Aron: due spettri per l'Europa di Bernardo Valli

Aron: due spettri per l'Europa INTERVISTE SULLA CRISI DELLA CULTURA DI SINISTRA IN FRANCIA Aron: due spettri per l'Europa «Sono la libertà e l'Armata Rossa» - Il settantacinquenne Raymond, avversario «storico» dell'intellighenzia marxista, non ha dubbi nei suoi giudizi - «L'Urss? Resta un punto di riferimento, perché ha un regime diverso dagli altri ed è diventata una grande potenza» - Con Sartre ha firmato un invito a boicottare le Olimpiadi DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PARIGI — Le barricate ci sono ancora sulle rive della Senna, ma ormai da tempo non sono più di sassi strappati al selciato, di alberi divelti, di automobili rovesciate, di masserizie consumistiche, e su di esse non sventolano le bandiere della rivolta, né manifesti dissacranti: sono cumuli invisibili, montagne immaginarie di pessimismo storico, dietro cui gli intellettuali di sinistra si proteggono dalle vecchie e nuove generazioni ostili, peggio ancora distratte, indifferenti. Gli esponenti dell'alta intellighenzia, come dice Aron, sono tutti rinchiusi nei loro fortini individuali, dai quali escono con circospezione, per sortite fulminee. L'eroismo dell'identità politica ha fatto il suo tempo. Che cosa si è lo si chiede, di volta in volta, ai problemi con i quali ci si misura, quando è proprio necessario, indispensabile. La parola d'ordine è: non lasciarsi intrappolare in un'ideologia, tantomeno in un movimento. Di partiti non se ne parla neanche. Al massimo si può firmare una petizione. Et encore! I miti d'oggi Un tempo, i «miti d'oggi-, Roland Barthes sottoponeva alla prova della linguistica le nozioni marxiste e viceversa. Adesso, dopo le parole e le •strutture- che vi si annida-, no, analizza le immagini (le fotografie) nel suo agghindato appartamento della rue Servandone vicino alla chiesa monumentale di SaintSulpice. Michel Foucault continua la sua opera di archeologo del sapere in rue Vaugìrard, a ridosso della non più favolosa Montparnasse. L'autore di «Sorveglia¬ re e punire- e della «Storia della follia- è sempre più solitario, non è più circondato da «gruppi di informazionesulle prigioni e le cliniche psichiatriche. Jean Patii Sartre è arroccato in boulevard Raspail: protetto da Simone de Beauvoir e da Pierre Victor, suo figlio spirituale, detta a un magnetofono quel che non può scrivere per la semicecità. Barthes parla della «morte provvisoria del progressismo-. Con eleganza, quasi con civetteria spiegu il disorientamento politico che l'ha riportato a una pratica letteraria «pura-, teorizza l'impossibilità di una scelta, ripete che lo scrittore, oggi, è «fondamentalmente e trascendentalmente solo-. Foucault centellina parole e idee, distribuisce le dichiarazioni col contagocce, non a torto si fida soltanto di se stesso. Sartre afferma che la rivoluzione non è più all'ordine del giorno. Forse non è generoso rivolgersi al loro avversario storico, a Raymond Aron, il censore, il liberale fermo sulle stesse posizioni da decenni, per sapere quel che accade alla grande intellighenzia di sinistra francese. Ma nei suoi giudizi egli sa essere equanime, n settantacinquenne filosofo è serr.pre stato letto a sinistra, da marxisti e gauchisti, anche nei momenti di rottura, quando infuriava il settarismo intellettuale parigino, che stupiva tanto l'italiano Vittorini. Ed ora Foucault e Sartre affiancano le loro firme alla sua, per invocare soccorsi in favore dei profughi vietnamiti o per chiedere il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca, dopo l'intervento dell'Armata Rossa nell'Afghanistan. Prima di andare all'appun- tomento con Aron getto un'altra occhiata alla recente ma già celebre fotografia della sua stretta di mano con Sartre, dopo decenni di ostilità ideologica. E'stata pubblicata in 107 Paesi, dal Giappone al Brasile, come capita a quelle dei pesi massimi quando è in ballo il titolo di t campione del mondo. Nella fotografia, lui, Aron, è seduto, con giacca e cravatta, e