Macario, comico di tre generazioni di Luciano Curino

Macario, comico di tre generazioni LA VITA E IL TEATRO DEL POPOLARE ATTORE SCOMPARSO A TORINO Macario, comico di tre generazioni Dalla nomade esistenza del guitto alle luci del varietà - Le famose «donnine» degli Anni 40 - Scoprì e lanciò decine di. attrici del teatro leggero e del cinema - Wanda Osiris: «Finiscj^un'epoca» - Come lo ricordano Campanini e Farassino TORINO — Il popolare attore comico Erminio Macario è morto martedì notte nella sua abitazione torinese. Era nato il 27 maggio 1902, in via Boterò, nel cuore del centro storico, a non più di dieci metri dalla sua attuale casa. Nel gennaio scorso aveva dovuto abbandonare il palcoscenico e lo spettacolo ideato dai figlio Mauro, «Opta, giochiamo insieme», ed era stato ricoverato in clinica per un male incurabile. Con Macario si era chiacchierato un po' in teatro, alle prove di uno dei suoi ultimi lavori. Pareva insoddisfatto, esigente con gli altri attori e severo con se stesso. Li col copione in mano a aggiungere, sviluppare, modificare, togliere qualche battuta, e intanto diceva: «Penso alla gente che mi segue: prima i nonni, poi i padri, adesso i figli. Comprano il biglietto e bisogna dargli il meglio. La gente non è mica cambiata; cambiano i sistemi, i modi di trattare, il linguaggio. Bisogna seguire i tempi, bisogna sapere sempre porge¬ re alla gente. E' quello che io mi sforzo di fare da più di mezzo secolo. Eh si, sono esigente, pretendo, perché questo è un lavoro e, come tutti i lavori, va fatto nel modo migliore». Afacario ricordò che Petrolini nel 1934, era andato da lui nel camerino del Reale di Milano, gli aveva detto: «Sei rimasto piemontese. Fai bene. Mai rinnegare la propria origine. Ma perché metti la parrucca e il naso finto? Con una faccia come la tua, anche senza trucco si fa ridere». Un omino con occhi insieme ridenti e stupiti con un'aria che non sai se tonta o furbacchiona. Erminio Macario, forse l'ultima maschera del teatro italiano. Nato poveretto. «In casa mia si rideva molto, ma si mangiava poco». Il ragazzo Macario attorcilo dei Salesiani in farse ingenue. Tanti mestieri tentati a 14 anni incominciò l'esistenza nomade del guitto, a fare «girovaganza» su e giù per Piemonte e Lombardia, improvvisando recite nelle borgate per un piatto di mine¬ stra. Anche due recite nella stessa giornata: il pomeriggio al circolo socialista, la sera al teatro parrocchiale. «Ricordo che dopo il primo atto ci si doveva lavare la faccia, perché il carburo della luce ad acetilene buttava un fumo che ci anneriva». Vita pittoresca, ma durissima. Dice Carlo Campanini che gli è stato compagno nei film: «Macario veniva dalla gavetta ed era la sua forza. Ha fatto parte di compagnie che noi chiamiamo "gli scavalcamontagne": gente che fa il teatro eroico, compagnie di "serie Z", ma in cui c'è scuola e vi si impara a sostituire, in ogni momento, il tizio o il caio in lavori classici di polso». Afa pare che nei lavori classici di polso Macario facesse soprattutto ridere, anche a sproposito. Era per quei suoi tondi occhi pieni di spavento e di meraviglia, per l'ingenuo candore, era per quei suoi passettini da papero: il pubblico rideva. In un truce drammone gli toccò la parte del morto: risate anche quella volta. Macario cominciò a studiarsi allo specchio: era davvero così buffo? «E un giorno, scrisse Orio Vergani una trentina di anni fa, Macario scopri in uno specchio di una locanda di paese il suo vero volto: il volto di un bamboccio senza cattiveria, alternato di fanciullesca innocenza e di monellesca furbizia... Ritornò alla fonte viva del vecchio teatro popolaresco italiano e di sé fece una maschera, con il vasto stupore dei suoi occhi a volte stralunati e a volte sonnacchiosi, con le clownesche macchie rosse sulle gote rubizze E con parrucca e naso di cartapesta, finché Petrolini glieli fece togliere. «Ma senza 11 par nicchino mi sentivo come nudo in scena e allora mi facevo scendere i capelli sulla fronte e il sudore li appiccicava. Il mio ciuffetto è nato cosi». Macario si considerava il «creatore della rivista femminile». Nel 1928 Isa Bluette, la «regina delle soubrettes», lo aveva chiamato nella