Lungo sogno in treno tra donne di due età di Stefano Reggiani

Lungo sogno in treno tra donne di due età Lungo sogno in treno tra donne di due età Dondola ai sobbalzi del treno e s'ingolfa nel sonno la testa di Mastroianni. Lui ha cinquantanni, la pelle liscia di dopobarba, gli occhiali da giornalista o da regista, l'aria di chi ha vissuto con fatica e innocenza. (A trent'anni viaggiava più scomodo sulle macchine d'assalto della «Dolce vita», a trentatré frequentava per crisi morale i cardinali di «Otto e mezzo» nel fumo delle terme). C'è una signora seduta di fronte a lui che lo guarda con interesse e disprezzo (un miscuglio molto sensuale), sembra che voglia lanciargli un messaggio con lo sguardo. Quando s'avvia nel corridoio verso la toilette. Mastroianni la segue, l'afferra e la brancica. Sente un fervore irresistibile di adolescente. Per niente sta sognando. La signora lo irride, lo bacia con una lingua di serpente, all'improvvisa fermata del treno in aperta campagna, scende, allontanandosi leggera sull'erba. Signora, dove va? Mastroianni fa d'un salto la scaletta del treno, solo come una figurina di fumetti. Infatti scopriamo che si chiama Snaporaz, che i pensieri lo inseguono pigri come una nuvoletta, che cammina sussurrando con ironia da vecchi giornalini «smic, smac, smic, smac». Sulle tracce della viaggiatrice misteriosa Mastroianni-Snaporaz, con una leggerezza che non deve far dubitare del suo timore, s'accinge ad entrare nella parte più profonda del suo sogno, s'appresta a visitare, per conto di Fellini, la «Città delle donne». Dura due ore e venti l'itinerario sognato che riempie l'ultimo film di Fellini. Chi ama gli schemi e le suddivisioni, che il regista usa e respinge, può immaginare questi tre fili ideali del sogno. 1) Viaggio alla riscoperta della femminilità felliniana, ricordo delle donne viste, toccate, fantasticate. 2) Viaggio alla scoperta della donna non felliniana, confronto col femminismo e con l'inesorabile alterità delle donne. 5) Viaggio nella dimensione riassuntiva di tutto (il cinema) con l'ansia di arrivare al traguardo e di dimostrare la propria creatività, la propria potenza fantastica, il solo dominio indiscutibile. Da coraggioso, Snaporaz, sobillato da Fellini (in privato Mastroianni chiama il regista col nome eroicomico di Callaghari), affronta subito l'ostacolo più grosso, il fastidio e il fascino più grandi, il femminismo, le donne rivoltate. Inseguendo la signora misteriosa, Snaporaz arriva ad un albergo tra gli alberi dove si celebra un congresso di femministe. E' un congresso di qualche anno fa, nel punto alto della protesta inventiva e dell'ira Il film .La città delle donne» di Fellini è in programmazione a Roma e a Milano. A Torino è stato presentato Ieri in anteprima al cinema Gioiello, dove da oggi continuano regolarmente le proiezioni dUTess». .consapevole. E' una Commedia femminile che l'occhio spaventato e frettolosamente solidale di Snaporaz trasforma in un girone di incattivite vendicatrici. Vilipeso, svillaneggiato, ferito l'uomo intruso riceve, proprio dalla signora del treno, un dettagliato atto di accusa contro la prepotenza maschile che cerca anche nel compromesso la supremazia, l'impunità. Si capisce che la gigantessa addetta alla caldaia, col pretesto di portarlo in salvo, lo conduca in una serra e cerchi di violentarlo. «Voglio andare in stazione», grida Mastroianni-Snaporaz, già intuendo la brutta piega che sta prendendo il sogno. Ma cade prigioniero di un gruppo di ragazzine punk, oscillanti inebetite al ritmo della loro musica fragorosa. Per scherzo, per noia le giovanissime punk iniziano in macchina una caccia all'uomo; meglio di niente. Il cinquantenne