Giulietta e Romeo dei bassifondi di Furio Colombo

Giulietta e Romeo dei bassifondi LÉONARD BERNSTE1N PARLA DI «WEST SIDE STORY» VENTANNI DOPO Giulietta e Romeo dei bassifondi II musical è tornato sulle i scene a Broadway - Per una singolare coincidenza, negli stessi giorni è stato rilasciato dal carcere l'adolescente che, con il suo delitto, ispirò il compositore - Bernstein: «Nella mia musica c'è la corsa alla vita, il sogno di chi arriva giovane a Manhattan e sbatte contro un muro che sembra eterno» - «Ora tutto è cambiato» NEW YORK — Salvador Agrori. E' un nome che nessuno ricorda. E quando i lampi dei fotografi hanno cominciato a scattare e le cineprese della televisione a ramare intorno a una faccia sbiancata e stanca, neppure quella faccia, quel sincero stupore avrebbero potuto dire molto al pubblico che avrebbe visto quelle immagini. Ma a Salvador Agron, ex adolescente assassino, è accaduto di uscire dal carcere (Rikers Island, massima sicurezza) dopo avere scontato ventanni, esattamente il giorno in cui stava tornando sulle scene di Broadway West Side Story, il musical che, verso la fine degli Anni Cinquanta, aveva sconvolto l'America, mostrando la ferocia e il pericolo dei bassifondi di New York. E l'aveva esaltata, con le musiche di Léonard Bernstein e la coreografia di Jerome Robbins, rinnovando il sogno che mostra l'ostinata speranza dall'altra parte della tragedia. Salvador Agron vorrebbe non avere niente a che fare con l'evento di Broadway. Ma è lui (era lui, ventitré anni fa) il ragazzo col coltello che aveva pugnalato il capo di una banda rivale e aveva aperto la saga a cui- Bernstein e Robbins avrebbero dato dignità e bellezza: la lotta fra bande come l'antico duello fra Montecchi e Caputeti. Agron è uscito subito dalle inquadrature delle telecamere, con la sveltezza da gatto degli ex carcerati. Quella magrezza «hispanica- appena involgarita da una cattiva infanzia, dai brutti denti, e i tatuaggi sui muscoli delle braccia che forse appartengono aitempo del West Side, forse a quello della prigione. Non aveva niente da dire, e in ventanni aveva imparato a starserie fermo, tranquillo, evitando di mettere a fuoco lo sguardo, lasciando rimbalzare le parole come le gocce d'acqua sopra un impermeabile. Per un giorno la sua faccia, con i lineamenti da ragazzino subito deformati dalla vecchiaia, senza che sia passata la parte matura della sua vita, è apparsa accanto all'attore di allora, all'attore di oggi, al grande compositore, Bernstein, al celebre coreografo, Robbins. Agron non ha detto se li conosce o non li conosce. Non ha detto se ha mai ascoltatola musica o visto il film. Di lui si sa solo che non è tornato nel vecchio quartiere (da allora il West Side non è più il peggio di New York, la zona è stata in parte risanata, vi sono ormai condomini e grandi edifici inadatti per giochi di sangue e di bande). Se ne sono perse le tracce e basta. Allora tutta l'attenzione dei giornali, dei critici, via. anche degli studiosi del comportamento sociale, sì è spostata sul ritorno di West Side Story a teatro. C'è il problema di ogni grande revival (come è adesso il grande spettacolo? Regge il confronto con l'incredibile fama che si è accumulata in ventanni?) e c'è la domanda anche più urgente e inauietante. Parlava del passato, West Side Story, o quella tragedia di omicidi odale- scenti è il presente, è la natura della vita, sotto ì ponti di New York? Léonard Bernstein, in maglione, accaldato, dietro le quinte del Minskoff Theatre, si asciuga la fronte, la faccia,, lentamente, come se stesse facendo un inventario delle poche rughe profonde che gli tagliano il viso come in un disegno affettuoso ma un poco forzato. Bernstein è il musicista dì tutta un'epoca americana. Ma è anche l'allegro e battagliero campione di fante cause, impegni, crociate. E' avvenuto in casa sua, in Park Avenue, nel 1969, il famoso incontro con le .pantere nere- di Bobby Seal e Huey Newton che ha ispirato a Tom Wolfe il famoso saggio «Radicai Chic». L'autore di West Side Story non aveva messo in quel dramma la sua musica per caso o su commissione. C'è una storia d'amore tra Bernstein e il suo musical almeno tanto forte quanto l'amore e il dramma che c'è dentro il musical. — Allora, lui dice, c'era Fenda. Allora era tutto diverso. Sembra stupito di essere vecchio-(non tanto vecchio, ma questo anniversario, stranamente, invece di esaltarlo gli pesa). E sembra stupito di non avere accanto la moglie. — Io sono un uomo di teatro. Lei era la mia spot-light, il mio riflettore caldo e personale. Io mi muovevo e lei muoveva la luce. Che cosa può desiderare di più un uomo di teatro? Ma non parlerà della casa vuota o della sua tristezza privata. E tuttavia, in una occasione che dovrebbe confermare là sua grandezza di autore e dunque renderlo orgoglioso, parlerà con malinconia. Spontaneamente, senza che gli venga chiesto, cerca il punto che gli fa più male, dopo l'altro della ferita nella sua vita personale. La mano va e viene sulla faccia come se fosse la mano di un