Guerrieri-fantasmi del deserto di Mimmo Candito

Guerrieri-fantasmi del deserto TRA GLI UOMINI DEL POLISARIO: COME VIVONO E COMBATTONO Guerrieri-fantasmi del deserto Invisibili di giorno, i guerriglieri «sahraui» sferrano all'alba fulminei attacchi ai soldati di Rabat, portando morte e terrore - Forse preparati in campi libici da istruttori sovietici, sono armati anche di missili - Una guerra senza testimoni: i giornalisti sono ammessi solo a «visite guidate» - Incontro con due ufficiali prigionieri: «Dura repressione in Marocco» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE SAHARA — La guerra del deserto non ha testimoni. Ma capire come si combatte non è difficile, basta venire tra le case delle piccole città abbandonate, dove resta a parlare solo il vento. Lebuirat, per esempio, o Makhbes. Stanno a cavallo del confine tra Marocco e Sahara Occidentale, sulla pista delle carovane. Sono case squadrate di tufo e il cortile cintato da un muro, contro la sabbia che già le copre a mezzo. Fino a qualche tempo fa avevano anche, una vita di piccoli traffici commerciali, e il giorno del mercato i nomadi piazzavano le loro tende colorate intorno al villaggio. Ci sono pure i resti d'un minuscolo orto di meloni: il deserto è fertilissimo, e la vita sopravvive disperata nel corto, recinto abbandonato. Poi venne la guerra. Arrivarono i soldati e piazzarono le loro fortificazioni di cannoni e mortai in giro al villaggio, dentro garitte di pietre; a Makhbes si presero anche il vecchio fortino della Legione, con i merli moreschi e le camerate a cupola. Poteva essere una stanca vita di', guarnigione, alla periferia' del mondo. Ma qui la sabbia è dappertutto, e il sole batte sema riparo. La vita dì guarnigione si è trasformata così Inunas-. se.dìo: fuori, i guerriglieri del Polisario, invisibili di giorno e rapidissimi di notte; dentro, i soldati marocchini chiusi a difendersi in un'attesa che non si risolveva mal Ora sono diventate delle città fantasma. Il vento fischia tra i muri bòssi e incanala la sabbia, ogni rumore diventa di cotone. Camminando nelle camerate del fortino, o tra le garitte sventrate di Lebuirat, si respira ancora l'oppressione spossante di quell'attesa: e si capiscono il senso delle battaglie combattute e la facile vittoria del Polisario. I guerriglieri sahraui sono , un po'figli del vento. Si muovono Con una sicurezza antica in quest'orizzonte che per noi è tutto,uguale, trovando, piste e cammini senza incertezze. Il deserto è da sempre la loro vita e la loro terra, solo che ora hanno sostituito i cammelli delle vecchie carovane cori le landrover guidatela una folle velocità, tra lunghe nuvole di sabbia. Per i marocchini — gente di terra e di campagna, non di deserto — dovevano essere un po' come dei diavoli: e tutte le battaglie, finora, si sono concluse con una fuga generale. Tra Lebuirat e Zag la pista invisibile è marcata dai carri, armati T-54 che si consumano sotto il sole: sono armi che ì russi avevano dato all'Egitto quando tra loro c'era una buona amicizia, poi Sadat li aveva dati a Hassan per aiutarlo a battersi contro il Polisario; ora segnano soltanto la strada disperata d'una fuga fermatasi con la morte. In questa guerra senza testimoni i giornalisti arrivano sul posto a fatti compiuti, e la sua storia si racconta venendo fin qui a contare i cadaveri calcinati sotto il sole. Si sa poco delle battaglie, oltre il sapóre disperato dell'assedio che si respira dentro le case vuote di Makhbes. Anche se ormai hanno la forza e la compattezza d'un vero esercito, i sahraui attaccano ancora con la tattica della guerriglia, sfruttando la rapidità e la sorpresa: è probabile che formino dei nuclei d'una decina di landrover e si lancino sulle postazioni marocchine con assalti improvvisi e velocissimi, a ondate continue. Una volta dentro la cinta delle difese, è fatta. E'un po' come nei film di indiani, solo che questa volta i Sioux sono davvero a casa loro e sanno bène come muoversi e dove colpire.' Non solo,-ma in fattoceli armi la loro dotazione arriva fino ai missili Sam-7 (che gli consentono di mettere fuòri gioco l'aviazione marocchina;, ■ e quanto alla, formazione, il' nucleo di base sembra venga preparato nei campi libici da istruttori cubani e sovietici Ma i sahraui non vogliono parlarne, le domande restano senza risposta. Che è poi un fatto singolare, perché gli uomini del Polisario fanno la guerra anche con i mass media. La loro lotta, infatti, la loro stessa identità di popolo e di nazione, sopravvivono* solo nello spazio che gli concedono giornali e tv d'Europa e d'America. Il Marocco si è ormai annesso l'intero territorio del Sahara Occidentale, e non ama parlare di questa guerra: la considera come un affaire interno, un problema «di mercenari», da risolvere' col tempo. Il fatto poi che lasci in secondo piano altri interessi politici e strategici, fa affondare nella sabbia del deserto ogni eco delle battaglie. L'unica possibilità di vincere questo silenzio sta perciò nei mass media. I sahraui