la solita espressione professorale. Non c'è traccia d'ironia o trionfalismo sulla faccia biblica rivolta verso Sartre, che è in piedi, di profilo, con lo sguardo spento puntato sull'amico di gioventù, vituperato per più di trent'anni. La fotografia risale all'estate scorsa, in occasione di una manifestazione in favore dei boat people del Mar meridionale di Cina. L'immagine è simbolica, segna la fine ùi un'epoca, rivela la crisi che dilania la cultura di sinistra francese. Sartre, incarnazione si può dire dell'intransigenza rivoltizionaria, ha abbandonato le sue posizioni e si è spostato sia pure provvisoriamente, non per una riconciliazione ideologica, sul terreno di Aron, incarnazione del liberalismo. Lui, Sartre, che per decenni aveva considerato i gesti umanitari in favore di profughi e carcerati come alibi per evitare l'impegno politico, ha rinunciato alla rivoluzione e adesso si dedica alla «carità-. Gli amici di Camus parlano di rivincita: Sartre accusava il defunto autore de «La peste- di girare le spalle alla politica per soccorrere i derelitti (che erano poi le vittime dei campi di concentramento sovietici o non sovietici), lo chiamava «Croce Rossa-. Ora è l'autore di «Le mani sporche- che guida l'ambulanza. Chiedo ad Aron: a quando bisogna risalire, nella storia della cultura francese, per trovare uno sbandamento paragonabile a quello odierno dagli intellettuali di sinistra? «Penso al patto germanosovietico, che è stato per la sinistra francese, nel 1939, qualcosa di simile a quel che accade oggi, quarant'anni dopo, in seguito all'invasione dell'Afghanistan e al ritorno del pcf a un atteggiamento stalinista*. Lei ha firmato un invito a boicottare le Olimpiadi di Mosca insieme a Sartre, alla Beauvoir e a Foucault Questo accostamento di nomi è un awenimen ta. «E' un episodio della Parigi intellettuale». Nell'estate scorsa c'era stato un altro episodio: la sua stretta di mano con Sartre, dopo decenni di polemiche. Jean Daniel, direttore del «Nouvel Observateur-, afferma che è stato un fatto di rilievo, poiché è Sartre che si è spostato su un terreno aroniano. Realtà dei Gulag «Io non l'avrei detto, perché un'affermazione del genere fatta da me sarebbe stata spiacevole. Ma dal momento che è stato Jean Daniel a farla posso riconoscere che è esatta». Cosa ha reso possibile quella stretta di mano? •La presa di coscienza da parte di un numero consistente di intellettuali di alto livello per i quali è diventato inaccettabile accordare al regime sovietico privilegi e assoluzioni per il semplice fatto che esso si richiama ad idee di sinistra. Ho sostenuto per più di trent'anni che gli assassinii e i campi di concentramento compiuti, organizzati ispirandosi ad idee di sinistra o di destra restano comunque assassinii e campi di concentramento. E questo è un principio valido per 1 socialisti liberali e i liberali "tout court"». Sartre, per la- verità, ha sempre riconosciuto l'esistenza di campi di concen tramento nell'Urss. «Si, tempo fa, in un articolo sui "Temps Modernes" ha scritto che il dieci per cento della popolazione sovietica passava per i campi di concentramento. Ma in tanti anni l'ha detto una sola volta. Per un lungo periodo, intellettuali come lui consideravano che il movimento comunista era portatore di una speranza umana e che per questo lo si poteva scusare per crimini che non potevano essere perdonati ad altri». Adesso quell'indulgenza viene negata. «C'è stato nell'intellighentia, in particolare tra i giovani, uno slancio intellettuale, un movimento che si ispirava ad idee diverse da quelle co-' muniste: autogestione, libertà individuali, liberazione dei costumi... il gauchismo ha cominciato una critica del comunismo burocratico, e questa critica ha colpito Sartre, che in fondo ha un carattere che lo spinge verso l'anarchia, non verso un burocratismo autoritario. E poi c'è stato Solzenicyn che ha presentato in modo concreto, da uc~mo di genio, da testimone diretto, la realtà del Gulag sovietico». Come Weimar Cosa ha