Maschera col ricciolo in fronte

Maschera col ricciolo in fronte L'ATTORE, IL CAPOCOMICO: MONSSU' TRAVET E DINTORNI Maschera col ricciolo in fronte Caro commendatore... In una Intervista rilasciata qualche anno fa al collega Moriondo di Stampa Sera, aveva detto: -Non ho paura della morte. Ci penso e mi sono abituato. Mi piacerebbe tanto, però, morire sul palcoscenico. Come Molière-. E' morto nel suo letto, invece, e ancora pochi mesi fa era sulla passerella della sua Bomboniera, In uno spettacolo che, ripensato oggi, col senno di poi, assume tutta l'aria di un testamento recitato In vita. Ci ha lasciato, alla soglia dei suol settantott'anni. Le biografie ufficiali fissano il suo esordio nella carriera nel 1922, quando, per quindici lire al giorno, il ventenne Erminio Macario venne scritturato, come secondo comico, nella compagnia di «balli e pantomime- di Giovanni Molasso, che agiva sotto i portici di Piazza Castello, al Teatro Romano. Sbagliano, quelle biografie, senza saperlo. Perché prima del gran tuffo del «piemontese» (come lo chiamavano allora) nel mondo della rivista, c'è una decina d'anni d'apprendistato, in cui forse è racchiuso tutto il segreto della sua arte. Piglio di una portinaia vedova di via Boterò, Erminio ragazzo prova un sacco di mestieri: è aiuto-barbiere, garzone in fabbriche di macchine da caffè, lampadine, bascule, gira come apprendista una decina di reparti della Fiat. Un giorno risponde all'annuncio di una rivista teatrale: una compagnia minima e girovaga di provincia cerca un generico. Parte quattordicenne per Belgioioso di Pavia, con un corredo «minimo» comprato usato dagli spizzichini di via Barbaroux: un, tight, un vestito scuro, uno chiaro, pantaloni a righe, una bombetta, una calzamaglia con giustacuori e spada. La compagnia è la famiglia del cavaiier Salvettl, moglie, suocera, nove figli. Girano a Pieve di Porto Morone, Soragna, Cortemaggiore, Roccabianca, Pianello Val Tidone, nomi di una geografia padana che sta tutta in un fazzoletto, ma che si carica, nell'evocazione, di un tocco di patetico esotismo. Macario recita, con quel Carro di Tespi formato nostrano, di tutto: Felice Cavallotti e Niccodemi, Santerellina, I due sergenti. Morte civile. Ma soprattutto, in quelle sale da ballo di cooperative paesane, in quelle fumose stanze da osteria, fa collezione di tipi umani. Uno, in particolare, lo studia da vicino, con minuzia e puntiglio, in quegli anni di Guitta'.e mi ne: il candido indifeso, l'ingenuo spaurito, l'innocente che si fa largo a colpi di sorriso in un mondo di furbi. E' il personaggio che metterà a punto, con una finezza intellettuale e una sottigliezza psicologica di cui non tutti mi sembra si siano pienamente resi conto, negli anni prima del suo riconoscimento professionale: quando, nel giugno '28, la regina delle soubrettes, Isa Bluette, viene a pescarlo nottetempo in auto, da Modena, dove lavorava, al parco Mlchelotti e gli offre un contratto a sessanta lire al giorno nella sua compagnia. In quei mesi, inebriato dal successo, Macario è capace di sfoderare in un solo spettaco- lo sette macchiette diverse. Ma il suo ruolo di punta resta Tornino dai tondi occhi sgranati, dal ricciolo in tondo sulla fronte (un suggerimento, questo, di Petrolinl), dalle braghette corte sugli stivaletti a nastro, e il cappelluccio sulle ventitré. In una Italia di uomini forti, di seminatori, di mietitori al sole lungo la strada ferrata, quali li vagheggia il regime, Macario, che nel frattempo è divenuto capocomico e si esibisce in tanti cinema-teatro della penisola, contrappone il suo eroe-virgola, il suo pusillo beato. Quelli strepitano frasi reboanti, lui sembra sfogare la propria ironia in miti silenzi, esita, si tormenta i bottoni della giacchetta da ripetente recidivo, sbotta, tra la tenerezza e il dispetto, nel cantilenante «Lo vedi come sei?-. Gli altri, gli uomini forti, non lo vedono come sono, ma la gente semplice si riconosce nella sua dolcezza inerme: e un disegnatore, Manca, si ispira a quella maschera per un personaggio del Corriere dei piccoli Alle massaie poppute e plurigemine decorate da podestà e fiduciari contrappone, coni arguzia monellesca, le sue donnine, snelle di vita e di gamba lunga. Con loro, dico-, no, e con tutti gli attori che la-1 vorano con lui, è eaigentisslmo. Non tutti i copioni del periodo sono all'altezza del suo talento: ma il professionismo, l'accuratezza formale dei suoi spettacoli del secondo dopoguerra fanno testo. L'attore e il capocomico, insomma, si ritrovano nella stessa esigenza di rigore delle realizzazioni. E il ritorno al teatro di prosa è, oltre che un recupero degli entusiasmi giovanili, anche l'esito naturale di un Macario che vede la rivista ormai in crisi di professionalità. Meglio allora recuperare dal passato remoto di una tradizione di cui è stato sempre, gelosamente fedele, il profilo risentito di Moussii Travet, il mezze-maniche vilipeso dalla vita che, se. non fosse per le date, Bersezio sembra avergli cucito addosso su misura; meglio provarci con uno Sganarello che, per essere stato strappato alle verzure di Versailles, non è meno burlesco e Irriverente. Caro commendatore. Come sono egoisti, come sono esigenti gli spettatori a teatro. Ci ha fatto dono cosi a lungo della sua calda, rasserenante presenza: eppure vorremmo ancora averlo li, dinanzi a noi, seduto in proscenio, le gambe penzoloni, snocciolare le sue strambe tiritere, proprio come l'ultima volta. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: Cortemaggiore, Italia, Modena, Pavia