dedicano a giornalisti e cameramen la stessa attenzione e la stessa cura che alle proprie armi: quelli e queste sono òggi le sole radici della loro storia, gli garantiscono allo stesso modo la continuità della lotta e la speranza della vittoria Che è forse un corollario generale d'ogni guerra che si combatta oggi nel mondo, quando le comunicazioni di massa hanno ormai acquistato un'efficacia persuasiva , insostituibile; ma che certamente — nella guerra del Sahara — trova, la sua più significativa utilizza-' sione. Una piccola casa, una di queste abitazioni del deserto, con le stanze basse, i tappeti su cui sedersi o sdraiarsi la notte, il rito del té caldo, il muro bianco di cinta contro il vento e la sabbia — è diventata «la reception». Sta dalle parli di Tinduf, a più di duemila chilometri dal Mediterraneo, in pieno Sahara; da qui partono le spedizioni coi ' giornalisti nella zona di guerra, /sahraui la dilaniano già «territorio liberato». Si viaggia su landrover complètamente apèrte, senza vetri, per evitare che i riflessi del sole facilitino la ricognizione aerea. Il vento e la sabbia costringono a cingersi la faccia con le lunghe fasce colorate che liberano solo la fessura degli occhi Non ci sono forme spinte di mimetizzazione, di notte si va avanti con i fari accesi anche se la luna ha un forte chiaróre. Il bivacco avviene nelle oasi, con un fuoco di sterpi e rami secchi E' una vita aspra e semplice. Una coperta stesa per terra fa da tappeto e ripara dagli scorpioni; i soldati si tolgono le scarpe, come se fossero in una tenda, e avvicinano i piedi al fuoco. La notte fa molto freddo, si dorme vestiti avvolti in una coperta, ma 'non serve a niente. Le senti-, nelle si raccontano lo loro storie accompagnate dai latrati delle iene, e il giornalista venuto dai comforts europei batte i denti e conta le stelle. Sono viaggi ai quali i sahraui « invitano» in occasione di qualche grande battaglia nel deserto: Smara, Lebuirat El Uarkziz, posti e cose che resterebbero sepolti nel silen-t zio della sabbia se non ci fossero queste minispedizioni. La fatica, ma anche il forte fascino, della breve avventura si risolvono alla.fine in una larga ricognizione del campo di battaglia, tra can¬ zssg noni sventrati, tank immobili obici, mortai e missili . La sola traccia della presenza sahraui è nei mille sentieri segnati dalle landrover sulla sabbia, un gioco infinito di curve che s'incrociano e si lasciano in un arabesco di morte. Si va cosi per centinaia di chilometri, sempre allo stesso modo, seguendo e scegliendo strade invisibili che solo i guerriglieri conoscono. A guardarle dall'alto detfhammada pietrosa, si perdono tutte uguali in un orizzonte piatto e nitido; la ricognizione aerea non ci potrebbe capir nulla, le piccole landrover trovano sempre il modo di appiattirsi immobili, e invisibili, nella sabbia. Le battaglie nascono, cosi, dal nulla. Solo quest'ultima, ai piedi della cordìgliera del- VUarkziz, è stata diversa. Fi- , , - i- nora erano scontri rapidi, di poche ore, lanciati spesso col bagliore cieco dell'alba e chiusi in fretta, prima dell'arrivo dei Mirage dal Nord. Nella piana dell'Ued Draa, invece, tra lunghe oasi colorate di margherite bianche e di camomilla, si è combattuto per undici giorni. Ininterrottamente. E' stata una battaglia campale, come tra due veri eserciti: «Eravamo in settemila — dice il capitano El Yussi, 38 anni, S figli, prigioniero ora (del Polisario —. Eravamo due grosse formazioni, con decine di carri, blindati, cannoni e mortai. Ma ci hanno battuto». I guerriglieri hanno attaccato con molte centinaia di landrover, in un turbine assatanato di movimento, «ma avevano anche armi e cannoni di tutto rispetto». E' finita con più di duemila morti e feriti. I cadaveri sono ancora stesi al sole, tra le erbe verdi della primavera; la maggior parte arsi col fuoco dei loro tank. Non viene a raccoglierli nessuno, presto li coprirà la sabbia che il vento già gli ammucchia addosso. Da Zag, la città-fortino che resta ormai 'sola a controllare quésta enorme distesa di deserto, il campo di battaglia deve vedersi bene. 'jForse, con un buon binocolo, si possono contare anche i morti lasciati II. Ma non si muove nessuno, non può muoversi nessuno. Dice il capitano Mezraui, anche lui prigioniero: «I soldati del mio esercito sono ormai assediati nelle loro guarnigioni, sono stanchi, senza cambi, senza cibo fresco, senza speranze. Questa è una guerra amara, dove si muore senza nemmeno sapere più perché». Dice anche altre cose: il malcontento che si estende in Marocco, la repressione dura, la rabbia dei giovani ufficiali. Forse parla di una possibile rivoluzione dei capitani anche nel Maghréb, di qualcosa che qualcuno starebbe tessendo con le mille cautele di'ehi rischia la libertà e la vita. Ma il vento del deserto porta via presto le parole, e nessuno può I dire d'averte sentite davvero. Mimmo Candito * I ', ' npbp

Persone citate: Sadat

Luoghi citati: America, Egitto, Europa, Marocco, Rabat, Sahara Occidentale