Alla conquista dell'Islam di Ennio Caretto

Alla conquista dell'Islam Per la prima volta gli Usa votano contro Israele Alla conquista dell'Islam La svolta di Carter sul problema degli insediamenti in Cisgiordania è legata alla doppia crisi di Teheran e di Kabul DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - Abbandonando la tradizionale strategia dell'astensione nelle votazioni dell'Orni su Israele, gli Stati Uniti hanno approvato sabato al Consiglio di Sicurezza la proposta araba per la rimozione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Lo storico voto, dato dall'ambasciatore McHenry su mozione del Kuwait, rende più probabile e vicina una soluzione, sia pure controversa, del problema palestinese. Gli Stati Uniti si sono collocati dalla parte dei Paesi musulmani non in segno di ripudio di Israele, ma nella convinzione che solo un accordo sulla Palestina possa rappacificare e stabilizzare il Medio Oriente. La svolta americana, compiuta due giorni prima di quella francese, era stata segnalata nelle scorse settimane da una visita di McHenry nel Nord Africa e nel Golfo Persico. La sua genesi è duplice: essa si riallaccia sia agli impegni assunti un anno fa dal premier israeliano Begin e dal presidente egiziano Sadat alla firma della pace di Camp David, sia alle crisi iraniana e afghana. Non costituisce un fatto isolato, ma è piuttosto il frutto di una profonda revisione, appena conclusa, della politica mediorientale degli Stati Uniti. Conferma la decisione della superpotenza di passare da un'ostile negligenza a un'influenza attiva nel mondo islamico. Sino alla cattura degli ostaggi dell'ambasciata americana a Teheran e all'invasione sovietica dell'Afghanistan, la politica estera del governo Carter ha poggiato sul rifiuto del linkage, del condizionamento cioè della soluzione di un problema a quella di un altro. Ciò ha permesso agli Stati Uniti di concludere accordi separati con l'Urss, ma anche all'Urss di estendere la sua presenza ovunque, dal Sud-Est asiatico al Corno d'Africa, senza rischiare ritorsioni. Questo particolarismo ha improntato le iniziative diplomatiche per l'autodeterminazione dei palestinesi. L'avversione araba è stata alimentata anche dall'incapacità americana di inquadrare il problema in un contesto generale. Le crisi afghana e iraniana hanno imposto il principio del linkage al governo Carter. Manifestatosi nell'asserzione che «la distensione è indivisibile*, esso ha indotto gli Stati Uniti a considerare il mondo islamico un tutto unico. La diplomazia americana ha incominciato a muoversi in una diversa dimen sione. Essa si è persuasa di dovere operare simultaneamente su numerosi fronti- la Palesti na, l'Iran, l'Afghanistan, Egit to-Israele. Mai come nei due primi mesi di quest'anno è stata così assidua nei contatti coi Paesi arabi In successione rapidissima, il presidente Carter vi ha inviato i suoi più intimi collaboratori, dal consigliere della Casa Bianca Brzezinski al ministro del Tesoro Miller. Esiste oggi un grande disegno americano, ed è di stabilire col mondo islamico un sistema di rapporti non dissimile da quello con l'Europa. In un ec cesso di reazione. Carter ha allargato l'ombrello atomico al Golfo Persico, di fronte a un'eventuale penetrazione russa Ma la minaccia militare esula dalla realtà politica. L'obietti vo carteriano a lungo termine non è tanto di creare una rete di alleanze quanto d'instaurare uno spirito di collaborazione che garantisca la pace nella reciprocità degli interessi. Più che a una Nato mediorientale, il presidente pensa a un'asso dazione elastica, dove lo scambio petrolio-tecnologie, il rispetto delle strutture socio-culturali, lo sviluppo econo mico siano costanti. Nella visione di Carter, l'amicizia tra l'Islam e l'Occidente è un fatto naturale. Negli ultimi discorsi, egli ha ribadito le varie comunanze religiose < storiche, contrapponendole al l'ateismo e al neoimperialismo sovietici. L'Urss, ha detto, l'autentica nemica. Costretto a contenerla con misure belliche l'invio della flotta nel Mare Arabico, la ricerca di basi in Oman e in Somalia — ha tuttavia impiegato un approccio distensivo verso il Medio Oriente. Si spiega così la sua pazienza nella vicenda degli ostaggi dell'ambasciata a Teheran: oppure la sua cautela nello Yemen del Nord, minacciato dalle truppe cubane e dai consiglieri tedesco-orientali. Il cambiamento è di sostanza, non di forma, e ha già consentito agli Stati Uniti un recupero parziale dell'Arabia Saudita, e forse anche della Giordania. Lo stesso Iraq, inquieto dopo il colpo di Stato russo a Kabul, non sembra contrario a ravvicinamento. I Paesi moderati non temono più di chiedere aiuto in caso di necessità. Dopo il Marocco, anche la Tunisia, minacciata da uno dei pochi, veri alleati del Cremlino, la Libia, si è rivolta agli Stati Uniti per forniture militari. Una soluzione, sia pure temporanea, del problema pa-. lestinese, accelerebbe il prò-, cesso di normalizzazione. L'Urss si è resa conto degli effetti potenziali della nuova politica del governo Carter. Ha anche capito di averla favorita con l'invasione dell'Afghanistan. 1! suo rimedio non sta nel ritiro delle truppe da Kabul. E' invece la proposta di una conferenza degli Stati europei, a esclusione quindi degli Stati Uniti, e con una garanzia dell'Onu, sulla sicurezza degli approvvigionamenti di petrolio e sulla integrità territoriale e l'indipendenza dei Paesi del Nord Africa e del Golfo Persico. L'Urss ha proclamato d'essere cosciente del pericolo di una terza guerra mondiale qualora si spingesse più avanti: in Medio Oriente, ma ha rivendicato al tempo stesso il proprio «legittimo diritto» ad acquistare il greggio dall'Opec come l'Occidente. Nella terribile tensione che attanaglia le Nazioni arabe, la globalità della nuova politica statunitense e la preoccupazione del Cremlino sono due fattori positivi. Il semplice confronto delle diplomazie diminuisce il rischio del conflitto. E' un elemento che l'Europa, soprattutto l'Europa meridionale, ponte fisiologico col M edio Oriente, non deve sottovalutare. Per un paradosso, superata la fase acuta della crisi afghana, gli Stati Uniti e il mondo islamico potrebbero scoprire che le prospettive di un'intesa non sono mai state così buone. Ennio Caretto

Persone citate: Begin, Brzezinski, Sadat