Chi governa?

Chi governa? IN UNO STATO A BRANDELLI Chi governa? In questi ultimi tempi mi sono venute spesso in mente le parole che Hegel, se pure in diverso contesto, scrive all'inizio di un suo saggio sulla costituzione tedesca: «La Germania non è più uno Stato». E mi vado ripetendo la domanda: «L'Italia è ancora uno Stato?». Nei secoli lo Stato, a cominciare dalla città greca sino al grande Stato territoriale moderno, viene raffigurato e concepito come un insieme di parti connesse fra loro e formanti un corpo unitario. Non c'è Stato senza un principio unificante. Si pensi alle due maggiori metafore con cui si è cercato di dare una rappresentazione di questa realtà complessa e difficile da cogliere nella sua profonda natura: la macchina e l'organismo. Tutte e due devono servire a dare l'idea di un tutto composto di parti interconnesse e convergenti verso un fine, in cui ognuno degl elementi ha una sua precisa e insostituibile funzione e concorre per quel che gli spetta al fine comune. Alle due analogie della macchina e dell'organismo, apparse ormai troppo superficiali < poco raffinate, si è andata sostituendo in questi ultimi anni l'analogia dello Stato con un «sistema» (nel senso della teoria dei sistemi), onde l'espres sione tecnica, ormai entrata nell'uso quotidiano, «sistema politico». Con la teoria del sistema politico cambia il termine di paragone, e quindi la raffigurazione dello Stato, ma resta, anzi viene in un certo modo meglio definita, l'immagine dello Stato come un tutto unitari'*. In questa prospettiva «siste mica» lo Stato viene descritto strutturalmente come un insie me di parti interdipendenti, funzionalmente come un insieme di parti delle quali alcune hanno la funzione di porre domande, altre di convertirle in risposte, che alla loro volta generano altre domande in una circolarità ininterrotta (almeno sino a che il sistema non si blocca). Le domande vengono «articolate» dai gruppi d'interesse (i sindacati), «aggregate», cioè selezionate e unificate, dai gruppi politici (i partiti); vengono convertite in risposte da uno o più organi congiunti cui spetta di prendere decisioni valevoli per tutta la collettività (il potere legislativo), di metterle in pratica (il potere esecutivo) e di farle rispettare (il potere giudiziario). Un sistema politico funziona quando viene rispettata la divisione del lavoro o dei ruoli fra le diverse parti del tutto, soprattutto quan do è chiara la distinzione fra coloro che hanno il compito di porre delle domande e coloro cui spetta il compito di dare le risposte, e nell'ambito dei ri spondenti fra coloro che decidono, coloro che applicano le decisioni e coloro che giudica no quando e come siano state applicate o non applicate. Quel che vi è di comune in tutte e tre le analogie — la macchina, l'organismo, il sistema — è l'idea che lo Stato sia' un tutto unitario, articolato si ma unitario, e che il movimen to di questo insieme di parti (perché si tratta di parti in continuo movimento) sia originato da un unico centro propulsore il motore nella concezione meccanicistica, l'anima, lo spirito o la mente, nella concezio ne organica, l'organo decisio naie, ovvero il convertitore delle domande in risposte, nel la concezione sistemica. In parole povere, il governo. In una qualsiasi società organizzata, dalle più arcaiche alle più complesse, non si può parlare di Stato se non si riesce a dare una risposta chiara alla doman da: «Chi governa?». Bisogna riconoscere che di fronte a questa domanda chiunque osservi dall'esterno ciò che accade nel nostro Paese si trova in un grande imbaraz zo. Anzitutto deve mettere da parte quella carta topografica ormai ingiallita che è la Costituzione. Ma è come awentu rarsi in un Paese sconvolto da un terremoto o da un ciclone senza una mappa. Nella Costi tuzione, cioè sulla carta, ogn pezzo è al suo posto, e tutti in sieme compongono un disegno armonico, una figura