Le storie del calcio venduto di Gian Paolo Ormezzano

Le storie del calcio venduto OTTANTADUE ANNI DI VITA FEDERALE: POCHI CASI DI CORRUZIONE Le storie del calcio venduto Dalla vicenda di Allemandi, terzino della Juventus .pagato perché facesse vincere il Torino (campionato 1926-27), agli scandali del dopoguerra, fra «doping», sesso e denaro - L'epurazione di un arbitro che favoriva la Roma - L'avventura del' l'Udinese punita per un «peccato» di due anni prima - Gli allegri infortuni di portieri che non riuscirono a vendere le partite Si diceva, nel mondo del calcio, che il vero scandalo, in un mondo intero che di scandali si nutre e ami di scandali vive, era l'assenza di uno scandalo vero. E cioè il fatto che tutto funzionasse era inquietante, sospetto. Molti, anche nell'ambiente; pensavano al reame del calcio come ad una pianura aperta a tutti i venti e intanto superiore a essi però con sotto una enorme caverna, una ■grotta nella gitale accadeva■no nascostamente le cose più ''nere. Adesso, lo scandalo delle tante partite truccate, dei ventisette giocatori impegolati nelle scommesse clandestine, è a suo modo rasserenante: anche il football si allinea, si fa eguale al resto del mondo, rispetta il crudo divenire della vita. Qualche bello spirito ha addirittura rilevato in questi giorni che la legge che di recente ha fornito il nuovo status giuridico, materiale e morale al calciatore italiano si chiama legge Evangelisti dal nome, mai come in questo caso •parlante; del suo ideatore. Ma ormai il compiacimento per lo scandalo, con la certezza poi di poterlo lasciare indietro, è superiore nel mondo del calcio alla paura dello scandalo stesso, mentre fuori la soddisfazione per lo scandalo è inferiore alla sadica speranza che finisca di funzionare uno degli ultimi giocattoli italiani riconosciuti dalla legge. E questo significa pure che una certa sanità del calcio, posto al di là del bene e del male e anche al di sopra di storielle e storiacce, sta nuovamente affermandosi Già si legge di calcio che «la vincerà», nonostante tutto. E {'excursus negli altri scandali del calcio italiano diventa cosi una passeggiata nel bosco, più che un'avventura nella giungla. Nel bosco ci sono elfi silfidi nani burloni animaletti vari Ci sono gnomi shakespeariani che fanno boccacce e boccucce, avventurieri divertenti tragedie poche, commedie molte. Comunque in ottantadue anni di calcio italiano federale, organizzato, regolamentato, di cose brutte ne sono accadute poche, e la ricerca è persino faticosa, fortunatamente faticosa. In tutto il periodo prima della seconda guerra mondiale, a parte una sparatoria da cronaca nera peraltro ' blanda (né morti né feriti alla stazione di Torino, il 5 luglio 1925, allorché tifosi del Genoa vennero a contatto con tifosi del Bologna, nel corso di una lunga querelle per lo scudetto), a parte que- sto, tutto ti giallo e il nero del calcio sono riassunti nello •scandalo Allemandi': campionato 1926-27, derby fra Torino e Juventus, vittoria del Torino per laO, Allemandi terzino bianconero, fra i migliori in campo. Però nell'autunno di quel . 1927 un giornale milanese, seguito quasi subito da uno romano, denunciò l'esistenza di «marcio in Danimarca». La Danimarca era a Torino, nella pensione dove, con Allemandi vivevano anche un giornalista torinese e uno studente catanese. Costoro dissero che un dirigente del Torino, allora chiamato soltanto dottor N. (Nani), aveva offerto al giocatore della Juventus 50.000 lire, metà subito e metà •dopo; se avesse, col suo malo gioco, favorito la vittoria granata nel confronto stracittadino. Allemandi accettò, il gol del Torino, segnato da un terzino su calcio di punizione, fu più colpa del difensore bianconero Rosetta che di altri, Allemandi si vide negare la seconda parte del •premio; ci furono parole grosse, la cosa trapelò. Giuseppe Zanetti segretario della federazione presieduta dal gerarca fascista (ma intanto uomo abbastanza libero ed estroso da concedersi certi •no» a Mussolini) Leandro Arpinati condusse l'inchiesta, o rintracciò un bigliettino compromettente fatto a pezzi insomma via lo scudetto al Torino, che aveva dominato il torneo, squalifica a vita (poi venne l'amnistia) ad Allemandi che intanto era stato ceduto all'Inter, niente scudetto al Bologna che pure era arrivato seconda Edoardo Agnelli presidente della Juventus e Enrico Marone presidente del Torino non si salutarono per un po'. Da allora tutto regolare, almeno in Serie A e almeno come risultanze ufficiali sino al 1950. Il primo grande scandalo del dopoguerra fu romano, e venne da taluni spiegato come una necessità fisiologica della capitale, all'alba della dolce vita, e quindi anche del suo calcio. La Roma godette di un duplice arbitraggio scandaloso da parte del signor Pera di Trieste, nella partita contro il Novara dei grandi vecchi Piala e Ferraris. Andò a finire che venne