provato quando ha saputo che Sartre avrebbe partecipato insieme a lei, dopo tanti anni, ad una manifestazione umanitaria, come quella in favore dei profughi vietnamiti? «H caso di Sartre è complesso. In gioventù l'ho conosciuto molto bene. Egli partiva certamente da un atteggiamento morale. Durante un periodo della sua vita ha pensato, creduto che l'esistenza umana cui tendeva potesse realizzarsi unicamente attraverso una rivoluzione. Rifiutava il moralismo, perché sosteneva che i valori morali potevano sbocciare soltanto in un'altra società, dopo la rivoluzione. Questo l'ha condotto nella sua polemica con Camus, ad esempio, ad assumere posizioni in apparente contraddizione con quelle che assume oggi». Sartre non è mai stato marxista. «Non lo è mai stato nel senso ortodosso del termine, tuttavia affermava che la verità del Capitale era talmente evidente che non era ne-' cessarlo dimostrarla. E' vero invece che non è mai stato marxista-leninista, non è mai stato membro del pc. In quanto filosofo era molto più interessato alla sua filosofia che a quella degli altri». Lei ha vissuto da giovane, al contrario di Sartre, l'esperienza della Repubblica di Weimar, dalle cui rovine scaturì il nazismo. Se ricordo bene lei ha definito Marcuse, che in quegli anni apparteneva alla scuola di Francoforte, «un uomo pericoloso-. «E' probabile che l'abbia detto. Ma la frase estrapolata dal contesto darebbe un'idea falsa di quella che era la mia intenzione. Quel che pensavo allora e quel che penso oggi con maggior rigore è che intellettuali come quelli della scuola di Francoforte in definitiva non hanno fatto nulla per salvare la Repubblica di Weimar, al contrario hanno contribuito alla sua fine. Non dico che fossero responsabili di quel che poi è accaduto. Voglio dire che quel tipo di intellettuali, che in nome del ma;-xismo non incarnato in alcun movimento reale tagliano a pezzi la democrazia detta borghese, svolge nei periodi di crisi un triste mestiere». L'esperienza di Weimar ha poi determinato il suo comportamento? •Si e no. A Weimar ho pre¬ so coscienza della fragilità 1 della civiltà politica. La civiltà politica, come io l'intendo, è: rispetto dei diritti dell'uomo, il minimo di violenza, contrasti politici senza colpi di pistola, possibilità dei cittadini di fare il loro mestiere di cittadini. Questa civiltà politica nel ventesimo secolo è straordinariamente fragile». Pensa che possa disgregarsi? «Nel quadro dell'umanità intera, i nostri Paesi europei oggi occupano un posto esiguo da un punto di vista demografico, ma paragonati al resto del mondo, non dico che siano modelli universali di civiltà politica, ma direi che sono degli esempi. Tutti i nostri regimi hanno molto da fare per realizzare in pieno quello che io chiamo una civiltà politica, ma se guardo a quel che accade altrove, fuori dall'Occidente, dico che l'Oc-, ridente rappresenta qualcosa. Anche se dovessimo perire sotto la forza militare del regimi totalitari il nostro regime liberale resterà per i posteri al tempo stesso un ricordo e un esempio. In questo senso sono ottimista». In definitiva lei attribuisce alla fine del mito sovietico la crisi degli intellettuali francesi. *Certo. Ma l'Unione Sovietica resta un punto di riferimento ancora per molti milioni di uomini, anzitutto perché è un regime diverso da quello in cui vivono, perché ha cominciato una rivoluzione in nome di Marx, e,' perché, cosa ancor più importante, è diventata una grande potenza. E' sempre difficile valutare il fascino che una potenza esercita sugli animi, e separare i valori che le si attribuiscono dalla paura che ispira. Nel mio ultimo libro, alla fine, parafrasavo il manifesto comunista e dicevo che due spettri si aggirano per l'Europa: la libertà e l'Armata Rossa». Nel suo ultimo articolo invece... «Nel mio ultimo articolo ho scritto che bisogna che la sinistra trovi una sua collocazione, una sua strada in un mondo in cui le grandi disgrazie sono possibili, e le grandi speranze impossibili.. Bernardo Valli