«I nostri medici specialisti hanno una preparazione Cee» di Bruno Ghibaudi
«I nostri medici specialisti hanno una preparazione Cee» Il presidente della Fnom replica a Edith Cresson «I nostri medici specialisti hanno una preparazione Cee» Il prof. Barucchello: «Le accuse deU'eurodeputatessa francese sono superate» - L'Italia si è adeguata alle norme comunitarie ROMA — -Quella di Edith Cresson, deputatessa socialista francese al Parlamento europeo, è un'interrogazione che per quanto riguarda i medici specialisti italiani prende l'avvio da una situazione ormai largamente superata-. Con questo commento 11 prof. Bruno Barucchello, consigliere nazionale della Pnom e responsabile del settore estero, oltre che membro del Comitato consultivo per la Formazione del medico presso la Commissione esecutiva della Cee liquida senza la minima esitazione una serie di attacchi contenuti in un'interrogazione che per la verità è stata presentata più di cinque mesi fa. 'In fatto di specializzazione dei medici l'Italia, secondo tempi peraltro previsti e tollerati, si è adeguata alle norme Cee già da due anni, con il risultato di sfornare specialisti in numero addirittura inferiore alle necessità interne. Anche se i medici italiani che emigrano sono più numerosi di quelli stranieri che vengono in Italia, non si può certo parlare di "invasione"e tantomeno è il caso di temerne le conseguenze. I medici italiani vanno a lavorare all'estero solo per ragioni di famiglia o per aggiornamenti scientifici. I casi di medici italiani che scelgono di andare a esercitare all'estero per libera scelta professionale sono pochissimi. Ogni allarmismo nei confronti dello specialista italiano è quindi ingiustificato». L'accusa all'insufficiente preparazione culturale specifica del medico italiano non è una novità e in questa interrogazione riappare nei confronti degli specialisti. Ma con quale fondamento? «/n passato le scuole di specializzazione erano molte, più numerose che negli altri Paesi. Ma non esistendo l'obbligo della, frequenza il numero degli specialisti che ne uscivano era molto elevato. Negli altri Paesi, invece, si producevano pochi specialisti ma qualificati Le direttive comunitarie ci stanno però portando a migliorare i livelli qualitativi dei nuovi specialisti: Le norme a cui allude il prof. Barucchello sono essenzialmente cinque: numero chiuso, esame per l'accesso ai corsi, maggior durata dei corsi di specializzazione, tempo pieno e retribuzione. «Le prime due consentono di selezionare i candidati all'inizio, mentre il numero chiuso permette di produrre soltanto gli specialisti necessari alle esigenze nazionali — spiega Barucchello. — Tempo pieno e retribuzione contribuiscono al miglioramento qualitativo. In precedenza in Italia e in altri Paesi era lo specializzando a pagare una quota per la sua istruzione postuniversitaria. Con le norme Cee, chi vuole specializzarsi deve lavorare a tempo pieno negli ospedali o nelle cliniche universitarie. E' quindi doveroso remunerare adeguatamente la sua attività professionale-. Certo, ci vorrà del tempo prima che l'Italia possa completare il passaggio dalle abitudini precedenti alle norme della Cee, e alcune generazioni di specialisti dovranno essere considerate «di transizione». Ma nessuno, e neppure gli altri Paesi membri, si aspettavano da noi un miracolo. -Gli specialisti emersi dalle scuole italiane organizzate secondo le norme comuni saranno allo stesso livello di quelli formati negli altri Paesi — prosegue Barucchello. — Non è il caso di abbandonarci all'autolesionismo. Il nostro insegnamento della medicina si articola in 5 mila ore di lezione distribuite in sei anni di corso, come negli altri paesi della Cee. E in fatto di insegnamento, a parte i ben noti inconvenienti dei corsi sovraffollati da pletore di studenti, non crediamo di essere inferiori agli altri. Al momento della laurea, il medico italiano che ha studiato con impegno e coscienza non è diverso da quello che si è laureato in altri Paesi. Ma se vogliamo migliorare la qualità, dobbiamo introdurre al più presto il numero chiuso-. Oggi in Italia ci sono circa 160 mila medici e — quel che preoccupa maggiormente — circa 150 mila studenti in medicina, 11 che lascia prevedere che entro una decina d'anni avremo più di 200 mila medici. Già oggi c'è un medico ogni 400 abitanti, mentre nei Paesi più progrediti ce n'è uno ogni 600. Entro il 1983, dicono gli esperti, il rapporto potrebbe scendere a un medico ogni 250 abitanti o anche meno. Di recente il ministro della Pubblica Istruzione Valltutti ha presentato al governo, che lo ha fatto proprio, un disegno di legge per il numero programmato degli studenti di medicina. «Ben vengano provvedimenti di questo genere, purché non si perda altro tempo prezioso — conclude Barucchello —. Senza numero chiuso non può esserci salvezza. La programmazione ci aiuterà anche a risolvere un altro problema italiano. Il nostro Paese ha bisogno di medici specialisti e non di generici come del resto vuole il progresso scientifico. E purtroppo nei prossimi anni la nostra Università, avendo accolto le norme Cee, non riuscirà ancora a produrne abbastanza-. Bruno Ghibaudi
Persone citate: Bruno Barucchello, Edith Cresson
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