colpito Pera, scoperto in cosca con altri arbitri, silenziosamente fatti sparire, i quali alteravano risultati per conto di società calcistiche e società di scommettitori al Totocalcio. Pera scomparve, la Roma fu graziata (si disse anche per aiuti politici), ma andò in B l'anno dopo, patendo una crisi interna gravissima, con accuse di dolce vita e di omosessualità ad alcuni suoi famosi giocatori Tutto sommato, il mondo del calcio 6 andato avanti con pochi sconquassi e con la certezza tranquillante che comunque la giustizia era sempre pronta ad intervenire, né sorda né cieca e bene parlante. Nel 1955, l'Udinese, splendida seconda in campionato alle spalle del Milan, pagò una corruzione di due anni prima, nei riguardi della' Pro Patria: e scese in B. Stessa sorte al Catania, ma per partite •fresche; arbitrate troppo a prò dei siciliani da Scaramella, un •erede» di Pera. Da allora si cominciò a dire che la giustizia calcistica esibiva, come trofei soprattutto teste di società piccole. Nel 1958venne scoperta l'Atalanta, addomesticatrice di un giocatore del Padova: già in B per la sua classifica, la società bergamasca ebbe anche il marchio dell'infamia» calcistica. Nel 1960 l'Atalanta cambiò ruolo: un suo uomo, Cattozzo, venne contattato da Cappello, un ex nazionale, per conto del Genoa: e il Genoa pagò, venne cacciato in B. Fu in quell'occasione che un parlamentare missino, Servello, presentò per la prima volta una proposta di legge, con la quale si voleva penalizzare, anche col carcere^ la corruzione sportiva. Il mondo dello sport resistette. volle sempre per sé il diritto a giudicare, la legge non passò, è stata presentata adesso, da altri Per arrivare al magmatico oggi ancora il caso del Bari, l'anno dopo, e del Verona e del Foggia nel 1974: retrocessione sema troppo clamore, scandali da poco, dirigenti di periferia, giocatori al tramonto, faciloneria verso arbitri incorruttibili o comunque avvicinati male. Nell'insieme, cose blande, quasi al-; legre, non certo apocalittiche nei riguardi del mondo del calcio, che sopportò persino un'indagine fiscale ordinata —si disse — nei riguardi dell'arbitro Lo Bello dal ministro delle Finanze Preti: Lo Bello aveva in un solo match inflitto tre rigori alla Spai di Ferrara, la città di Preti Su un altro piano di corruzione, quella sessuale aperta in maniera abbastanza clamorosa, o quanto meno anticonformista, dalla Roma •omo» del 1951, ci fu poi soltanto lo scandalo detto «delle ninfette», protagonisti i giocatori del grande Cagliari Anni 70: tutti abbondantemente assolti visto che si decise che le ragazzine erano un po' mitomani e molto intraprendenti Sul piano chimico, la grande vicenda del doping bolognese, campionato 1963-64, si è risolta, con magie di laboratorio, in un nulla, al quale si è pervenuti nonostante che la materia, che come si sa non si crea e non si distrugge, fosse. molta. Accusati di illecito amfetaminico in occasione di un match col Torino, i giocatori del Bologna vennero prima accusati poi condannati poi assolti Sparirono le provette, intervennero avvocati extracalcistici carabinieri e magistrati persero la testa e altro, il Bologna fu riabilitato e vinse lo scudetto. Nell'insieme una lunga vicenda con macchie nere poco più che vivificanti piccoli bubboni per spurgo, niente più Sino all'altro giorno. C'era stato persino tempo e modo, nel passato, per il divertimento, anzi ti divertissemenfc ti grande presidente del Nord contattato da un grande portiere di Roma, caso mai volesse acquistare l Imma bili tà del portiere s tesso, lo sdegnoso «no», con denuncia al presidente romano, il quale «lasciò correre», e andò a finire che proprio quella squadra romana vietò, con mirabolanti parate di quel portiere, lo scudetto alla squadra nordista, punendone la virtù; la rissa fra dirigenti di una grande società settentrionale, per una faccenda di mogli e di corna, con uno che incolpava l'altro di ingratitudine, «dopo tutte le partite che gli ho comprato»; le storie divertenti e abbastanza innocue di celebri portieri che, venduta una partita, non riuscivano proprio a farsi fare gol Lussi di un mondo ricco anche di una propria serenità, di una forte coscienza di inattaccabilità monolitica. Hanno aperto una crepa nel monolito le prime •voci» di quest'anno sulle partite truccate. E ora nel calcio è stato inserito ti cuneo della diffidenza, del sospetto anche generalizzato. Ottantadue anni di complessiva buona salute federale sembrano non contare. E anzi si va all'indietro con sadomasochismo: il caso delle scommesse truccate è il secondo caso Montesi (dal nome del giocatore laziale che ha dato il via alle indagini), e cosi dicendo non si fa riferimento alla Wilma morta sul bagnasciuga ostiense, ma alla presa di posizione «da sinistra» dello stesso Montesi l'anno scorso, nell'Avellino, contro il troppo denaro nel mondo del pallone. Gian Paolo Ormezzano