altro che deve rincuorarlo, dargli coraggio. — Ho composto poca musica nella mia vita Ho diretto molto, insegnato molto. Ma non ho scritto molto. Quando trovi che il tempo è passato, di colpo, resta solo quello che hai fatto, che hai scritto. Il resto se n'è andato con tutti quei miliardi di cellule che sono "la giovinezza". Ho scritto poca musica... Non ha voglia di essere incoraggiato e non ascolta ciò die è doveroso e inevitabile dire: che West Side Story, opera moderna, resta il capolavoro americano di mezzo secolo. Ma lui fastidiosamente insiste. Adesso non sta parlando del segno della grandezza ma di quello del lavoro. — n lavoro deve essere tanto. Tanti libri, se sei uno scrittore, tante poesie, se sei un poeta, tanti quadri, se sei un pittore. E tanta musica... il nodo del rimpianto è talmente forte che richiede una pausa. Chi ricorda Léonard Bernstein come un mattatore, eterno ragazzo, sfacciato, incurabilmente estroverso e aggressivo, qui incontra un uomo diverso. Parte l'inizio di uno dei suoi celebri pezzi, I f eel pretty, che il mondo canta e ricanta da ventitré anni. E' una partenza esuberante, rapida come un flash, chi dirige la ferma subito, è solo una prova. «Ha contato di più Shakespeare o il West Side? Giulietta e Romeo o il nodo di tragedia e speranze dei giovani americani, il dramma della separazione e dei ghetti?». — In tutti questi anni, dice Bernstein, chissà quante risposte diverse avrò dato. Giulietta e Romeo sono l'idea del libretto, il modo di organizzare il materiale. Ma è stato la scoperta che i ragazzi si uccidevano, per amore e per odio, per troppa disperazione e troppa fretta di vive re tutto, fra i cancelli dei campi di gioco, che ha fatto scattare la voglia di scrivere quella musica. In quella mu sica è la corsa alla vita che è il sogno di chi arriva giovane a New York, e il segno di morte di chi sbatte contro il muro che sembra eterno. Adèsso provano Tonight e il maestro ascolta per un poco. Due o tre volte apre la bocca come per segnare linizio giusto di un attacco, ma senza voce. Della forza, dell'energia quasi atletica di un tempo non gli manca nulla. Dicono i medici che nessuno, neanche un giocatore di baseball, è forte come un direttore d'orchestra. Bernstein si appoggia al muro e respira a fondo. Non per stanchezza, perché non gli va di uscire da questo umore di malinconia e di ricordi. Per un momento alza la voce e dice festoso: — Ci siamo messi insieme, tutti quelli di allora, non è un miracolo, ci siamo tutti, Jerry Robbins e Steve Sondheim e... Ma la ventata di allegria finisce subito. L'edizione è bella, impeccabile, qualcuno dice troppo uguale al suo mo-' dello originario, come se il tempo e la storia non avessero lasciato alcun segno. —I segni ce li portiamo addosso noi, non lo spettacolo. Lo spettacolo è un documento di allora. Cosi deve restare. Adesso si scrivono altre storie, altre musiche. Si vive un'altra vita. Si ricorda il film? Se si cominciasse, come, allora, con la ripresa dall'elicottero, si vedrebbe un'altra New York, molto più bella, e molto più brutta. Léonard Bernstein non ha voglia di fare il sociologo, e non ha voglia di entrare nelle mille discussioni che la ricomparsa di West Side Story ha suscitato nell'opinione americana. «La città è molto più ricca al suo centro e molto più povera al margine. Vi sono zone dove c'è un delitto ogni quattro ore e uno stupro ogni due, e 11 cinquanta per cento di tutti gli assalti violenti avviene in quella vena malata della città che è la ferrovia sotterranea» ha scritto il New York Times in un articolo che commentava il ritorno del celebre musical e proponeva un confronto di epoche. Ma la vera differenza era questa: la morte era il sigillo sbagliato della pretesa di vivere, di essere riconosciuti, accettati, di essere felici. Era come una febbre, l'immagine deformata di un desiderio grande, di una volontà straordinaria di riuscire, di sopravvivere. Era la parte oscura del sogno americano, ma apparteneva a quel sogno. I want to live in America canto il coro delle nuove ragazze, che i critici troveranno più perfette e meno spiritose di'un tempo. E si sente Tony che dice a Maria: «Something's coming... I'm reaching out, it's right around the corner». (.Sta per succedere, ce la facciamo, è' subito dietro l'angolo...»). Non era dietro l'angolo, e adesso l'angolo è più lontano,' commenta il maestro lasciando finalmente che la sua mano accompagni il tempo. • — Non era dietro' l'angolo ma deve esserlo. Capisce cosa voglio dire? Mi piacerebbe essere cinico e pessimista. E' un atteggiamento molto apprezzato negli intellettuali, nei creativi Io so che l'angolo non è vicino come pensava Tony, ma sono quel tipo di americano di cui a volte gli europei sorridono. Io a quell'angolo continuo a crederci. E con l'abitudine del direttore-regista fa il gesta, anzi lo scatto, di allungare la mano, e di afferrare, di stringere per far vedere come, nonostante tutto, si deve credere nella vita. Furio Colombo

Luoghi citati: America, Manhattan, New York