«Mi devono la pensione non voglio l'elemosina»

«Mi devono la pensione non voglio l'elemosina» Lo sfogo di una vedova, di 83 anni «Mi devono la pensione non voglio l'elemosina» Lotta con tenacia contro la burocrazia: «Da 6 mesi non so che cos'è la carne» - Un'altra e felice quando trova una melanzana tra i rifiuti del mercato «Non chiedo la carità, voglio la pensione a cui ho diritto»; a chi credeva di poter risolvere le sue proteste con un'offerta di denaro, Gianna Marchisio, vedova dal 1° ottobre 79 in attesa della pensione del marito, ha risposto con la dignità di una donna che ha soltanto la tersa elementare, ma che ad 83 anni sa ancora lottare per non farsi escludere. Come decine di altre storie, quella della Marchisio è arrivata al nostro giornale attraverso il telefono: un tentativo disperato di cercare un interlocutore disposto ad ascoltare le ragioni di una persona anziana. Per molti pensionati la telefonata è uno sfogo, per altri una speranza, spesso mal riposta, poiché la solita indagine sui perché dei ritardi finisce inevitabilmente con la scoperta di un motivo 'plausibile* che si frappone, in uno dei tanti gradini delle pastoie burocratiche, tra le casse dello Stato e l'anelano in fila agli sportelli degli uffici postali. «Da sei mesi non so più che cos'è la carne. Alle volte mi arrangio con un pezzo di pane ed una mela». Quale ragione può essere considerata 'plausibile* perché una vedova di 83 anni debba soffrire la fame in attesa di una somma a cui ha diritto? «Francamente — dice la donna — non capisco. Dopo che Francesco è mancato ho fatto tutte le pratiche. All'ufficio del Tesoro, in via Gramsci, le hanno accetta¬ te. Poi in febbraio mi hanno detto che mancava ancora la domanda per il pagamento dei ratei. Un collega di mio marito, anche lui pensionato, mi ha dato una mano a mettere a posto tutto. Adesso sembra che non rimanga che aspettare». Gianna Marchisio ci ha ricevuto nella sua casa con un po' di apprensione f«Sa con i tempi che corrono!»/ ma ha risposto volentieri alle nostre dodmande. Come vive in attesa di questa pensione? «Con le 117.750 lire della pensione di vecchiaia, che adesso dovrebbero portare a 142.950 lire, ma senza i prestiti di qualche persona gentile proprio non ce la farei. Calcoli un po', per la casa non sono mai meno di 35 mila lire al mese. Per il riscaldamento quest'anno ho già pagato 283 mila lire, ma devo versare ancora una rata. Poi luce, gas, telefono... Guardi, non ho il televisore; e la radio, per non far andare troppo la corrente, l'accendo solo per il giornale radio delle 13 e delle 19,30. Per il funerale di mio marito ho pagato 500 mila lire e adesso per la pietra sulla tomba dovrò pagare ancora 65 mila lire» Per la pensione le hanno detto quanto dovrà attendere ancora? «No. Mi dicono di avere pazienza perché tutti hanno aspettato». Un'altra pensionata, vedova, ci dirà: «Io non ho aspettato molto: solo nove mesi. In confronto ad altri che hanno atteso 2 anni, mi ri¬ tengo fortunata». Gianna Marchisio però non è disposta ad accettare passivamente la propria condizione, né a considerarla soltanto una questione di fortuna o sfortuna: «Quattro piani senza ascensore per me sono una barriera quasi insuperabile. E quelle poche volte che esco anche i gradini del pullman sono un grosso ostacolo. Ma nonostante questo non mi sono voluta isolare. Sento i notiziari della radio e leggo regolarmente il giornale. So quali sono i nostri diritti. Perché dei vecchi ci si ricorda soltanto prima delle elezioni? Ed in che modo poi? Con un aumento di 10 o 20 mila lire su pensioni da fame». Eppure tutto questo ha una logica: quella della produttività. I vecchi sono pesi morti. Come i matti o gli emarginati: per gli uni si è cercato di provvedere con i manicomi; per gli altri con le carceri. Ma avelie i vecchi sono destinati ad essere esclusi dal consesso civile: nelle oasi dorate delle case di riposo, per i ricchi, nella solitudine di una soffitta per i poveri. Salvo appunto ricordarsi di questi 12 milioni e mezzo di voti, alla vigilia degli avvenimenti elettorali. Come i bambini i vecchi non possono difendersi, non hanno strutture o organizzazioni, ma più dei bambini sono spesso soli e abbandonati, magari ai piani alti di case periferiche senza ascensore. Anche Antonia Gatti abita più in alto di quanto il suo cuore potrebbe permetterle, ma non è vittima di alcun ritardo, né aspetta alcun'altra pensione: «Le mie 83.350 lire arrivano più o meno regolarmente». Otto biglietti da diecimila sono quanto una nazione civile ha legiferato che le spetti come pensione sociale che dovrebbe garantirle la sopravvivenza. In questo caso c'è poco da indagare: nessuna pratica in ritardo, né uffici intasati. La donna abita in una soffitta di via Mazzini, sopra piazza Bodoni: «Il padrone — dice — per bontà sua non si ricorda da un anno di chiedermi l'affitto. Sono sei piani a piedi che fino a qualche anno fa non mi pesavano molto. Ma adesso ogni volta è come morire». Abbiamo incontrato Antonia Gatti, che ha 73 anni, nel mercato di via Madama Cristina. Quando le bancarelle sono già state rimosse, tra i rifiuti, un paio di vecchi fanno a gara a cercare la mela meno marcia. Antonia Gatti trova una melanzana quasi perfetta: per lei è una giornata fortunata. Salvatore Rotondo

Persone citate: Antonia Gatti, Gianna Marchisio, Marchisio, Salvatore Rotondo