Italclasse: 38 dirigenti e industriali in carcere per i finanziamenti facili di Silvana Mazzocchi
Italclasse: 38 dirigenti e industriali in carcere per i finanziamenti facili Gli arresti su ordine del giudice Alibrandi in diverse città d'Italia Italclasse: 38 dirigenti e industriali in carcere per i finanziamenti facili Emessi altri undici mandati di cattura - L'accusa è di peculato - Vennero concessi e ottenuti prestiti senza sufficienti garanzie - Tra i personaggi di maggior spicco, arrestati: Giordano Dell'Amore, ex presidente della Cariplo, e Edoardo Calleri, ex presidente della Regione Piemonte e della Cassa Risparmio di Torino - Latitanti Rovelli, Ursini e i Caltagirone ROMA — Giornata nera per il mondo bancario e imprenditoriale, scosso da una iniziativa giudiziaria senza precedenti. II giudice istruttore Antonio Alibrandi ha firmato quarantanove mandati di cattura per peculato aggravato. Trentotto persone sono state arrestate in ogni parte d'Italia, undici sono riuscite a fuggire quasi certamente all'estero; Nino Rovelli, padrino della Sir, è partito su un aereo di linea intorno alla mezzanotte di lunedi dopo aver trascorso il pomeriggio nella sede della società; Raffaele Ursini, ex presidente della Liquigas, è sparito nelle stesse ore. I tre fratelli Caltagirone volarono via già il 3 febbraio. Lo scandalo dei «fondi bianchi» Italcasse, covato tra la Procura e l'ufficio istruzione per circa tre anni, 6 scoppiato alle prime luce dell'alba di ieri quando i carabinieri, provvedimenti alla mano, hanno cominciato a suonare alle abitazioni dei ricercati. Sono personaggi accusati di aver distribuito e ricevuto tra il 1970 e il '77 quasi mille miliardi di pubblico danaro custodito negli istituti Italcasse. Migliaia di milioni elargiti sotto forma di prestiti senza sufficienti garanzie a imprenditori in dissesto, aziende non floride con progetti d'investimenti avventurosi, costruttori politicanti, professionisti compiacenti. Il terremoto è stato preceduto da piccole scosse, alcune inavvertibili, altre più evidenti. Da mesi, gli atti del processo viaggiavano tra la Procura e l'ufficio istruzione, lTpub-1 bllco ministero. Luigi Ierace,| aveva trasmesso 11 fascicolo ad Alibrandi già una prima volta parecchi mesi fa ipotizzando, oltre al reato d'interesse privato in atti d'ufficio, l'accusa più pesante di peculato, ma senza l'aggiunta dell'aggravante che comporta l'obbligatorietà del mandato di cattura. L'inchiesta aveva vissuto mesi di stasi; a Palazzo di Giustizia, la magistratura sembrava assorbita dall'attività contro il terrorismo finché all'inizio di quest'anno scandali finanziari e criminalità economica hanno ancora una volta squassato 11 Palazzo, portando la Procura allo sfascio tanto datori vincere 36 giudici ad invocare l'intervento del Consiglio superiore della magistratura. n caso-bomba fu il mandato di cattura contro i fratelli Caltagirone già latitanti, ma pochi giorni dopo anche il giudice Alibrandi fu investito Indirettamente da mille polemiche: suo figlio, Alessandro, fini in prigione per qualche ora con un affrettato ordine di cattura per l'omicidio di un agente emesso dalla Procura romana. L'accusa si rivelò infondata, ma la «ferita» rimase. Comunque l'episodio si rivelò una «gaffe» e più d'uno a Palazzo di Giustizia ipotizzò che, da quel momento in poi, l'operato di Alibrandi sarebbe stato difficilmente criticabile. Intanto i fascicoli Italcasse viaggiavano di nuovo dall'ufficio del giudice istruttore a quello del pubblico ministero. Agli atti era accluso un motivatissimo mandato di comparizione, emesso alcuni mesi fa, nel