razionale, un insieme che può ben dirsi, secondo le tre diverse metafore, un congegno ben fatto, un organismo vitale, un sistema in equilibrio perfetto. Nella realtà, una volta gettata via la mappa, diventa sempre più difficile orientarsi, trovare un punto di connessione fra i diversi pezzi o membra o parti, individuare l'elemento unificante. Il centro propulsore e unificante dovrebbe trovarsi nella dvndz«nlameinctmsbdvncntepgpgptsapcccsbdmiud e dialettica fra Parlamento e governo. Ma il Parlamento, nonostante gli sforai fatti specie dal maggior partito d'opposizione di restituirgli quella «centralità» che la Costituzione gli attribuisce (non per nulla il nostro sistema è un sistema parlamentare), continua a essere come organo decisionale in ribasso: un congresso, o anche soltanto un comitato centrale, di un partito è oggettivamente molto più importante e spicca nei titoli dei giornali ben più che una seduta di una delle due Camere, a meno che vi si svolgano episodi eccezionali e ulteriormente distruttivi come l'ostruzionismo. Il governo è stato soppiantato dal sottogoverno nel senso che ne esprime gl'interessi e il principio della divisione delle spoglie: un sottogoverno cui forse per i suoi accordi, che rimangono nascosti al pubblico (il popolo sovrano!) e che solo di tanto in tanto in occasione di scandali esorbitanti vengono alla luce del sole, spetterebbepiù propriamente il nome di criptogoverno. Dove manca un centro unificante i centri di potere si moltiplicano. E moltiplicandosi, contribuiscono a creare quello stato di confusione permanente che caratterizza la vita pubblica italiana. Sorgono i centri di potere vicari. Non c'è da meravigliarsi della crescente importanza assunta in questi ultimi tempi dalla Presidenza della Repubblica, un'importanza che non dipende soltanto dalla forte personalità di Sandro Pertini (una delle poche persone che salva l'onore di questa altrimenti disonorevole Repubblica). Più volte, e con maggiore evidenza, proprio in questi giorni, ci siamo trovati di fronte a singole iniziative di magistrati che hanno la portata di vere e proprie decisioni politiche. Non è un mistero che decisioni derivanti da un accordo stipulato dai grandi sindacati con le organizzazioni padronali dove il governo funge soltanto da mediatore e da garante hanno una incidenza sulla vita del Paese maggiore che gran parte delle leggi approvate dal Parlamento. Mancando un centro unificante, il sistema sta andando in pezzi, come un orologio smontato, un corpo smembrato. Le varie parti del tutto non riescono più a stare insieme. E, noni più connesso al tutto, ogni pezzo finisce per andare fuori posto. E non essendo più ogni pezzo al suo posto, il sistema risulta sbilanciato, scentrato e di conseguenza mal funzionante. Non riesce a dare risposte adeguate alle domande; quando riesce a darle, le dà in ritardo o sbagliate; quando le dà, magari anche giuste e tempestive, mancano gli apparati idonei a trasformarle in azioni concrete. Di qua un enorme spreco di energie, - anche fisi¬ che, per risultati minuscoli, spesso ridicoli, che lasciano tutti scontenti e provocano immediatamente nuove domande che rendono alla loro volta sempre più arruffata la nostra convivenza, e sempre più intasata la comunicazione fra governanti e governati. Qualcosa citta in cui si spengano improvvisamente i semafori. D traffico si arresta. Riescono a passare soltanto i più scaltri e i più prepotenti. Per tutti una fatica improba, per compiere un atto' che in tempi normali richiederebbe soltanto un po' di pazienza. Lo Stato è a brandelli. E intanto i tessitori (il paragone fra' i governanti e i tessitori risale nientemeno a Platone) continuano a tessere trame sempre più inconsistenti su orditi sempre più fragili e consunti. Norberto Bobbio di simile alla via di una grande]

Persone citate: Hegel, Norberto Bobbio, Platone, Sandro Pertini

Luoghi citati: Germania, Italia