Le mani libere per aggredire il Negus

Le mani libere per aggredire il Negus VERITÀ' E RETROSCENA DELL'ACCORDO TRA MUSSOLINI E LAVAL Le mani libere per aggredire il Negus E' trascorso poco meno dii mezzo secolo dagli accordi Mussolini-Laval. e la storiografia è ancora ferma al polemico scambio di lettere intervenuto tra i due uomini all'indomani dell'attacco italiano contro l'Etiopia Mussolini pretendendo che Lavai gli avesse concesso le «mani libere» nel Paese africano, e quest'ultimo, in sostanza, negandolo. Chi aveva ragione? Le trattative che portarono ai noti accordi italo-francesi non furono un'iniziativa del fascismo. Risalgono a molto tempo prima, addirittura all'occupazione italiana della. Tripolitania e conseguente rivendicazione dei confini ottomani in quelle regioni. Roma e Parigi avevano deciso di provvedervi alla fine del 1914: ne furono impedite dallo scoppio della prima guerra] mondiale. Le diplomazie dei due Paesi continuarono a occuparsene con frequenti scambi di note. E' vero invece che con il fascismo le pretese italiane aumentarono, anche sulla' base dell'art. 13 del Patto di Londra, che prevedeva compensi coloniali per l'Italia in cambio dell'intervento netta grande guerra. Nel periodo in cui diresse il ministero degli Esteri. Mussolini giunse a chiedere, a sud della Libia, un'enorme estensione di territorio che avrebbe permesso all'Italia d'insediarsi saldamente sia nell'Africa occidentale francese sia in quella orientale inglese. Le trattative si trascinarono sino a quando Pierre Lavai non assunse la presidenza del Consiglio nel 1931. Allora intervenne, nel negoziato, un fattore nuovo: l'Etiopia. Se condo l'ambasciatore e poi1 ministro con Badoglio, Raffaele Quariglia; il primo a fare il nome dello Stato africano, quale merce di scambio sarebbe stato il segretario generale del ministero francese degli Esteri, Berthelot, in un colloquio con il presidente della Commissione Mandati, della S.d.N., Alberto Theodoli Guarigua si sbaglia. Dell'Etiopia si era già parlato qua! che mese prima tra lo stesso Theodoli e il delegato francese nella Commissiona dei Mandati, Robert De Caix. Stando alia relazione Theodoli (che si trova nell'Archivio Grandi), sarebbe stato De Caix ad accennare all'Etiopia come compenso coloniale per l'Italia. Secondo quella del francese, sarebbe stato Theo-) d doli a sollevare il tema etiopico. Alla fine di luglio del 1931, il ministro degli Esteri Grandi ebbe un colloquio con il Presidente Lavai, in occasione di una conferenza a Londra: Occorre dare all'Italia, gli dissi, una soddisfazione che acquieti una volta per sempre la nostra legittima inquietudine, e ci compensi, sia pure in minima parte, delle amare delusioni patite. A questo punto Lavai mi ha interrotto: "L'Ethiopie, parexemple"». Il primo invece a parlare di mano libera in Etiopia fu il ministro francese delle Finanze, Flandin. in un' colloquio con l'ao letto aeronautico italiano, gen. Picelo, avvenuto'a Parigi negli stessi giórni. «Sarebbe accetto ad esempio all'Italia, disse Fiandin. se la Francia s'impegnasse a lasciarle mano libera in Abissinia?». da Mussolini, che aveva ripreso il portafoglio degli Esteri. Essi riguardavano un 'Pacchetto» di punti «tutti collegati tra di loro; còme disse Suvich: Tunisia, Libia. Somalia. Marocco, Tangeri, Siria e... Etiopia. Né mancò una viva delusione tra i funzionari 'di Palazzo Chigi, quando si co- > nobbero le proposte francesi, che erano in certi casi inferiori a quelle che la stessa Francia aveva fatto in precedenza. Tra coloro che protestarono vi furono Primo Parrini, direttore degli Italiani all'estero e lo stesso Theodoli. Suvich si lamentò in termini precisi con Chambrun. che lo interruppe: «E l'Etiopia?», gii, disse. Questo spiega perché il pertinente ufficio del nostro ministero degli Esteri abbia preparato un appunto dal titolo significativo: Linee per uno scliema di accordo italo-francese e per un Protocollo complementare segreto. Il Protocollo riguardava l'Etiopia, e in, esso la Francia s'impegnava, ad adottare «un atteggiamento favorevole in caso d'intervento militare italiano» e ad impedire il riforniménto di armi all'Abissinia. In cambio di ciò, l'Italia consentiva a rinunciare ai diritti degli italiani di Tunisia. Lavai non era uomo da assumere impegni precisi. Era lo statista del «piccoli passi», un po' qui e un po' làr.dominato da un'istintiva ambiguità. Inoltre egli doveva fare i conti con la recisa opposizione del nuovo segretario generale del Quai d'Orsay, ■ Alexis Léger (alias St George Perse, premio Nobel di poesia), il cui disastroso atteggiamento antitaliano è stato denunciato recentemente sia da Leon Noél, ambasciatore e ex presidente del Consiglio Costituzionale, sia dal noto storico, Duroselle. Chambrun comunicò a Sii-, vich. alla fine di dicembre, che «per quanto riguarda il désistement francese in Etiopia, Lavai manteneva le proposte fatte ma, data la delicatezza della cosa, voleva impegnarsi direttamente con il sig: Mussolini». I colloqui tra quest'ultimo e Lavai ebbero luogo a Roma il 5 e ti gennaio 1935, con la sola presenza di Suvich e Chambrun. Suvich redasse i verbali..che recano il visto del duce. Fin dal primo colloquio. Lavai dichiarò di non essere in grado di migliorare le proposte fatte sul confine meridionale della Libia, sulla Somalia ecc. Interviene Mussolini. «Il Capo del Governo fa presente, si legge nel verbale, che la questione principale per lui è la questione della mano libera in Etiopia, il cosiddetto désistement. Lavai è perfettamente d'accordo con tale! principio. Egli vuole soltanto trovare una formula che presenti l'atteggiamento francese come corretto anche quando■ domani fosse pubblicato». Soddisfatto, Mussolini accettò le proposte di Lavai su tutti gli altri punti in discussione, rinunciando alle rivendicazioni che l'Italia aveva sostenuto sino allora, e. cosà più grave, accettando il graduale abbandono dello statuto privilegiato degli italiani di Tunisia. Lavai aveva stravinto. Non aveva concesso praticamente nulla delle rivendicazioni italiane, legittime sotto molti aspetti, e aveva ottenuto l'impegno a risolvere, a vantaggio della Francia, quella questione tunisina che aveva avvelenato i rapporti tra idue Paesi per oltre mezzo secolo. Ma per far questo, aveva indirizzato Mussolini a impadronirsi del solo Stato africano che avesse una lunga tradizione d'indipendenza, l'Etiopia. Se non fosse stato quell'uomo di corte vedute che era e inoltre di scarsa moralità politica, avrebbe dovuto prevedere che l'occupazione italiana dell'Etiopia si poteva fare solo con la guerra, e che questa avrebbe alterato i difficili equilibri sul quali poggiava la pace dell'Europa, che Hitler insidiava ogni giorno di più. Enrico Serra