Una vera guerra cambia il Sahara di Mimmo Candito

Una vera guerra cambia il Sahara OSSERVATORIO Una vera guerra cambia il Sahara A cinque anni dall'inizio della guerra nel Sahara Occidentale, la battaglia di questi giorni nella provincia marocchina di Tizghert è una svolta tattica importante: si son trovati di fronte da 5 a 7 mila uomini, con carri blindati e missili. La guerra di guerriglia s'è trasformata in una guerra manovrata, ma anche questa volta hanno vinto i sahararni del Polisario. Le notizie che s'hanno dal Marocco parlano di un «serio trauma* nella corte scerifiana e tra gli alti gradi militari; un emissario di re Hassan sarebbe in Francia per sollecitare ancora una mediazione di Giscard su un incontro Ben Jeddid-Hassan, e la Spagna starebbe valutando la convocazione d'una seconda Conferenza di Madrid per sanare in qualche modo i guai della prima, tenuta nel '75 sul letto di morte da Franco. Ma non è che ci siano molte speranze: il Marocco s'è ormai annesso l'intero Sahara Occidentale, e re Hassan sopra ci ha giocato la propria sorte. Nel senso che, a questo punto, una sconfitta politica o militare segnerebbe anche la fine del suo regno e il probabile passaggio a un governo militare. Spazio per mediazioni non ce n'è poi tantissimo, e all'inizio del mese il re è andato fin a Dakhla (cioè nel Sud, in quello ch'era stato territorio assegnato alla Mauritania) per riaffermare la marocchiniti» dell'intero Sahara e il rifiuto di qualsiasi trattativa al riguardo. Come uscirne? Nessuno può dirlo, anche se è ormai facile ricordare gli ammonimenti e le preoccupazioni con cui cinque anni fa si vide nascere questa guerra: perché, dietro saharaui e Hassan il gran gioco strategico s'allarga poi a una schiera fitta di altri protagonisti, che arrivano fino a Washington e Mosca. La prima, che a lungo aveva mantenuto una certa neutralità, ha cambiato ora (dopo l'Afghanistan) la sua linea politica, concedendo un notevole aiuto d'elicotteri e d'aerei al Marocco e inviando lo specialista del Dipartimento di Stato per gli affari nordafricani, Carleton Coon, in viaggio fino a El Aiun; poiché un trattato del '60 impone a Rabat l'uso «difensivo e interno, degli aiuti militari americani, l'invio di queste armi e la presenza anche di Coon nella vecchia capitale sahariana significano, di fatto, il riconoscimento Usa della marocchinita del Sahara. In quanto a Mosca, nessuno può dire ancora d'un suo coinvolgimento diretto. Ma la fornitura maggiore delle armi al Polisario (compresi i micidiali Sam-7) arriva da Tripoli, che è un buono, anche se difficile, alleato de 11'Urss: e il maggior sostegno politico è dell'Algeria, che se non ama moltissimo l'Urss certamente vede con ancor minor piacere una più radicata presenza americana nel Maghreb. Ci sono, insomma, tutti gli elementi per far nascere nel Nord Africa una nuova zona di forte tensione internazionale. Con in più il paradosso che tutti sono convinti d'un ruolo insostituibile di Hassan, la cui caduta sposterebbe l'allineamento del Marocco e introdurrebbe un elemento drammatico di destabilizzazione dell'intera area. Il Polisario (riconosciuto ormai da 36 Paesi, ultimo l'Iran) affianca le sue azioni militari fin dentro il territorio marocchino con una proposta d'apertura di negoziati: il suo obiettivo non è la caduta di re Hassan, ma una qualche formula che consenta di realizzare l'indicazione dell'Onu e dell'Oua — l'autodeterminazione della gente saharaui —. Sembra un obiettivo legittimo, ma il gioco delle armi è ormai talmente deteriorato che anche la legittimità può diventare utopistica. Mimmo Candito