Il voto basco e il «potere» di Mimmo Candito
Il voto basco e il «potere» Il voto basco e il «potere» La vittoria dei nazionalisti baschi era scontata. L'incertezza, se mai, era sul risultato degli spagnoUsti, cioè dei partiti che hanno la loro «patria» a Madrid. L'incertezza s'è trasformata in una batosta solenne, che sui 60 seggi del nuovo Parlamento d'Euzkadi ne dà soltanto uno ai comunisti, nove ai socialisti e appena sei agli uomini di Suàrez. Sono 16 voti, più i 2 della destra di Alianza Popular, contro un blocco di 42 nazionalisti. Una sconfitta cosi non s'era nemmeno immaginata. H voto basco, che apre alla gente del Nord il primo Parlamento della sua storia, si trascina però un paradosso: chiara la sconfitta, chiara la vittoria, ma nessuno sa ancora bene cosa succede adesso. Perché, chi ha perso (Suàrez, soprattutto) conserva tuttora le fonti e il controllo del potere istituzionale, mentre chi ha vinto (il pnv di Garaikoetxea) deve ancora guadagnarsi tutta l'iniziativa politica che il voto gli ha attribuito. E in Euzkadi «iniziativa politica» significa due cose: 1) verso Madrid, imporre al governo un'interpretazione aperta e positiva dello Statuto d'autonomia; 2) verso il Paese Basco, trovare un dialogo con l'Età per avviare un processo reale di pacificazione. Pare scontato ritenere che non sarà facile trovare un compromesso con l'intransigenza degli etarra; e su questo l'analisi del voto di domenica consente di aggiungere ben poco di nuovo, perché le ambiguità e le contraddizioni che starmo all'interno della formazione «peenuvista» spiegano il successo di Oaraikoetxea ma anche lo condizionano. Forse è più interessante guardare all'altro degl'Interlocutori del governo basco, cioè a Madrid e a Suàrez. Perché l'apparente minor difficoltà di dialogo con costoro nasconde invece un'intransigenza e una rigidità che meritano una seria attenzione. A cinque anni, infatti, dalla fine del franchismo è ormai possibile avviare un primo giudizio storico sui caratteri della gestione Suàrez, segnata dal continuum politico dei suoi governi. In tutte le scelte, l'ex leader del Movimiento ha mostrato, e ampiamente confermato, d'avere una concezione della democrazia in termini tendenzialmente riduttivi, di contenimento e di manipolazione numerica più che di dialettica reale di forze e d'interessi. Una simile concezione sconta il ritardo politico con cui l'opposizione antifranchista si presentò, e perse, alla successione della dittatura; ma è anche il risultato del «gattopardismo» che ha diretto e assorbito l'eredità del Caudillo. Suàrez resta tuttora uomo e interprete della sua generazione, ch'è stata l'ultima del franchismo anche se un franchismo ormai in crisi d'identità e di tenuta. E questa sua storia è tutta nella gestione del governo, che rinserra ogni spazio e concede solo quello che la forza dell'avversario riesce alla fine a strappargli. La rivendicazione delle autonomie, in tutti questi anni, era stata qualcosa di ben diverso, anche una battaglia politica per sanare errori e ritardi del passato. L'interpretazione che Suàrez costringe a darne apre poche strade, e ridotte, alle speranze che muovono dalle nazioni della Spagna. E' una colpa storica pesante, che il premier s'assume senza aver dato ancora a vedere d'essere consapevole appieno di quanto ciò comporta. E il 20 si vota in Catalunya, dove per la prima volta in quest'Europa del dopoguerra si potrebbe anche formare un governo delle sinistre. Mimmo Candito Suarez: una sconfitta che non intacca il governo centrale
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