Proclemer, grande seduttrice in una Lupa tutta e solo sua

Proclemer, grande seduttrice in una Lupa tutta e solo sua Al Carignano il dramma di Verga, regista Puggelli Proclemer, grande seduttrice in una Lupa tutta e solo sua TORINO — Che vitalità impetuosa, che passionalità avvolgente quella di Anna Proclemer in questa Lupa di (e da) Verga, che dall'altra sera è approdata al Carignano! L'attrice, la grand'attrice (e l'aggettivo vuole avere, anche, una connotazione tecnica, richiamare ad una stagione precisa del nostro teatro) sprigiona tutte le sue energie per far meglio di quanto una lambiccata drammaturgia e una regia lievemente distratta le consentirebbero. Il drammaturgo si chiama Gigi Lunari, è uomo di teatro colto e fine. Ha preso l'atto unico verghiano (1896): lo ha contaminato col racconto omonimo, stupendo per concentrazione e forza allusiva; vi ha miscelato altri inserti verghiani e lo ha fatto precedere da un monologo .a montaggio» dalla Fedra di d'Annunzio. Qual è il significato dell'operazione? Strappare il testo ad una innegabile misura di bozzettismo, ridargli durata a ritroso, sino alla nostra antichità più buia, sino alle nostre ancestrali scaturigini. Ma a parte che il tema della Fedra e quello della Lupa non coincidono (l'interdizione dell'incesto ha poco a che fare con la passione di una donna adulta per un giovane), l'impasto non riesce, resta intenzionale: e, semmai, sono le bellissime canzoni in scena di Rosa Balistreri a restituirci, a tratti, il senso di una nostra pristina ferinità. Il regista si chiama, inceve, Lamberto Puggelli. Nelle ultime stagioni ci aveva positivamente colpito per alcuni suoi lucidi allestimenti. Qui sembra un poco latitare: ci avrà messo tutta la sua intelligenza, non lo nego, tutto il suo puntiglio: ma il risultato è pallido, quel coro di giovani lavoranti e giovinette sull'aia si muove senza fantasia, le scene di seduzione (Proclemer a parte) non hanno fascino visuale, le risse, che nel testo hanno pur sempre qualcosa di atavico, qui scadono a domestici parapiglia. E' quasi certo che il regista sia stato poco aiutato dagli attori. E qui si torna al tema del grande attore e ai ruoli che gli stanno attorno. Quanto più si dispone di una personalità preminente, diclamo pure debordante, a teatro, non si deve commettere l'errore di circondarlo di figurine smorte, senza vitalità scenica: tanto più se il copione concede loro poco spazio. E proprio allora che bisona riempire i vuoti, colorire ad ogni costo: sennò il primattore si staglierà (come qui accade) in una disperante solitu dine. Se si esclude, infatti, il Marchesini, che è professionista d'esperienza e fa un ruvido compare Janu, il coro non persuade in questa edizione del dramma verghiano: e te gliere alla Lupa coralità vuol dire schiacciare in primo piano il dramma d'amore a tre senza però concedergli un minimo spazio di risonanza. Dei tre, poi, Fausto Di Bel- la, che ha una sua statuaria bellezza ippolitea, non ha compreso che in codesto Nanni Lasca c'è una componente di grettezza, dì meschino calcolo da renderlo abbastanza spregevole (l'ossessione della roba, ad esempio). Verga ci contava molto che venisse fuori in scena, per evitare che la bruttura morale (e la riprovazione del pubblico) fossero tutte a carico della Gna Pina. Con molta più accortezza lavora Sabina Vannucchi nella parte della figlia Mara, vittima indifesa di un destino di cui avverte tutto il peso e l'iniquità: ma è il fisico esile e sparuto della giovane attrice a pendere a suo sfavore, soprattuto nello scontro con la madre, che è la scena più delicata del dramma. Qui, nell'urlare ad alta voce, con una punta di ribalderia, persino, il suo diritto ad amare, contro istituzioni e convenzioni del vivere sociale, la Proclemer grandeggia. Ma tutta la sua prestazione sarebbe da ripercorrere, brano a brano, sequenza dopo sequenza, per cogliervi il delicato, difficile punto d'innesto di una impetuosità straripante e una intelligenza critica lucida e ferma. Quando striscia, come una pantera, a sedurre Nanni, profondendo i doni della sua voce roca, incurante del dileggio degli altri; quando si preme il grembo infuocato o distilla sillabe di ghiaccio sul petto dell'amante; quando, rannicchiata sulla seggiola, beve, goccia dopo goccia, il calice amaro della ripulsa, questo amalgama di passione e intelligenza è perfetto. Guido Davido Bonino Anna Proclemer

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