Ahmed facchino per forza di Remo Lugli

Ahmed facchino per forza I cinquecentomila lavoratori stranieri in Italia Ahmed facchino per forza Già alle quattro del mattino stanno a grappoli lungo lo scalo ferroviario delle grandi città in attesa che i reclutatori delle cooperative di facchinaggio li chiamino - Accettano per poche migliaia di lire qualsiasi proposta di lavoro DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — C'è in Italia un esercito senza quadri e senza generali, è il disperato esercito, dei lavoratori «neri», che spesso lo sono anche di pelle, Si sono viste in un precedente articolo le valutazioni d'insie: me e, in particolare, la compagine delle colf, le collaboratrici familiari. Ma mentre nel settore della immigrazione femminile si incominciano a registrare, su scala nazionale, un certo grado di inserimento nella nostra struttura sociale e condizióni di vita, tollerabili grazie al genere di lavoro che consente di alloggiare in modo civile, nel settore maschile si entra a contatto, spesso, con l'umiliazione, l'abbrutir mento, lo sfruttamento. Olà dalle quattro della mattina, intirizziti, mani in tasca e bavero della giacca alzato, stanno a grappoli lungo lo scalo ferroviario di via Farini in attesa che i reclutatori delle cooperative di facchinaggio li chiamino. Non sono soltanto 11, anche all'Ortomercato è in ogni altro luogo ove c'è bisogno di «bassa» manovalanza da pagare a poco prezzo. E non solo a Milano, pure nelle altre grandi città si ripetono le medesime scene. Ai Mercati generali di Torino scavalcano i cancelli alle quattro del mattino, per evitare di essere respinti dai vigili al momento dell'apertura. Questi sventurati mendicanti del lavoro hanno lascia to le loro squallide stanze nel le pensioni infime di via Bel lezia, Sant'Agostino, di Porta Palazzo a Torino e, a Milano, del triangolo Stazione centra' le-Porta Venezia-Piazza Loreto, di piazza Vittoria, del dormitorio di viale Ortles. Accettano qualsiasi proposta di lavoro perché devono pur procurarsi quelle migliaia di lire che serviranno per affrontare la giornata, il pasto, un paio di calzini, 11 Iettò. Oli affittacamere di solito hanno le licenze per due persone per stanza, ma ce ne fanno stare cinque, sei. Frale quattro pareti sono allineate soltanto brande, unico altro , arredo, può essere un tavolino '•' con un fornello, spesso il' gabinetto è fuori, l'affitto mensile raramente è al di sotto delle SO mila lire. Marocchini, tunisini, algerini, etiopi, colombiani, slavi (ll6NstssSnnsdddtinrmd o e e i e a r a, e l a li i, o ri a anale gace a. (oltre a quelli in regola, a Milano presumibilmente 30 mila, a Torino 15 mila,- a Roma 60 mila, a Genova 10 mila, a Napoli, Bari 30 mila) vivono e si muovono a gruppi, come tante isole, ognuna tiene per sé le proprie amarezze, gli sconforti, le angherie subite. Sono braccia a buon mercato, null'altro. Dice Ahmed K'hidri, 28 anni, tunisino: «A scaricare cassette qui all'Ortomercato guadagno duemila lire all'ora, diecimila in una mattinata, dopo essermi alzato alle quattro. Ma a volte si viene qui inutilmente, siamo in troppi, non, c'è lavoro per tutti. Io, però, la séra vado a lavorare come sguattero in un ristorante di Porta Venezia, per quindicimila lire». Ai Mercati generali di Torino i vigili spiegano che hanno l'ordine di non lasciare entrare i clandestini, i quali però entrano lo stesso scavalcando e passando dal lato ferrovia. Aggiungono che, comunque, senza l'intervento dei clandestini il mercato si paralizzerebbe, perché molti facchini delle cooperative non si presentano o arrivano alle dieci quando non servono più. I vari Ali, Mohamed, Mustafà stanno diventando una colonna portante del lavoro sommerso,, che è «nero» doppiamente perché chi fa lavorare non paga i contributi e corrisponde -un salario, più basso dei minimi della categoria. E' difficile aprire un colloquio con questi uomini, hanno il terrore della polizia che può rimpatriarli e temono che ogni parola scambiata con un estraneo li possa portare nelle mani dei poliziotti. Se si riesce a conquistare la loro fiducia si confidano, si sfogano contro questo stato di clandestinità che li tiene in schiavitù, li costringe ad accettare le condizioni di sfruttamento perché impossibilitati a denunciarle. In un garage di viale Monza, Assai H., 23 anni, egiziano, lava automobili dalle 8 alle 20, con un'ora di interallo per la colazione, una paga di'15 mila lire al giorno. «Lo so che un italiano prende il doppio di me, ma devo accettare». Racconta com'è venuto in Italia, due anni fa, con l'autostop, attraversando il mare su una carretta diretta a Lubiana f facendo, a bordo, il mozzo.'Alla frontiera si era intruppato con tre pakistani che avevano l'indirizzo di un loro conterraneo ad Alassio. «Ho lavorato un'estate sulla Riviera di Pónente, in alberghi e cucine di ristoranti. Là tutti ì locali di turismo avevano qualche clandestino: Ci facevano stare appartati, quando si spargeva la notìzia che c'era pericolo di controllò dell'ispettorato del lavoro, i padroni ci | nascondevano. Una volta, aSpotorno, in tre siamo rimasti chiusi in una cantina dieci ore». Quello che Assai racconta per la Riviera Ligure, vale anche per ja Riviera adriatica. Si calcola che d'estate almeno centomila jugoslavi lavorino clandestinamente negli alberghi "e nei ristoranti; ed un ulteriore esercito che si aggiunge ai 500 mila stranieri ormai fissi in Italia. Ogni gruppo etnico ha as sunto, in questa clandestinità, delle sue caratteristiche mentre ad esempio i marocchini si danno al piccolo commercio, gli egiziani si sono dimostrati ottimi cuochi, gli ju¬ gragcgrcsla goslavi fanno per lo più i muratori, i tunisini i pescatori, gli eritrei i facchini. C'è chi, come i colombiani, si distingue nella malavita: in questura a Milano e a Torino dicono che, su cento scippi, novanta sono opera di clandestini della Colombia. L'aspetto delinquenziale è. si, presente nel campo della clandestinità straniera, ma solo marginale. Nel complesso questa è gente che è venuta per lavorare, con buona voglia, spinta dalla necessità, attirata da condizioni di vita migliori di quelle che i loro Paesi possono offrire. Remo Lugli

Persone citate: Ahmed K'hidri, Frale, Italia Ahmed, Mustafà