Amore mio, uccidi subito Garibaldi e i rossi banditi di Alfredo Venturi

Amore mio, uccidi subito Garibaldi e i rossi banditi documenti e finzione sulla guerra del 1866 vista dall'altra parte Amore mio, uccidi subito Garibaldi e i rossi banditi MILANO — «Mi dici che vai nelle montagne sopra Rovereto, verso il Lago di Garda. E' 11 che vi tormenta Garibaldi, coi suoi rossi banditi. Amore mio, uccidi subito questo Garibaldi! Lo trovi, gli spari, e torni da me un eroe per tutti e non solo per gli occhi di una moglie incinta...». La lettera è datata Vienna, 23 giugno 1866. La scrive Leopoldina dei principi Lobkowitz all'uomo che ha 'sposato tre anni prima, il conte Fedrigo Fedrigotti di Rovereto. Lui sta accingendosi a quella che dall'altra parte si chiamerà «terza guerra d'lndipendenza>, e proprio quel giorno l'esemplare coppia asburgica, la grande aristocratica di Boemia e il piccolo nobile di frontiera, sono andati a fare shopping nelle strade di Vienna. Uno shopping non proprio tradizionale, nella metropoli di Kakania oppressa e stupita dal concentrico attacco di prussiani e 'piemontesi-, dal Nord e dal Sud: si è mai vistaai mondo un'alleanza più innaturale? La tenera moglie scrive: «Ripenso alla giornata, siamo andati in giro in città a fare spese; potevano essere spese per 11 bambino che ci sarà, oppure per la ca- sa di Sacco da mettere a posto; spese normali, come si fa quando si va nella capitale. Due sposi per negozi, con pacchi da portare. Invece siamo venuti nella capitale, spendendo gli ultimi soldi che avevi, per comprarti l'uniforme... piango per te che oggi hai fatto la spesa per la tua guerra..». Infatti il conte Fedrigo parte volontario, e come un cavaliere antico deve pagarsi il viaggio, l'uniforme. Lo aspetta, fra Val d'Adige e Alpi Giudicane, la breve rabbiosa estate del '66, la sanguinosa guerriglia di montagna, e poi la frustrazione asburgica per la guerra vinta a Sud, ma perduta a Nord, cosi bisognerà dire addio per sempre a Venezia, fantastica gemma della corona imperiale. Quella singolare estate di guerra rivive in un -romanzo- folto di suggestioni, che intitola una frase della lettera citata: Amore mio uccidi Garibaldi. Uscirà a giorni per Longanesi, lo ha scritto Isabella Bossi Fedrigotti, trentanni, giornalista all 'Occhio. La coincidenza del nome dell'autrice e del nome del protagonista contribuisce a spiegare come mai sia il caso di parlare di romanzo tra virgolette. Quel «bambino che ci sarà» della lettera di Leopoldina è Ferdinando, nonno di Isabella. E le lettere, perché questo è un libro di lettere, ■un elegante racconto epistolare, devono molto all'archivio di casa Fedrigotti. Molto, ma non tutto. «Le lettere autentiche me le ha lette mia madre, sono scritte in un gotico che soltanto lei capisce: ma con quei caratteri astrusi i bisnonni parlavano di vestiti, della digestione, del tempo». £ Fedrigo, nella parziale fiction del libro: «Di solito mi scrivevi di vestiti e storie di matrimoni tra amici, o altri pettegolezzi!». La chiave di questo libro — dice l'autrice — sta proprio nella «cultura da cui provengo, che detesto e che amo, che mi limita e mi dà sicurezza»; una cultura costretta nelle buone maniere, ossessionata dallo spettro della precarietà, protesa al mito della sicurezza, la casa la terra i buoni matrimoni e i solidi patrimoni, una cultura dall'identità incerta. «Quando andavo a scuola bambina, ero fuori posto perché figlia del conte, perché di madrelingua tedesca: poi mi hanno mandato in collegio a Firenze, cosa abbastanza bizzarra perché tradizionalmente si andava a Innsbruck, a Vienna, e 11 ero fuori posto per la provenienza paesana». Esattamente come il bisnonno Fedrigo: a Rovereto «il conte», e più tardi «11 sindaco» al quale resta oggi intitolata una strada, a Vienna un piccolo ufficiale di provincia, che parla un pessimo tedesco, non ha il becco di un quattrino, e per di più è timido e un po' piagnucoloso. Nonostante la timidezza, Fedrigo che è di bell'aspetto e canta con «eccellente timbro di tenore» raggiunge un du plice riscatto: entra in un prestigioso reggimento di ussari (Isabella ricorda il ritratto di casa, la bella uniforme blu, quella specie di giacchetta che pende elegante dalla spalla), e sposa la sua adorata principessa boema, che adesso lo invita teneramente a sbarazzare il mondo dal bandito Garibaldi Eccolo dunque fra le mon-' lagne infestate dai garibaldini, eccolo cavalcare fra i Kaiserjaeger e i Landesschuetzen in caccia di camicie rosse. L'uomo che dovrebbe uccidere Garibaldi ha il cuore tenero: un giorno scopre un volontario italiano appostato a 'terra, ricoperto di rami di pino che nascondono il rosso dell'uniforme ma anche gli danno prurito. Potrebbe ucciderlo, ma preferisce spronare via E scritte a Leopoldina, probabilmente contrariata: «Non ho avuto il coraggio di sparargli. Come si fa ad ammazzare uno che ha prurito sotto il collo?». Questo e altri dettagli, per tornare al discorso sul 'genere-, hanno la loro autenticità non nelle lettere alle quali ora vengono affidati, ma nella tradizione orale di famiglia, le lunghe chiacchierate, i ricordi trasmessi attraverso le generazioni C'è una vivida ricostruzione del clima per cosi dire politico nel Trentino del '66: i liberali unitari che si annidano nella borghesia e anche fra gli aristocratici (perfino in casa Fedrigotti: Filippo, uno dei tanti fratelli di Fedrigo, è «italianisslmo»>; la fedeltà austriaca dei contadini, non solo i germanofoni più a Nord ma anche i Welschtiroler, questi devotis-' simi tirolesi del profondo Sud che di tedesco non capiscono una parola ma esultano alle notizie di Custoza, di Lissa, e fremono all'avvicinarsi dei «rossi banditi» di Garibaldi C'è del resto nel libro, cosi come nella tradizione di famiglia, il peso greve della frontiera La sensazione di essere «ai margini», normal¬ mente esorcizzata con saggi matrimoni austriaci lassù nel Nord solido e rassicurante. «Mio padre è nato in Boemia, non lontano dal castello dei Lobkowitz: il nonno si era infatti sposato e stabilito da quelle parti». Ma poi la guerra, la rivoluzione cecoslovacca, la necessità di tagliare quest'altra radice, ci mancava solo questa dopo l'Austria felix defunta: la famiglia di frontiera è ancora una volta sospinta dai casi incomprensibili della storia. Cosi non resta che riprendere a Rovereto le dilette cure agricole, combattere le insidiose angosce meridionali con qualche pacata nostalgia asburgica, soprattutto con la produzione di un vino eccellente che ha nome Foianeghe, forse lo stesso che Fedrigo voleva esporre a Vienna ma non potè per la guerra, la strana guerra dei due fronti. Alfredo Venturi Il conte Fedrigo Fedrigotti, in piedi, indossa l'uniforme. Nella fotografia a destra: Garibaldi, dopo la ferita subita ad Aspromonte, ha accanto la moglie Francesca Annosino e una figlia