Berlinguer in Cina
Berlinguer in Cina Berlinguer in Cina (Segue dalla l'pagina) Santiago Carrillo, il segretario del partito comunista spagnolo fervente sostenitore dell'«eurocomunismo», che, appunto nell'ottobre del 1971, compi un viaggio a Pechino nel tentativo, invero frustrato dal più completo insuccesso, di riallacciare i legami con il pc cinese. Cinque anni dopo, in un'intervista pubblicata àeìV'Unità, l'il agosto 1976. un mese prima della morte di Mao, lo stesso Pajetta rivelò che il pei aveva chiesto a Carrillo, in quell'occasione, di »far conoscere le nostre posizioni ai compagni cinesi, facendo loro capire che noi desi- aeravamo incontrarci con i dirigenti del pc cinese, in Italia oin Cina». I cinesi hanno risposto molti anni dopo, ma si sa che la fretta non è caratteristica della vita, né della politica cinesi (Ciu En-lai disse una volta a Kossighin che ci sarebbero voluti «9999 anni» prima che i rapporti cine-sovietici tornassero alla normalità). Anche se già nel 1977, un anno dopo la morte di Mao, i cinesi avevano smesso di tacciare di «revisionismo» i comunisti italiani e gli «eurocomunisti» in generale, si dovette attendere la primavera del 1979 per avere un segno concreto di un mutamento di rotta da parte di Pechino: in aprile, per la prima volta in vent'anni, la stampa cinese dette notizia della conclusione di un congresso (il XV) del pei. Da quel momento gli avvenimenti subirono una brusca accelerazione: dai sempre più frequenti viaggi in Cina di esponenti comunisti (Petruccioli, Segre) fino alla stretta di mano ed al breve colloquio tra Berlinguer e Hua, in visita a Roma, lo scorso autunno, ed ora al clamoroso duplice annuncio da Pechino e da Roma. Non è, dunque, una svolta improvvisa questo viaggio di Berlinguer a Pechino, bensì la logica conclusione di un processo maturato per anni. Resta, nondimeno, un bel colpo ad effetto per il pei, a due mesi dalle elezioni amministrative, e proprio mentre il partito, sempre più lontano da prospettive di governo e sempre più confinato in una dura opposizione interna, tende a sottolineare, sia pure con le solite ed inevitabili contraddizioni, una propria identità originale nel movimento comunista: con la condanna dell'Afghanistan e dell'esilio di Sacharov, prima, ed ora con la normalizzazione ufficiale con i cinesi. Non a caso, venerdì sera, Pajetta ha ricordato ai suol compagni di comitato centrale che 'l'affermazione che è ormai passata l'epoca dei rapporti organizzati, dell'attribuzione di una funzione di guida o di centro a un partito, a uno Stato, sono principi per i quali abbiamo lavorato» e che * questo passo (...) significa che non c'è da parte nostra nessuna rinuncia, non c'è stata e non ci sarà certo ora accettazione acritica di giudizi, di posizioni di altri partiti, che siano in contrasto con la nostra linea». P-K-
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