d> arrivo di questo processo degenerativo non può essere che una crescente inflazione con il conseguente scardinamento di tutto l'apparato industriale e finanziario, progressivamente risucchiato nell'universo dell'economia assistita. E' forse venuto il momento di pensare a un riordino generale che prenda lo spunto dalla crisi dì questi anni ma si ponga l'ambizioso obiettivo di ridefinire compiti, ruoli, finalità, della finanza pubblica, delle partecipazioni statali, degli istituti di credito, per avviare, come dice Franco Bonelli, uno dei più acuti storici dell'economia, un nuovo meccanismo di sviluppo e di accumulazione che sostituisca quello entrato in crisi. Un riordino che potrebbe procedere, grosso modo, lungo quattro direttrici. Prima di tutto un quadro preciso e dettagliato dei trasferimenti statali contenuto in un rapporto che, come in Germania, consenta a governo e Parlamento di esprimere un giudizio sulla coerenza fra sistema delle sovvenzioni e politica economica e al tempo stesso offra un supporto per le decisioni relative alla futura politica degli aiuti pubblici. Il primo rapporto di questo genere- sarebbe inevitabilmente un rapporto largamente incentrato sulle partecipazioni statali che assorbono una parte consistente dei trasferimenti senza fornire alcuna garanzia di trasparenza ed efficienza nella destinazione dei fondi. Si airiva così al secondo punto, la struttura e i modelli organizzativi degli enti di gestione delle aziende pubbliche ancorati alla riforma degli Anni Trenta che richiedono un profondo ripen- samento, anche alla luce delle esperienze fatte dalla grande industria negli ultimi 10-15 anni. Un'altra voce importante del rapporto toccherebbe il problema della ricapitalizzazione delle grandi banche pubbliche. Anziché procedere come si è fatto in questi ultimi due anni con isolate ricapitalizzazioni (Banco di Napoli, Sicilia, Imi, Icipu) che hanno provocato estenuanti negoziati fra i partiti, lotte asprissime per il controllo dei vertici, sarebbe forse venuto il momento di ripensare globalmente le funzioni e la struttura di quella parte del sistema bancario che chiede aiuto allo Stato. Occorrerebbe domandarsi se gli istituti speciali come Imi. Icìdu o Cis debbano con¬ tinuare a vivere o debbano mantenere il loro assetto attuale sotto il profilo proprietario, della raccolta, degli impieghi. Lasciati soli, ciascuno tenta la sua strada. L'ultimo aumento di capitale Icipu è stato sottoscritto solo dalla Cassa Depositi e Prestiti, una diretta emanazione dello Stato che diventa cosi azionista quasi esclusivo, mentre all'Imi si tenta, isolati, la strada dei prestiti indicizzati per rilanciare la propria raccolta. La crisi dell'Italcasse ha posto sul tappeto là questione se sia utile mantenere l'istituto centrale di categoria mentre la necessità di ricapitalizzare grandi banche di credito commerciale potrebbe offrire lo spunto per un esperimento di parziale privatizzazione. Perché non diffondere fra i pri¬ vati lé azioni delle grandi banche pubbliche lasciandone allo Stato il controllo? Si offrirebbero ai risparmiatori, scottati dagli investimenti manifatturieri, uno sbocco più tranquillo e sicuro, ai mercati finanziari un'occasione di rivitalizzazione, allo Stato mezzi finanziari freschi, al vertici delle banche maggior spazio di manovra per esercitare la propria autonomia imprenditoriale. Un riordino di una parte del sistema bancario andrebbe fatto anche tenendo conto di quali obiettivi si pone la politica economica dei prossimi anni, cioè di chi e come dovrà essere sostenuto. Un quesito che troverà una compiuta risposta solo, e qui arriviamo al quarto punto, attraverso una programmazione dell'intervento pubblico. Il quadro preciso e dettagliato dei trasferimenti serve soprattutto a individuare i settori prioritari da finanziare perché non si può sostenere tutto e tutti. Marco Borsa (CONTINUA) (I precedenti articoli sono stati pubblicati il 9 e VII aprile) Le banche Iri a confronto (Dati'7Binmtlionidi lire) Comit Credito Banco Roma Ravcolta 10.847.512 9.013.271 7.698.994 Mezzi propri 493.100 484.209 356.358 Impicghi f inanziari 4.292.546 3.368.297 2.473.493 Impieghi economici 7.665.635 4.915.653 5.704.616 UTILE 16.743 14.092 .10.901

Persone citate: Franco Bonelli, Marco Borsa

Luoghi citati: Cis, Germania, Milano, Roma, Sicilia