Daniel: l'era degli idoli infranti di Bernardo Valli

Daniel: l'era degli idoli infranti INTERVISTE SULLA CRISI DELLA CULTURA DI SINISTRA IN FRANCIA Daniel: l'era degli idoli infranti «La rottura più totale riguarda l'ideologia», dice il saggista: «La rivoluzione, la violenza non fanno più avanzare la storia» - Come i materialisti hanno riscoperto la morale - «L'Urss resta ancora un problema fondamentale; Breznev si comporta come uno zar» - Davanti ai problemi del Terzo Mondo «quanto contano adesso le vecchie analisi rivoluzionarie?» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ALGERI — II mio primo incontro con Jean Daniel risale ai 1958, nell'Algeria non ancora indipendente, ma già da tempo in rivolta. Mi chiese subito, spicciativo, con una certa alterigia: «Cosa ne pensi?». Allora, ventidue anni fa, si riferiva ai colonnelli francesi golpisti, sulla cui faccia si leggeva {Ictus cadaverico del colonialismo. Si riferiva al Fronte di liberazione nazionale, che nella casba e sulle montagne della Cabilia celebrava quotidianamente il rito legittimo della violenza irredentista. Se ben ricordo, non aspettò la risposta, che era scontata, elementare, almeno per molti In verità per lui, cittadino francese nato in una comunità ebraica d'Algeria, la scelta in favore dell'indipendenza non era stata priva di lacerazioni Il suo amico Albert Camus, figlio di coloni poveri, aveva ad esempio esitato. Ma adesso quei tempi sembrano relegati nella preistoria. Era l'età della pietra. Le epoche dominate dalle grandi passioni — la guerra, la rivoluzione, la resistenza — esìgono anzitutto fedeltà. Oggi vanno le rotture. Daniel direttore da sedici anni del Nouvel Observateur. ha scritto appunto un libro dal titolo significativo. L'era delle rotture, appena uscito in Italia. Ma più che di spaccature, nel suo caso, si tratta di momenti impercettibili del cambiamento, come ha precisate Michel Foucault «DI spostamenti, slit¬ tamenti, incrinature, punti di vista che si modificano, distanze che aumentano e diminuiscono, strade che divergono e riconvergono all'improvviso». Perché quel titolo allora, che sembra l'atto legale di un brusco divorzio (dal marxismo o dalla rivoluzione), che Daniel non ha conosciuto, poiché ha seguito una parabola lenta, ragionata, coerente? Risponde: «Ho cercato di scrivere a due livelli: sul piano personale rompo con un certo numero di tabù, reticenze, divieti, ma al tempo stesso cerco di uscire dall'ambito dell'intellettuale di sinistra parigino. Sfuggendo ai miei problemi individuali ho parlato dell'era delle rotture, come i filosofi parlano della crisi dell'universale. Viviamo in un'epoca in cui vocaboli come rivoluzione, avvenire, socialismo, civiltà, vocaboli come padre, capo eccetera assumono un significato diverso se si passa da una comunità all'altra, da un punto all'altro del pianeta. Ci si accorge allora che c'è la rottura più totale per quel che riguarda l'ideologia». Insomma, geograficamente il mondo è più piccolo, ma gli scambi tra i popoli hanno aumentato o perlomeno messo in evidenza le con traddizionì. Certi valori cambiano colore e dimensione se enunciati in India o in Europa, a Parigi o a Pechino. E'cosi? «Poi c'è un'altra rottura: ci sono state tante crisi nella storia dell'umanità, gli storici e i sociologi ce le hanno raccontate e spiegate. Oggi però, per la prima volta, si pensa che l'avvenire sarà peggio del passato». Un'ondata mondiale di pessimismo? «Nel Texas, lo Stato americano in cui ci si arricchisce di più e più alla svelta, cinque anni fa è stato chiesto ai giovani: pensate che domani sarà meglio di ieri e di oggi? Novanta per cento hanno risposto di si. Nel '79 viene rivolta la stessa domanda e il quarantanove per cento risponde che sarà peggio. Questa incertezza nell'avvenire è come una rottura col passato». Perché questa sfiducia? «Ci sono tre fatti determinanti: la scienza nucleare, la telematica e la genetica possono far compiere, fanno già compiere all'uomo rivoluzioni molto più importanti della