«Le Olimpiadi non sono una cosa nostra l'invasione afghana, purtroppo, lo è»

«Le Olimpiadi non sono una cosa nostra l'invasione afghana, purtroppo, lo è» Come gli armeni affrontano le vicende politiche di Mosca «Le Olimpiadi non sono una cosa nostra l'invasione afghana, purtroppo, lo è» La partecipazione ai Giochi vista come «show» per l'Occidente, senza un reale coinvolgimento delle regioni periferiche - Un sordo rancore verso il Cremlino, pensando ai morti DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE JEREVAN — La montagna è bellissima, un cono di ghiaccio nel verde della pianura. L'Arnrat, per gli armeni, è simbolo, fede e bandiera, un dono che ciascuno si porta nel cuore. Ma è anche ferita dolorosa, segno visibile eppuv lontano di un'unità perduta: l'Ararat è in territorio turco e gli armeni, anche per questo, non sanno dimenticare. «E' stato il primo genocidio del secolo, più di un milione di armeni massacrati in Turchia nel 1915. Come scordare Trebisonda, Erzerum e l'editto di Envar Pascià? Uccideteli tutti, disse, cosi che non esistano più armeni nel mondo». .Parto to guida, all'aeroporto, gli occhi neri volti alla montagna. Jerevan, la capitale, sorge in una specie dì cratere, moderna e verde di viali, a pochi chilometri dai declivi che Noè, raccontano, discese dopo il diluvio per ripopolare la terra. Qui ogni cosa porta il nome di Ararat. Ararat si chiama la squadra dì calcio, Ararat il cognac, le sigarette, i cento ristoranti coi vetri aperti sulla via. In questa realtà, dove fierezza e tradizione esprimono irrinunciabile nazionalismo, ha fatto il suo ingresso —poco trionfale — l'orsetto Misha, simbolo delle Olimpiadi di Mosca. Il marchio è impresso in ogni luogo e su ogni cosa, compresi negozi, musei, scatole di fiammiferi e bustine di zucchero. Ma gli armeni rifiutano la propaganda, il simbo- . lo imposto. Spiega un giovane ingegnere: «L'Olimpiade è cosa che non ci riguarda. E' cosa di Mosca, voluta da Mosca per offrire agli stranieri un'immagine falsa dell'Unione Sovietica. E anche per far soldi, dollari soprattutto. Dunque 11 boicottaggio disturba i signori russi. L'Armenia è estranea: a nessuno e permesso assistere direttamente ài Giochi. Inoltre noi abbiamo ora nove voli giornalieri su Mosca, che si ridurranno ad uno nel periodo olimpico ». Allo stadio, un gruppo di spettatori se ne sta seduto, in segno di sfida, durante l'esecuzione dell'inno sovietico. C'è chi spiega, cogliendo nel particolare un maggior distacco da Mosca, come su iscrizioni e insegne prima venga la lingua armena e poi la russa. «I turchi hanno l'Ararat ma i russi l'hanno ceduto», dice un giovane barbuto in completo jeans esprimendo in una smorfia infiniti rancori. Ci sono due tipi dì scuole, a Jerevan. In una si insegna l'armeno, nell'altra il russo. Ma solo la seconda permette l'accesso all'Università ed è normale che l'uomo della strada provi per Mosca un sentimento simile a quello del colonizzato rispetto al colonizzatore. «L'esercito costa e noi per mangiare dobbiamo arrangiarci — continua l'ingegnere —. Qui in Armenia abbiamo in maggioranza russi, 1 nostri ragazzi li mandano lontanò a fare il servizio militare. Molti sono morti in Afghanistan, è una tragedia. Dell'invasione abbiamo saputo dai giornali-. Ci hanno detto che i fratelli afghani avevano chiesto il nostro aiuto. Noi però ascoltiamo ogni sera una radio, la Voice of America, .che trasmette in armeno per gli armeni parlando dell'Armenia. Le cose che dice sono diverse». Qualcuno non è d'accordo. La spiegazione ufficiale ottiene consensi: «La Voice of America è pagata dalla Cia e sfrutta la spinta autonomista del popolo armeno per dire il falso e creare malumore. In fondo qualsiasi armeno è disposto ad accettare còme^era, qualunque cosa, purché gli sia dWlecncdficntànpl'gcmgnAl'tAmHlscLtqNdlpgtacCKDdcfrbtdssDPga detta nella sua lingua. A Washington sanno bene quale corda toccare: il nostro cuore è senza difese ». Le parole sono di un giovane studente universitario: anche lui si «arrangia» cambiando rubli a borsa nera, attività fiorente a Jerevan, poco pericolosa. Aggiunge in fretta: Uno sfogo, quello di prima, non un credo politico. In realtà sono scettico su tutto, ma non mi va che la mia gente sia presa in giro. Vuoi andare all'Università per parlare con gli studenti? No, non intendo correre rischi. Mi piacciono le macchine, i soldi, le belle ragazze. Perché invece non ce ne andiamo insieme al bar? In Armenia abbiamo un cognac, l'Ararat, che fa dimenticare tutto, anche la tristezza». Carlo Coscia

Persone citate: Carlo Coscia, Noè