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Taccuino di Vittorio Gorresio di Vittorio Gorresio
Taccuino di Vittorio Gorresio Taccuino di Vittorio Gorresio Noi rifuggiamo dal definitivo, non tanto per saggezza filosofica quanto per quella disposizione nazionale a un compromesso che consenta disfare domani ciò che possiamo esserci trovati costretti a fare oggi. Al nostro Stato repubblicano trentaquattro anni fa demmo un capo che ufficialmente fu definito provvisorio, e tuttora la nostra Costituzione ha in appendice XVIII disposizioni qualificate transitorie. Precari sono una quantità di nostri insegnanti, e anche molte leggi (come a esempio quella sull'equo canone) sono promulgate con l'esplicita avvertenza che una loro modifica è a ogni momento possibile. Quanto abbia a giovarsene la cosiddetta certezza del diritto è superfluo avvertire. Ma qui non è dei massimi problemi costituzionali che intendiamo parlare. Parafrasando il Virgilio delle Egloghe (IV. 1) «Paulo minora canamus» per questa volta, e non è impropria questa allusione al cantare su temi alquanto minori poiché appunto si tratta di canzoni: lo stesso inno no-. zionale detto di Alameli fu adottato nel 1946 solo in via provvisoria, e come provvisorio deve intendersi tuttora. Si può osservare che in virtù dell'istituto dell'usucapione («ragione di proprietà che si acquista sopra un bene pacificamente posseduto per lo spazio degli anni dalla legge prescritti») il caro inno di Mameli deve ormai essere considerato acquisito dalla Repubblica; ma in ogni modo riteniamo che metta il conto di narrare la causa antica della sua pennanen te provvisorietà. L'agenzia Ital. che Vittorio Staterà dirige con un certo gusto della ricerca di trouvailles storico-politiche, di quei menus faits che piacevano a Taine, ha ricordato l'altro giorno che il 12 ottobre 1946 il Consiglio dei ministri del secondo governo De Gasperi si trovò di fronte al problema di scegliere un inno nazionale. Il 4 novembre successivo le forze armate dovevano prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica, e bisognava pur decidere quale musica avrebbe contornato la cerimonia. Ministro della guerra (i dicasteri militari non si di Mameli. Se ne discusse a Fratelli d'Italia provvisori chiamavano ancora della •Difesa») era Cipriano Facchinetti, repubblicano storico, il quale appunto fece la proposta di adottare l'inno lungo con vivace nervosismo, comprensibile anche perché in quei giorni la tensione era dura; gravi incidenti a Roma e a Palermo avevano turbato l'ordine pubblico. Alla fine, comunque, la proposta Facchinetti fu approvata sia pure con riserva: «Si è stabilito — leggemmo in un comunicato del Viminale — che provvisoriamente si adotti come inno nazionale l'inno di Mameli». L'avverbio «provvisoriamente» era stato inserito da De Gasperi, il quale aveva con ostinazione puntato i piedi. Quel Mameli, si sa, fu un giovanotto che aveva combattuto Pio IX nella breve stagione della repubblica romana del 1849. Era lui che aveva mandato a Mazzini il famoso telegramma .Roma, repubblica, venite», e che, aiutante di Garibaldi, si era distinto a Pale strina ed a Velie tri contro i borbonico-papalini. Nell'ultima battaglia avverso ai francesi di Napoleone III sul Gianicolo era stato ferito a una gamba il 3 giugno, e malamente curato si era spento un mese dopo, a ventidue anni. Un bel campione del Risorgimento, senza dubbio, anche se qualche riserva è ammissibile circa la qualità dei suoi versi messi in musica da Michele Novaro, un modesto maestro di banda genovese. Non è però da credere che l'avversione di De Gasperi fosse di genere arti- stico. In ogni modo, se il Fratelli d'Italia non fosse apparso all'altezza di una degna rappresentatività nazionale sarebbe stato possibile ripiegare su un precedente Inno militare, parole sempre di Goffredo Mameli e — niente meno — musica di Giuseppe Verdi. Ma l'avvertimento di De Gasperi che l'inno di Mameli era adottato solo a titolo provvisorio era dovuto al fatto che al papa Pio XII sarebbe certamente spiaciuto che la neonata repubblica italiana rendesse onore a un garibaldino-mazziniano. Fermo quindi al concetto della provvisorietà dell'inno nazionale, De Gasperi mandò a chiamare ti celebrato autore della Leggenda del Piave, il napoletano E A. Mario (Giovanni Gaeta, all'anagrafe) e gli fece un'of feria: se avesse consentito a scrivere un inno per la de, la sua Leggenda del Piave sarebbe stata adottata in aia definitiva come inno nazionale italiano in sostituzione di quello provvisorio di Mameli. L'ormai vecchio EA. Mario ebbe il buon gusto di rifiutare il compromesso, volendo restare nella memoria degli italiani come il cantore del Piave: «Vede, eccellenza — disse a De Gasperi — sono davvero onorato di sentirmi prescelto per un cosi alto incarico, e sarei ben lieto di aderire al suo cortese invito se non ci fosse un piccolo particolare ad Impedirmi di scrivere l'inno del suo partito: io le canzoni le scrivo con il cuore». Non se ne fece quindi nulla, e perciò l'inno di Mameli è rimasto finora il nostro nazionale, precario e provvisorio quanto si vuole, ma con molta probabilità di non essere abrogato d'ora innanzi. Nel nostro Paese il provvisorio tende a diventare permanente, a tale condizione ci adattiamo, e tutta questa piccola storia sarebbe quasi senza senso se non servisse a insegnarci una volta di più che la de ha mirato sempre al monopolio di tutte le espressioni nazionali. Annettersi il cantore della resistenza sul Piave come cantore dello scudo crociato sarebbe stato un bel colpo. Non andò bene, ma pazienza; vivere provvisoriamente significa aver sempre la speranza di tempi migliori.
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