rivoluzione industriale. Con la scienza nucleare l'uomo ha per la prima volta la possibilità di distruggere non il suo prossimo, ma la specie. Con la telematica, cioè l'elettronica più i satelliti, si possono programmare intere civiltà. La genetica consente di cambiare il comportamento dell'uomo. Dall'età delle caverne l'uomo non aveva mai avuto la possibilità di rompere con se stesso in quel modo». Tutto ciò è all'origine della crisi? «Non la crisi dell'intellettuale di sinistra. E' una crisi di coscienza per un'epoca intera». Per questo hai scritto che la storia non è più dominata dalla rivoluzione? «Ci sono stati dei momenti in cui la violenza faceva avanzare la storia. Non più adesso». Di fronte a problemi tanto vasti, difficili da abbracciare, la morale ha sostituito la rivoluzione? «Fino a tempi abbastanza recenti gli intellettuali francesi... e anche americani, mi riferisco a Chomsky, pensavano di possedere le chiavi, più scientifiche che filosofiche, per tracciare l'evoluzione della storia e spiegare le strutture della società. Si appropriavano di tutto. Non trascuravano niente. Prendevano la psicoanalisi e la mettevano al servizio della rivoluzione, prendevano in prestito lo strutturalismo, l'etnologia di Lévi-Strauss, per scoprire come si può far evolvere la civiltà... Quasi tutti, anche i più indipendenti, i più profondi, erano rimasti più o meno marxisti». E oggi? «Come ha spiegato bene Althusser, ci sono due parti nell'opera di Marx: c'è l'analisi e il profetismo. Quando si costruisce una passerella tra l'una e l'altro si crea un gran pericolo. Per Marx e i suol discepoli partendo dall'analisi si assegna a un partito il compito di rappresentare 11 proletariato, di guidare la lotta di classe. Semplifico al massimo, certo. Ma basandosi sul principio del partito della rivoluzione, tutti gli altri, gli estranei, erano degli impostori, dei salauds, dei mascalzoni, secondo Sartre, dei "cani da guardia della borghesia", secondo i comunisti come Paul Nlzan. Poi è stata messa in discussione la filosofia della storia sono state messe in discussione le previsioni marxiste, l'analisi della società, la teoria del deperimento dello Stato.... Lo stesso pcf ha respinto la nozione di dittatura del proletariato. Il materialismo dialettico aveva una filosofia della storia, rifiutando quest'ultima si è arrivati alla riscoperta della morale. E Dio solo sa se si era scritto tanto contro la morale, in Francia, in Germania, in Italia. Non solo i marxisti, ma anche gli eredi di Tocqueville e di Max Weber. Voi avete avuto Croce, ma noi abbiamo quella istituzione nazionale che è Raymond Aron. Adesso si scopre la dimensione della religione, dello spirituale. dell'Imperativo morale». La popolarità di Camus tra gli intellettuali rientra in questa riscoperta? «E' dovuta al dubbio profondo sulla dimensione scientifica della storia. Si rimproverava a Camus di non essere hegeliano, di usare la parola "anima". Intendiamoci, oggi si esagera nell'altro senso. Bernard Henry Levy scopre In Camus un pensiero filosofico che non c'è. Le sue sole opere filosofiche. Le mythe de Sisyphe e L'homme révolté, sono saggi sull'atteggiamento davanti alla vita, non scritti da cui si' ricava un sistema filosofico. Ma c'è bisogno di trovare un sostegno». Sul piano politico concreto, die cosa ha condotto a questa svolta? •Quelli della mia generazione sono stati traumatizzati dalla constatazione che non c'è un solo imperialismo, ma che ce ne sono molti, che si poteva essere Imperialisti in nome della rivoluzione». Raymond Aron sostiene che il mito dell'Urss non è affatto crollato, non conta più per molti intellettuali, ma per milioni di altri uomini nelle nostre società occidentali conta ancora. «Si discute molto su questo argomento. Penso che nell'Inconscio collettivo europeo l'Unione Sovietica conti ancora. I giovani, per lo meno alcuni, la considerano una grande potenza, una grande nazione che ha realizzato un altro sistema sociale, un Paese in cui ci sono i campi di