Pietà per noi tutti di Luigi Firpo

Pietà per noi tutti Cattivi Pensieri di Luigi Firpo Pietà per noi tutti Giovedì scorso Sandro Per tini ha ricevuto al Quirinale una delegazione di parlamentari della democrazia cristiana e dei partiti socialdemocratico, liberale e radicale. Vista l'aria che tira, ci saremmo aspettati che quelle rappresentarne invocassero un qualche intervento autorevolissimo del Capo dello Stato sul tema della moralizzazione, della crisi energetica o del terrorismo: esse gli hanno invece illustrato una proposta ben più grave e urgente, relativa alla traslazione al Pantheon delle salme di Vittorio Emanuele III e di Elena di Montenegro. Ciò spiega l'assenza intenzionale e densa di significato dei partiti comunista e socialista, fermi nella condanna del re compromesso con il fascismo, e del partito repubblicano, fedele alla sua tradizione mazziniana di rifiuto dell'istituzione monarchica in se stessa, indipendentemente dai torti di questo o di quel sovrano. Quanto alla presenza dei radicali, essa rientra nell'abituale imprevedibilità dei loro comportamenti e forse è stata suggerita da un generico sentimento umanitario e dall'amore per il nobile gesto, che non si cura né della coerenza né della conseguenza. Ci sono nella proposta, come sempre, i prò e i contro; e forse, per una volta tanto, si può credere che nessun segreto calcolo elettorale abbia ispirato i promotori, visto che, a distanza di un quarto di secolo dal referendum, le nostalgie monarchiche sembrano oggi turbare i sogni di una minoranza di italiani sempre più esigua e scoraggiata. Quello che è certo si è che in futuro, nel caso di Vittorio Emanuele IV non si porranno più problemi di cenotafio solenne, avendo egli già provveduto a seppellirsi da solo sotto il disdoro, documentato a fasi alterne dalla cronaca nera e da quella mondana. Quanto al deporre i resti del re e della sua consorte sotto la cupola del tempio pagano dedicato da Agrippa a tutti gli dèi, mi sembra che si debba anzitutto sdrammatizzare. L'antico e quasi intatto monumento romano fu destinato a suo tempo a costituire la tomba dei re d'Italia nella nuova Roma strappata al dominio \papale: una scelta non pri- va di retorica imperiale e diparsimonia subalpina, perché collegava idealmente il nuovo e fragile regno ai fasti della romanità, ma evitava di iscrivere in bilancio le somme ingenti che sarebbero state necessarie per erigere un sepolcreto regale ma laico, grondante di fasto e di mestizia marmorea. Due ragioni almeno consisterebbero di riportare le spoglie del vecchio re accanto a quelle del padre e del nonno, in quella abbandonata tomba di famiglia, così remota dalle cripte austere di Altacomba e di Superga. Lasciamo che i morti seppelliscano i morti, lasciamo che i figli, dopo tanti tragici errori, riposino accanto alle ossa dei padri. Se i resti di Mussolini sono stati sepolti a Predappio, senza che per 10 scavo di quella fossa tremassero le fondamenta della Repubblica, non accadrà nessun cataclisma se un esiguo loculo verrà scalpellato in Roma per il piccolo re. La seconda ragione è che 11 nostro popolo si è troppe volte illuso di annullare i propri errori con una semplice rimozione, cancellandone i ricordi. Quale ammonimento contro le tentazioni del neo-fascismo sarebbero state le aquile dorate, i busti di gesso, le torri littorie e i sacrari dei martiri tanto cari al regime, che avremmo dovuto conservare e illustrare con didascalie cubitali: testimonianza di una storia trombona che fu la nostra storia, insegnamento perpetuo a non ricascarci un'altra volta. Invece noi distruggiamo, cancelliamo, crediamo di rifarci ver¬ gini, e così siamo sempre disponibili a ripetere gli stessi errori. La colpa inespiabile che le sinistre imputano a Vittorio Emanuele III è quella dell'acquiescenza dapprima, poi della connivenza col fascismo, infine della fuga davanti all'aggressione nazista. In realtà, gli eventi del ventennio non furono se non la conseguenza inevitabile di una decisione ben più antica e rovinosa: quella del 1914, quando Mussolini era ancora un focoso leader della sinistra, e il re puntiglioso e complessato, testardo e gretto, volle farsi beffe delle forze più moderne e responsabili del Paese, per sposare la causa dell'irrazionalismo giovanile e delle aristocrazie militaresche, gettando l'Italia impreparata nella fornace di una guerra mondiale rovinosa per le sue ancora fragili strutture. Eppure l'uomo non mancava di carattere e di cultura, avrebbe forse fatto altra riuscita senza la piega introversa e velleitaria che impresse al suo carattere l'aver avuto in sorte due gambette deformi e statura insufficiente ad un pur minimo decoro regale. Ma sta volgendo alla fine, in un corrusco tramonto atomico, quel secolo ventesimo che al suo albore lo vide accorrere dal mare al feretro insanguinato del padre, per assumere su dì sé la corona e le ingenue speranze d'Italia. Come parte incancellabile della nostra storia vera (anche se non edificante) l'ultimo Savoia ha diritto ad una tomba in Roma. Sulla sostanza non ho dubbi. Ma mi preoccupa l'ordine pubblico. Non vorrei schieramenti di fascisti in orbace col braccio teso nel saluto al re-imperatore; nostalgici di Salò col pugnale levato ad esecrare il traditore badogliano; monarchici sventolanti la croce di Savoia, che oggi è il simbolo di una provincia francese; estremisti imprecanti con vecchie retoriche e magari qualche bomba moderna. Vorrei un trasporto notturno, senza affusti di cannone, a fiaccole spente, senza discorsi. Solo un gesto di pietà per un morto che fu potente, e di pietà per noi, condannati a vivere una storia attardata e faziosa, illusi nel credere che basti la vendetta a lavare le nostre antiche vergogne.

Persone citate: Agrippa, Cattivi Pensieri, Mussolini, Savoia, Vittorio Emanuele Iii

Luoghi citati: Italia, Montenegro, Predappio, Roma, Salò