Il giorno che Stendhal pianse sui «Sepolcri» di Ugo Foscolo di Alfredo Venturi

Il giorno che Stendhal pianse sui «Sepolcri» di Ugo Foscolo RICORDATI A MILANO I SUOI INCONTRI UMANI E CULTURALI Il giorno che Stendhal pianse sui «Sepolcri» di Ugo Foscolo MILANO — L'aurora della mia vita, il fiore della mia vita. Sono le due stagioni di Stendhal a Milano, le chiavi biografiche del fenomeno umano e letterario che ha nome «Henri Beyle milanese». Un fenomeno che da sempre appassiona quella che Victor del Lltto chiama «la comunità stendhaliana», e che costituisce il tema delle manifestazioni di questi giorni: il grande convegno di studi, che è il quattordicesimo congresso internazionale stendhaliano (11 quindicesimo, fra tre anni a Parigi, illustrerà il bicentenario della nascita), ma anche una serie di mostre, la definitiva acquisizione alla città del preziosissimo «fondo Bucci», perfino la riscoperta di una opera musicale, la «Testa di bronzo» di Carlo Evaslo Soliva, che a suo tempo appassionò l'appassionato autore della Certosa di Parma. L'aurora, 11 flore della vita di Stendhal. L'aurora: è il fatidico 1800, nel giugno il già Inquieto diciassettenne grenoblese scende in Italia al seguito di Napoleone per la via classica del Gran San Bernardo, arriva a Milano, dove trova quello che nella Certosa definirà «un popolo Intero innamorato pazzo». Poi, dopo Marengo, il giovane Beyle entrerà nei ranghi: sottotenente nel sesto reggimento dragoni, lascerà gli ozi metropolitani nel corso di Porta Orientale per una guarnigione in provincia. Il fiore: stavolta non di pochi mesi si tratta, ma di anni, i sette anni fra l'agosto del '14 e il giugno del '21. L'ufficiale quasi adolescente del 1800 è adesso uno scrittore fra 1 trenta e 1 quaranta, pieno di nostalgie napoleoniche ma soprattutto ricchissimo di fervide curiosità intellettuali. Ecco qui riunita una legione di specialisti attorno alle due facce del fenomeno: Milano e Stendhal. Milano, una città di centoventimila abitanti, tutta racchiusa nei bastioni spagnoli, una città di cultura aperta sul mondo, dove si vive intensamente la transizione dall'età neoclassica alla romantica, dove la politica irrompe nella cultura proponendo all'Europa l'equazione romanticismo-liberalismo. Stendhal dovrà andarsene proprio per avere verificato questa equazione, e dopo che il suo nome, quello vero di Henri Beyle, sarà entrato nei libri neri del governo austriaco. Il principe Metternich non negherà forse, più tardi, il gradimento alla destinazione a Trieste di Stendhal diplomatico? E non nascerà proprio da questo rifiuto l'altra stagione italiana dello scrittore, quella di Beyle viceconsole a Civitavecchia? I temi specifici d'indagine, per chi studia il rapporto fra Stendhal e Milano, sono tanti e di enorme interesse. I rapporti con gli scrittori italiani, gli amori appassionati, la conoscenza di personaggi-simbolo. Ludovico di Breme non è forse stato indicato come il modello ispiratore di Fabrizio del Dongo? E le donne, le donne affascinanti dei romanzi, quali radici hanno nella società milanese dell'età immediatamente post napoleon Ica? Ecco Italo Calvino analizzare 11 De l'amour, «11 più milanese dei libri di Stendhal» come lo definisce lo specialista parigino Michel Crouzet, scoprirvi le suggestive geometrie dell'amore, anzi della «Via lattea», dell'indistinta massa di stelle e vapori che l'idea dell'amore gli richiamava. Ecco Crouzet, appunto, esaminare attraverso la figura di Matilde Vlscontinl Dembowski, la Méthilde dell'infelice passione di Stendhal, il rapporto fra erotica e poetica nell'opera stendhaliana. Méthilde nel ruolo di musa, che propone ma non soddisfa, «promessa di una bellezza che non si dona mai, che resta dunque oggetto di ricerca». Una conclusione fra le tante: Stendhal troppo appassionato per essere un vero teorico dell'amore. E un'osservazione di Calvino: 1 personaggi femminili dei romanzi sono sempre «superiori», «protettivi», forse l'immagine emergente della madre, che Henri aveva perduto a sette anni. E poi gli scrittori, i poeti italiani. Ouldo Bezzoia studia il rapporto cosi «milanese» con Manzoni, dal quale lo separava un abisso per ragioni di fede: il laicissimo da una parte il, cattolicissimo dall'altra, tanto più tale dopo la giovanile sbandata giansenista. Eppure in una certa occasione Stendhal trovò il modo di definire Manzoni, con Byron, il massimo poeta lirico vivente: in particolare poi lo appassionò, lui impenitente bonapartista, il Cinque Maggio. Ma nella scala delle preferenze stendhallane in fatto di poeti italiani il primo posto toccava a Vincenzo Monti. Una scelta che può sorprendere, osserva Gennaro Barbarla! dell'università milanese, e che in buona parte ci sorprende, spiega, per via di un certo moralismo risorgimentale romantico che ci trasmise l'immagine di Monti come quella di un vanesio, elegante passatista, e politicamente cosi poco affidabile. Resta 11 fatto che Stendhal non esitava ad accostare Monti a Dante, Ariosto, Tasso, a riconoscere a lui più che a Ugo Foscolo il dono di rappresentare al più alto livello culturale l'uomo italiano del tempo, con i suol pregi e i suoi difetti, compresa fra gli ultimi una Infantile instabilità di umori e di scelte. Ciò non toglie che Beyle abbia in un'occasione definito admirables i versi di Foscolo (si riferiva al sonetto Alla sera, lo aveva sentito in un fantastico crepuscolo He solano), e che un giorno, uscito barcollante d'emozione da Santa Croce, abbia pianto sui Sepolcri, il poemetto che nonostante le riserve più volte espresse teneva accuratamente piegato nel portafogli. Impossibile riferire di tutti gli spunti, della grande ricchezza di analisi e riferimenti che escono da questo convegno, e anche dalle mostre collaterali. Il carattere focoso di Stendhal, eccolo consegnato alle note rabbiose sui testi che non amava, «illeggibile» c'è scritto su un'edizione di Chateaubriand che fa parte del fondo Bucci. Il fondo Bucci: che dopo infinite traversie è finalmente approdato a Milano, donato alla biblioteca comunale dalla Banca Commerciale. E' ancora in parte materiale da analizzare, certo il massimo punto d'interesse per la prossima fase di studi stendhaliani: proprio ieri è stato presentato il catalogo a cura di Gian Franco Grechi, pubblicato dalla Comit per le edizioni Scheiwiller. Si tratta di una parte del materiale che nel 1841 il viceconsole francese lasciò a Civitavecchia quando andò in licenza a Parigi dove lo aspettava la morte. Altro materiale fu inviato agli eredi da Donato Bucci, amico di Stendhal ed esecutore testamentario. Il fondo» rimasto fu acquistato da Giovanni Gentile nel 1942 e finalmente, per l'iniziativa della banca milanese, ha trovato la sua sistemazione nella biblioteca di Porta Vittoria. Un motivo in più per giustificare quel pellegrinaggio a Milano che è radicata consuetudine degli stendhaliani di tutto il mondo. Alfredo Venturi