concentramento, ma dove In definitiva c'è un consenso, ad eccezione di un gruppo di dissidenti. Ma quel che mi sorprende è che l'Unione Sovietica senta il bisogno di ammantare il suo comportamento di potenza con un linguaggio ideologico. Breznev si comporta come uno zar. ma non parla come Pietro il Grande». Ti riferisci agli argomenti che ha usato per giustificare l'invasione dell'Afghanistan? «Dopo l'intervento dell'Armata Rossa a Kabul; Marchais è andato all'Avana da Fidel Castro. E Castro gli ha spiegato che gli avvenimenti dell'Asia Centrale e più in generale del Terzo Mondo rientrano nella lotta di classe internazionale. E' la grande occasione. Castro ha detto a Marchais che i popoli europei sono fottuti, non contano più nulla, che 11 compromesso storico all'italiana è una sciocchezza, che l'unione delle sinistre francese non ha alcun valore. Quel che importa è il Terzo Mondo, vero protagonista della storia, perché è un elemento destabilizzante, perché possiede le materie prime indispensabili alle società industrializzate. Dunque bisogna che i Paesi rivoluzionari, la grande Russia, la Russia di Lenin, controlli il Terzo Mondo per controllare la destabilizzazione. Marchais è corso da Berlinguer per spiegargli quel che gli aveva appena detto Castro. Poi è andato da Breznev, a Mosca, e ha ricominciato a parlare come uno che crede nella rivoluzione mondiale». L'intervento in Afghani- stan viene presentato come una crociata? «Parlano come gli ecclesiastici nel grandi momenti teologici della storia, quando si camuffavano le conquiste con giustificazioni teoriche ricavate dai dogmi, dal catechismo, dalle leggi della Chiesa. Il fatto è che sessantatré anni dopo la Rivoluzione d'ottobre, dopo Budapest, dopo Praga, dopo Kabul ci sono ancora nel mondo milioni di uomini che si interrogano sulle piccole e grandi motivazioni che animano lUnione Sovietica. Ci si chiede se è p non è come la Germania di Hitler. L'Urss resta ancora un problema fondamentale,, filosofico, è il problema religioso dei tempi moderni. Non è la Cina che lo pone, come molti amici pensavano, ma l'Urss. E' l'alleanza tra una grande potenza e un mito religioso». In Francia la coscienza di sinistra non è scaturita, non ha assunto una forma con il programma comune o l'Union de Gauche, cioè seguendo le evoluzioni e le speranzedei partiti di sinistra, ma attraverso la guerra prima francese e poi americana nel Vietnam, l'Algeria, la decolonizzazione, il problema palestinese, i gulag sovietici eccetera. Ed è in fondo su questi temi che ci sono poi state le grandi delusioni, le grandi rotture. E adesso su che cosa ci si misura? «La risposta a questa domanda può apparire troppo umanitaria, sentimentale. Ma corro egualmente il rischio. Quando c'è stata la rivoluzione in Nicaragua alcuni hanno accolto l'avvenimento con scetticismo. Hanno subito pensato e detto che quell'insurrezione sarebbe stata manipolata dai cubani, e attraverso di loro dai sovietici. Presto i nuovi dirigenti avrebbero perseguitato gli omosessuali e i poeti. Queste certezze venivano espresse prima ancora che le paventate degenerazioni si producessero. Altri invece hanno espresso una speranza. Si sono chiesti anzitutto: dov'è il male? Il male era Somoza, il dittatore. Prima di essere delusi da una rivolta non ancora tradita è meglio valutare quel che la rivolta ha distrutta Questa è una reazione di sinistra». Significa insomma sperare • a ogni rivolta, senza contare sulla rivoluzione come accelerazione della storia. «Dopo la delusione suscitata da tanti modelli, resta da analizzare il Terzo Mondo, attraverso pensatori marxisti e liberali, lo stacco tra ricchi e poveri, l'ineguaglianza della distribuzione intemazionale della ricchezza, lo sfruttamento delle materie prime, il fatto che tra dieci anni ci sarà un miliardo di uomini in più sulla Terra. E, di questo miliardo, novecentocinquanta milioni vivranno nei Paesi poveri ancora più poveri. Cosa contano adesso le vecchie analisi rivoluzionarle?». Bernardo Valli Jean Daniel