Ogni notte in decine di ease diserete c'è chi sfida roulette (e polizia) di Lorenzo Del Boca

Ogni notte in decine di ease diserete c'è chi sfida roulette (e polizia) Viaggio tra le bische dei poveri e quelle di lusso Ogni notte in decine di ease diserete c'è chi sfida roulette (e polizia) Trenta bische clandestine, un mondo di croupiers improvvisati e affari per decine di miliardi di lire. Torino è una delle città dove si gioca di più d'azzardo. Il primo marzo la polizia ha sorpreso 15 persone che giocavano allo «chemin de fer» in via degli Artisti. Quattro giorni dopo gli agenti hanno fatto irruzione in via Rivara 16 e in via Ghemme 17/3 dove hanno sequestrato le ruote delle roulettes, fiches, denaro, tavoli e tappeti verdi. Il 7 marzo altri due «mini-casinò» sono stati scoperti: in strada per Superga 301 e in via Bava 2. Denunce per i presenti, sigilli alle porte dell'alloggio. Ma i biscazzieri impiegano poco tempo per riorganizzarsi. Una roulette viene presto sistemata in un altro posto e chi coltiva il piacere sottile del gioco d'azzardo non tarda ad avere il nuovo indirizzi) Ogni notte si sfida la fortuna nelle cantine seminterrato dei palazzi sgangherati della periferia. Muri umidi di muffa, intonaco che conserva la confidenza di un poveraccio che, per un torto subito, ha scritto «lo zoppo è ladro» e il piccolo segreto di Franco che «ama Luisa alla follia» di quando l'ombra compiacente dello scantinato, già clandestino, anche se ancora senza biscazzieri, facilitava incontri furtivi. Un barilotto tagliato a metà in un angolo per fare da bar: un fiasco di vino, due bottiglie di grappa e di «fundador», pochi bicchieri (nemmeno due uguali) capovolti su un vassoio di metallo, forse, in un ingenuo tentativo di evitare che si riempiano di polvere. Chi viene, comunque, non si occupa di bevande. Luce opaca di una lampadina appesa a due fili che pendono dal soffitto. Il tavolo con la «ruota», fiches sul tappeto verde rammendato in un angolo, poche sedie da cucina e, per la verità, anche pochi giocatori. E' una bisca da poveri e le puntate sono di poco conto. Ma proprio questi disperati, malati incalliti del gioco d'azzardo, sono protagonisti di risse spaventose. Una contesa per spartirsi una vincita di poche centinaia di lire si decide, spesso, a coltellate. Anche il mondo della «mala» rispetta, tuttavia, le differenze sociali. Il lusso nelle bische lo si trova in appartamenti del centro, accanto ai quartieri «in» della città. Velluti alle finestre, moquettes che cancellano il rumore dei passi, pareti color pastello. Il piano bar a cinquemila lire per consumazione. Biscazzieri quasi eleganti, molti in abito scuro, sguardo «da duri», tagliente che spesso, però, si converte in un sorriso di circostanza. I butta-fuori ci sono ma si tengono in disparte. Si entra dopo avere detto all'usciere la parola d'ordine presa a prestito (noblesse oblige) dal francese. Tutti clienti collaudati e danarosi. Si cambia il danaro in fiches da 20, 50 e 100 mila lire. Nessuno si sogna di proporre un assegno. Attorno al tavolo della roulette i giocatori strizzano gli occhi sulla pallina che impazzisce, saltellando capricciosa, fra le scanalature della «ruota». Il biscazziere imitando un croupier vero tenta di darsi un tono internazionale: «trentesix». Poi, per chi non conosce le lingue: «36, pari, nero». Il rastrello fa pulizia sul tappeto verde. Vengono pagate due vincite soltanto. Sono pochi coloro che riescono ad andare a casa con dei soldi. Il più delle volte si perde tutto. E i giocatori, nella ingenua speranza di «rifarsi», vendono per pochi biglietti da mille accendini, orologi, gemelli, portasigarette, anelli di valore. I rigattieri arrivano prima della mezzanotte. A quell'ora c'è già qualcuno senza quattrini che vuole giocare ancora. I giocatori si conoscono fra loro ma attorno alla roulette si ignorano. Ognuno esegue quasi meccanicamente le puntate senza nemmeno accorgersi se il vicino vince o perde. Calvo, doppio mento, sudato da segnare la giacca sotto le ascelle un commerciante di legnami ha un attimo di fortuna e vince tre volte consecutive poi la dea bendata gli volta le spalle e quando si alza dice di avere appena i soldi per il taxi che lo accompagnerà a casa. Non sa neppure come ha cominciato a frequentare le case da gioco. Tutti i venerdì, comunque, li parsa in bisca. E, pur ripromettendosi che è l'ultima volta, torna puntualmente dopo sette giorni quasi per pagare un debito. Perde anche un inse¬ gnante di Rivoli, «iniziato» da un amico che si è sparato dopo avere perduto al gioco la falegnameria ereditata dal padre; un impiegato lascia sul tavolo lo stipendio di mezzo mese. Un professionista, abito blu, cravatta e fazzoletto al taschino dello stesso colore, comincia male poi recupera e riesce ad andarsene «con i suoi». Frequenta spesso i «casinò» di Saint-Vincent e di Campione: è stato a Venezia e a Taormina. Non riesce a stare lontano troppo tempo dal gioco. Fra lui e l'azzardo c'è quasi un rapporto d'amore. Se per lavoro non riesce ad andare nelle case autorizzate si infila in una bisca. Dove, dice, è più facile perdere perché le pause fra una giocata e l'altra sono più brevi. Capelli corvini, mani callose di chi ha dimestichezza con lavori pesanti, giacca di renna su una camicia aperta, senza cravatta, In tre giocate perde 300 mila lire. Serata rovinata: si alza per andarsene. Sulla porta si accorge che ha ancora una fiche, torna, la punta sul nero. Nero. Gliene danno un'altra e lui le mette sul rosso. Ancora nero. Adesso è proprio «pulito» e può andarsene davvero senza ripensamenti. C'è anche una donna, abito da mezza sera, un'idea di scollatura con una rosa sulla spallina ad aggiungere una nota di civetteria: cliente da vecchia data, ha una sua teoria per vincere al gioco. Segna su un foglio le «uscite», si fa un rapido calcolo delle probabilità, punta. E perde. Ma solo perché il sistema deve essere ancora perfezionato. Dalla stanza accanto giunge l'eco ovattata di tre prostitute, due dita di trucco, gonne con spacco fino alla cintura: cinguettano per fare le carine con tre clienti della bisca che potrebbero diventare clienti loro. Si fanno offrire whisky di pessima marca che comunque costa come un «Watt 69» invecchiato nelle cantine del principe di Galles. Tra l'una e le due di notte una ventina di clienti escono alla spicciolata, con discrezione, attenti a non farsi notare. Cosi come sono entrati. Restano due giocatori Incalliti: per loro la ruota continua a girare fino all'alba. Ad ogni puntata sono decine i biglietti da mille che finiscono nelle tasche dei biscazzieri. Che, tuttavia, riescono a tenerne poco per sé. Devono pagare la protezione al racket che chiede tangenti sempre più consistenti. Poi il denaro viene reinvestito in altre attività: un tempo venivano acquistate sigarette di contrabbando, ora quasi tutto finisce in droga che consente di quadruplicare i guadagni. Lorenzo Del Boca

Persone citate: Calvo, Watt

Luoghi citati: Galles, Rivoli, Saint-vincent, Taormina, Torino, Venezia