affannato potrebbe cadere 11 e troncare il sogno e il film, se il mito stesso della virilità non gli venisse in aiuto dentro la vestaglia damascata di Sante Katzone. Quel bravo seduttore di antico stampo, quel consumatore di donne celebra nella sua villa mausoleo il decimillesimo acquisto (quasi una donna al giorno, facendo i calcoli) prima di cadere sconfitto dalla polizia femminista e dalla tetraggine del suo culto. (C'è un'incredibile galleria delle donne possedute con le diapositive a colori e il suono registrato dei gemiti amorosi, per ognuna uguali e diversi). Nella villa di Katzone, Mastroianni ritrova anche la moglie, malinconica seccatrice, e amica della polizia femminista vestita in abiti nazisti. E' tempo per lui di nascondersi, di seguire i fruscii che da sotto il letto coniugale lo invitano al pertugio segreto verso il meraviglioso otto volante dei suoi ricordi. Scivolando, scivolando le donne indiscutibili, protettive ed eccitanti, ci sono quasi tutte, a cominciare dalla Rosina di Verucchio che lui. da bambino, spiava tra il tenero tepore delle gambe. In fondo allo scivolo c'è l'ultimo capitolo, il processo al passato, al cinquantenne di oggi, alla forza e debolezza dei suoi ricordi. In una grande arena gremita di donne nemiche, Snaporaz scala l'altissimo ring dove gli uomini vengono sacrificati alla propria virilità. Spera di incontrare la donna sempre cercata, la donna sconosciuta; troverà la sagoma illusoria di una mongolfiera col corpo di donna e le stelline intorno al capo. Una raffica di mitra femminista Io farà precipitare dentro il sogno fino al risveglio in treno. Per fortuna, la moglie è quella di sempre, rimproverante e malinconica; per fortuna, le femministe che entrano nello scompartimento hanno l'aspetto conciliante di chi sa perdonare e accettare. Snaporaz, vecchio e timido leone, può rimettersi a sognare. (E' salvo?). Era un film difficile per Fellini «La città delle donne». un appassionante scommessa con se stesso e contro se stesso, perché la sua intuizione naturale dei fatti, la sua felice capacità di rappresentare senza filosofare si scontrava con un nodo ideologico, con un inciampo di attualità storica (il femminismo) posto a contrastare le sue muse di sempre, le donne. Ne è uscita all'inizio una distanza provocatoria, con uno stile volontaristico che ci ha tenuto un poco in sospeso. Probabilmente non ha nessuna importanza sapere se Fellini è femminista o antifemminista (le sue origini più fervide sono, come per tanti, maschiliste e donnivore). Conta che Fellini si sciolga dentro il suo tema storico, senza paura di ricevere accuse o voglia di apparire generoso. Nel film, la chiave felliniana, tenuta stretta per un po' al principio, gira clamorosamente, quando si tratta della propria identità, del proprio cinema. Dei tre viaggi ideali prevale quello nell'espressione: contro le donne nemiche e per le donne amiche (il bellissimo petto di Donatella Damiani) si alzano le invenzioni più struggenti e torbide, come del resto accadde in «Casanova». Noi abbiamo particolarmente apprezzato l'immenso letto masturbatone) che simboleggia il cinema e l'alto ring nell'arena di donne, che non lascia vedere la cima e le sue illusioni. Ma chi abbia voglia potrà distinguere le variazioni di stile, dal grottesco a fumetti, al patetico tormentoso, secondo le variazioni di umore, di paura, di tenacia, di divertimento. Il film è un altro aggiornato «Casanova», dove non solo gli amatori sono infelici, ma anche le donne hanno la loro parte di comprensione e dunque di irrisione. Stefano Reggiani Un disegno di Fellini sul protagonista del film «Katzone»

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