quale per molti dei 79 imputati si ipotizzava appunto il reato di peculato aggravato. Ierace tenne l'incartamento qualche giorno, quindi trasmise la requisitoria con le sue richieste al procuratore-capo Giovanni De Matteo che le analizzò con attenzione. Alla fine, il magistrato decise di rinviare di nuovo i fascicoli a Alibrandi. Alcuni imputati risultavano deceduti; per altri due — parlamentari — era necessario procedere a parte, per oltre una ventina era possibile ipotizzare il proscioglimento almeno dall'accusa più pesante di peculato. E' il caso per esempio di Tommaso Addario, ex condirettore della Italcasse, il quale è riuscito a convincere i magistrati che, in presenza di Giuseppe Arcaini (ex direttore dell'Istituto in quegli anni, morto nel '78) egli non ebbe alcun ruolo nei consigli di amministrazione che vararono le elargizioni concesse al beneficiati. Per un numero imprecisato di persone (forse 49 anche se non è detto che i nomi corrispondano a quelli compresi nella lista dei mandati di cattura di Alibrandi) la Procura chiedeva il rinvio a giudizio per peculato, ma ritenendo che gli imputati potessero rimanere a piede Ubero. Alibrandi allora, alla fine della scorsa settimana, decise di fare un ultimo tentativo: restituì ancora una volta il processo alla Procura chiedendo di specificare meglio le accuse. L'iniziativa aveva il sapore di un «ultimatum». Codice alla mano — diceva in pratica il magistrato — la Procura deve decidere se il «peculato» contestato agli imputati ha l'aggravante o no e se si per quale ragione non viene precisato. A questo punto si può dire che la Procura abbia deciso di «lavarsi le mani» della spinosa faccenda e abbia aggirato il caso. Secondo il pubblico ministero, in sostanza, non esisterebbe la prov a che i dirigenti e gli amministratori dell'Italcasse incriminati avessero preventivamente concor dato tutti insieme le erogazioni del finanziamenti elargiti, ma si sarebbero limitati a dare il loro consenso alle relazioni favorevoli preparate dal l'ex direttore generale, Giuseppe Arcaini. Le cifre non erano indifferenti (la fetta più grossa della torta fu divisa tra i Caltagirone: 209 miliardi; Rovelli: 218 mUiardl e mezzo; Belli: 57 miliardi e duecento milioni; Ursini: 90 miliardi; Marchini : 23 miliardi e 600 milioni: Alotsi: 16 miliardi e 700 milioni) e il giudi¬ ce istruttore rimase del suo parere. Il braccio di ferro si è concluso lunedi sera quando il procuratore aggiunto Raffaele Vessichelli ha detto l'ultima parola, avallando le precedenti decisioni della Procura. L'aggravante non era ritenuta provata e non era chiarito fino in fondo neanche se le somme elargite a imprese e aziende fossero state concesse in anni in cui chi riceveva il danaro era ben lontano dal dissesto e quindi in grado di fornire garanzie. A respingere però questa tesi esiste quanto scritto nel mandato di comparizione dove l'imputazione di peculato viene cosi motivata. Gli accusati avrebbero «distratto a profitto proprio e di altri somme di danaro di proprietà dell'istituto di diritto pubblico» e ancora avrebbero deliberato le operazioni 'Omettendo pressoché totalmente i dovuti accertamenti istruttori tecnico-contabili e basandosi quasi del tutto sulle asserzioni di chi richiedeva le operazioni prive di idonee garanzie. Né fu valutata la solvibilità dei beneficiari ed in vari casi si operò a favore di soggetti che notoriamente si trovavano in stato di estrema difficoltà ovvero addirittura di insolvenza». Silvana Mazzocchi
Luoghi citati: Caltagirone, Italia, Piemonte, Roma, Torino
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