sua compagnia e li il comico aveva imparato tutto quello che c'e- ra da imparare. Nel 1935 Ma'cario aprì la serie dei suoi spettacoli «ad alto livello» Scritturando a Vienna venti ballerine, con il preciso scopo di rivaleggiare con i Fratelli Schwarz. Le chiamò «donnine» e le offrì, pochissimo vestite, agli sguardi rapaci del pubblico. Inventò la passerella e le girls furono a portata di mano dei più lesti a farsi avanti «Una sventagliata di ombelichi al vento, danzanti e variopinti come coriandoli» ricordava Macario. Le donnine erano tutte frufrù sulla passerella, sfilavano in una nuvola di cipria e di felicità, ma dietro le quinte il capocomico imponeva una disciplina spietata. Macario faceva provare anche dieci ore al giorno le soubrettes, che furono Hilda Springher, Lina Gennari e, dal '38 al '42, Anna Menzio alla quale fu dato un nome da deità egizia: Wanda Osiris. E poi: Olga Villi, Marisa Moresca, Lilly Granado, Carla Del Poggio, Erika Sandri. Lea Padovani Elena Giusti Isa Barzizza, Dorian Gray, Lauretta Masiero, Sandra MondainU le Tre Nava, Marisa Del Frate, Raffaella Carrà e qualcun'altra. Tutte scoperte da Macario, tutte venute su alla sua severa scuola. «Le facevo ripetere le stesse cose venti, trenta volte. Tutte: le soubrettes e le donnine. Qualcuno veniva a dirmi: ma lasciale respirare quelle ragazze, sono di là in camerino che non ne possono più, mi raccontò. Eppure mi volevano bene. Quando se ne andavano, ogni tanto mi scrivevano, si facevano vive. Molte, se sono brave, lo devono un po' anche a me». Duro sul lavoro, bonario fuori dal teatro, «sono un tipo familiare», diceva. Era un tipo casalingo, un quieto borghese con stupori fanciulleschi Una quarantina di riviste, una ventina di film. Disse: «Faccio ridere gli italiani col ricciolino in palcoscenico e sullo schermo con le mie avventure di vagabondo candido e sbalordito. Faccio ridere grandi e piccoli, uomini e donne. Presunzione la mia se dico questo? No, perché 11 ho inventati io i bisticci di parole, i riflessi ritardati, le dissociazioni nelle preposizioni, l'inconclusione dei discorsi». Dopo trent'anni di passerella tornò al teatro di prosa, e rinverdì il successo, creando con buon mestiere e sensibilità piccoli uomini patetici un poco chapliniani «Toccava le corde del sentimento, ma continuava ancora a far ridere quando voleva» dice Gipo Farassino, l'attore dialettale torinese che con Macario ha interpretato una commedia musicale. «In scena mi avvertiva con un bisbiglio: "Tensiun, attenzione che adesso li faccio ridere". E un attimo dopo tutto il teatro scoppiava nella risata. Una comicità basata su pause, attese, un certo sguardo o una mossetta. Non ho mai capito perché non abbia tentato un teatro più "importante", affrontato grandi testi Aveva già fatto a malincuore Afonssù Travet-. Settant'anni settantacinque e non si fermava. Ancora teatro, radio, televisione. «Questo è un lavoro che non solo affascina e trascina, ma non puoi farne a meno». Come spiegare la sua intramontabile popolarità? Massimo Scaglione, che di Macario è stato regista in teatro e per la radio e la televisione, risponde: «Era un attore che non recitava, ma parlava. Niente di artificiale e poi un grande rispetto per il pubblico. Lo ripeteva sovente: "Il pubblico va rispettato, bisogna dargli il meglio". Si trovava a disagio alla televisione, perché gli mancava il pubblico, 11 suo grande interlocutore». Settantasette anni e ancora faceva programmi di lavoro. Era riuscito l'anno scorso, non senza ostacoli a vedere realizzato un suo antico, ambizioso progetto: avere un teatro dove poter lavorare ogni giorno, a contatto con il pubblico che sempre lo aveva amato. Un teatro tutto suo, e gli aveva dato un bel nome, l'aveva chiamato -La bomboniera-. «Si è portato via un'epoca, quella del teatro-rivista. Macario era ormai un'istituzione meravigliosa e commovente. Si sentirà la sua mancanza» dice Wanda Osiris. Luciano Curino Tre Immagini a simbolo di una carriera: in una delle sue più tipiche espressioni comiche; con Wanda Osiris, coppia celebre dei primi Anni 40; con le sue famose «donnine», in una rivista del '66

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