Il sindacato di Mario Pirani

Il sindacato Il sindacato (Segue dalla l'pagina) massima di un «compromesso sociale» all'interno della fabbrica. Ed è così che la Firn è arrivata all'appuntamento di Brescia dopo che già circa mille contratti aziendali erano stati firmati senza neppure consultarla. E da tutta la discussione è emerso un quadro di piccole e medie aziende dove ci si accorda per più alti salari in cambio di maggiore produttività (vengono citate punte di 55 ore settimanali di lavoro, con altissime percentuali di straordinario). Naturalmente all'esautoramento del sindacato di categoria corrisponde un mutamento di ruoli delle organizsazìoni padronali: anche il sciur Brambilla scopre il valore del contratto aziendale, quando ottiene di più trattando direttamente che affidandosi alla Confindustria e alla Federmeccanica, il cui ambito d'azione effettiva tende cosi a restringersi alle grandi fabbriche. Ma la disaffesione sindacale colpisce ormai anche queste. Non solo, infatti, le aspirazioni «salarialiste» dei lavoratori sono vivissime ovunque, ma gli errori di fondo compiuti dal sindacato si risentono ancor più laddove la presa della Firn impedisce gli opportuni «adattamenti». E'il caso della difesa a oltranza del meccanismo della scala mobile dopo l'accordo del '75 che, fissando il punto unico di contingenza eguale per tutti, in un'epoca di inflazione dirompente ha avuto due conseguenze esiziali: ha sottratto circa il 70 per cento del salario reale alla contrattazione sindacale e, inoltre, ha appiattito le paghe all'interno dei sette livelli dell'inquadramento unico. E cosi via via che la scala mobile scatta, via via le categorie operaie più qualificate, i tecnici e gli impiegati si trovano con salari sempre meno differenziati da quelli dei lavoratori a più bassa qualifica. Un meccanismo reso tanto più perverso dall'egualitarismo (le 25 mila o 30 mila lire per tutti) del contratto nazionale. ■' ' ' : . Come stupirsi, in queste condizioni, della spaccatura die si è creata, al di là degli unanimismi formali, tra il sindacato e una parte notevole dei lavoratori? E all'interno della classe tra operai di diversa categoria e tra questi da un lato e impiegati o tecnici dall'altro? Non ci sarebbe da sorprendersi troppo se anche in questi settori emergesse alla fine un sindacalismo «giallo», o autonomo che dir sì voglia. Anche perché alla perdita di controllo della strategìa salariale da parte delle Confederazioni e delle categorie corrisponde una crisi della rappresentanza sindacale nella fabbrica die impedisce, di fatto, ai lavoratori di far emergere le loro autentiche rivendicazioni. Il consiglio dei delegati non riflette, infatti, la fabbrica nel suo assieme, come di contro avveniva ai tempi delle commissioni interne, elette da tutte le maestranze. Il delegato è invece eletto solo dalla squadra e finisce a sua volta per deferire gran parte delle funzioni rappresentative all'esecutivo di fabbrica. Questo, a sua volta, attraverso il sistema dei «distacchi» e dei permessi è composto da un vero e proprio apparato staccato dalla produzione, una burocrazia parallela all'interno della burocrazia sindacale. Ne deriva una sempre più affievolita rappresentatività democratica del sindacato, i cui organi dirigenti, poi, al di fuori della fabbrica finiscono per essere designati per cooptazione, del tutto privi di una vera e propria legittimità elettiva. Da tutto questo esce un quadro d'assieme in cui i peri coli di un trade-unionismo sempre più frammentario, la rinuncia degli organismi nazionali e di categoria a controllare la variabile salariale, il permanere di ideologismi che spingono le confederazioni a fare di tutto fuorché il lo ro mestiere sindacale, si co niugano, per citare ancora una volta Rinascita, con la rimessa in discussione della rappresentatività del sindaca to «come dimostra l'ineffica eia di tre scioperi generali» Non sarà proclamandone un quarto contro il prossimo governo che Lama, Camiti e Benvenuto troveranno la strada della ripresa. Mario Pirani

Persone citate: Brambilla, Lama

Luoghi citati: Brescia