La formula di Belgrado

La formula di Belgrado AUTOGESTIONE La formula di Belgrado Come funziona il «socialismo autogestito» jugoslavo, con i suoi «consigli di lavoratori" e il suo «sistema di delegati»? Si tratta di un nuovo modello politico o dell'adattamento del classico modello leninista ad una realtà mutata? La risposta a questa domanda è complessa, anche perette molti comunisti jugoslavi si esprimono spesso in modo contraddittorio. Certo è che il modello jugoslavo, visto storicamente, è un prodotto del conflitto fra Belgrado e Mosca. Quando nel 1948 Tito si oppose a Stalin e la Jugoslavia fu espulsa dall'Ufficio del Cominform» (Vallora comunità dei partiti comunisti controllata dai sovietici) il sistema jugoslavo era ancora una copia abbastanza esatta del modello sovietico. Tito era allora a capo di una Stato più o meno stalinista e d'un parti to — almeno come organizzazione struttu■ rale—stalinista anch'esso. Autonomia / comunisti jugoslavi fecero quindi di necessità virtù in quanto cercarono una legittimazione ideologica per la loro secessione. Nel far questo si imbatterono con le tradizioni anticentralistiche, sindacaliste e comunitarie del movimento dei lavoratori. Non è un caso quindi che la critica sovietica abbia inventato per la «linea Tito» il termine di revisionismo jugoslavo. E quindi Tito — o per meglio dire i suoi subordinati ideologhi, Kardelj, Kidric, Bakaric e Gilas — cercarono di ricollegarsi a quelle linee di sviluppo del movimento comunista e socialista che erano state interrotte da Stalin e dal dispotismo sovietico. Così ci si impegnò nella formula magica dei «consigli dei lavoratori» che devono gestire le fabbriche invece dei burocrati centralizzati. Nel 1950 fu promulgata la prima legge sull'autogestione e per la prima volta in un Paese comunista l'economia alien-ne nella formazione delle organizzazioni aziendali ed economiche alcune prerogative di fronte ai politici. Per la prima volta insomma in un Paese comunista viene introdotta l'autonomia dell'economia di fronte alle istanze politiche. I consigli dei lavoratori, che a partire da allora vengono eletti dalle maestranze ed hanno poteri decisionali sulla direzione e la conduzione, erano all'inizio però limitati nelle loro competenze. Ma già nel 1965 la riforma economica conferì agli organi di autogestione un decisivo ampliamento delle competenze. Piani di produzione e autonomia di investimenti, come la politica dei prezzi, se pure con certi limiti, vennero trasferiti dagli uffici centrali dello Stato alle aziende. Nacque cosi un sistema che gli jugoslavi chiamano «economia di mercato socialista» e nel quale il governo centrale riserva per sé soltanto alcune competenze nell'ambito di un piano programmatico di massima (infrastrutture, trasporti, comunicazioni e industria pesante). Fino al 1974 il sistema di autogestione jugoslavo aveva prevalentemente carattere sociale ed economico. Con la nuova Costituzione del 1974 e le leggi che seguirono sul «lavoro associato», il concetto di autogestione fu introdotto nel sistema politico dello Stato. 1 delegati eletti nelle fabbriche e nei singoli settori produttivi costituiscono su diversi piani — nei comuni, nelle singole repubbliche e nella Federazione — le proprie «camere» entro i Parlamenti e formano pertanto una specie di frazione socio-economica che tiene conto di interessi specifici. Tradizioni L'attuazione pratica della legge di autogestione comporta tuttavia alcuni problemi. Uno dei più eminenti ministri di Tito, Eduard Kardelj, morto circa un anno fa, fu il creatore e «profeta» del nuovo sistema jugoslavo, ma, e ciò è forse da imputare alla sua origine slovena, propendeva a perdersi nei particolari e complicava molte cose con una eccessiva sistematicità. Di quali strumenti socio-economici dispongono dunque le maestranze, nelle aziende, per realizzare i loro diritti costituzionali? Per utilizzare le possibilità offerte dalla legge i lavoratori hanno bisogno non solo di informazioni ma anche di certe tradizioni di lotta per i propri diritti. Ora si osserva in Jugoslavia, come anche in altri campi, una chiara divisione Nord-Sud. In Slovenia, Croazia e Vojvodina (provincia autonoma facente capo alla Serbia) dove il movimento lavoratori ha una tradizione e un'esperienza secolare, la legge stili 'autogestione viene presa sul serio. Nel Nord e nell'Ovest il consiglio dei lavoratori esercita pertanto un forte influsso sulle aziende. Il direttore è soprattutto un organo esecutivo. Nel Sud invece, nei territori e repubbliche cioè che non hanno tradizione ed esperienza industriale, il direttore è spesso il vero «padrone» che può «manovrare» il consiglio dei lavoratori. I critici del sistema jugoslavo affermano che gli ideologhi di Belgrado hanno intenzionalmente lasciato «vivere» una contraddizione decisiva: cioè la polarità tra un partito comunista monopolistico da una parte e dall'altra gli interessi pluralistici dell'economia e della società, una polarità che provoca continui scontri di interessi. La questione è aperta per il futuro: come possono in un sistema del genere conciliarsi strutture politiche di partito e istanze dei lavoratori o dei direttori senza continui conflitti? Chi finirà per esautorare l'altro? In Jugoslavia esistono infatti sindacati organizzati che, a termini di legge, hanno l'obbligo di difendere gli interessi dei lavoratori, anche di fronte ai direttori. In questo il sindacato jugoslavo si differenzia già in teoria dai sindacati del blocco orientale. Ma nella pratica si ha l'impressione che il partito tenga volutamente in poco conto certe strutture sindacali, e ciò per paura che si determini una seria concorrenza con il partito, se i capi sindacalisti svolgessero sul serio il loro compito. Proprietà Anche il problema della proprietà non è chiaramente risolto né come teoria né come pratica. Secondo la filosofia economica belgradese tutte le aziende e fabbriche appartengono alla «comunità». Ai lavoratori che hanno «associato» il loro lavoro in un'azienda viene affidata dalla comunità una parte della responsabilità gestionale e una certa quota di utili. Ma anche gli abitanti nel cui territorio è stata fondata un'azienda di «lavoratori associati» godono di una parte di quei diritti; e ne nascono conflitti. Del resto questi conflitti vengono spesso alla luce pubblicamente perché i comunisti jugoslavi, a differenza dei sovietici, non credono in una società del tutto priva di conflittualità. Il sistema di autogestione jugoslavo può essere considerato in sostanza sotto due punti di vista, quello dell'efficienza economica e quello delle conseguenze politiche.Dal punto di vista economico tecnici occidentali hanno duramente criticato molte manchevolezze del sistema. Resta il fatto che il sistema jugoslavo si è comportato bene come strumento politico. Conflitti anche acuti, ad esempio gli scioperi, permessi in Jugoslavia a differenza di tutti gli altri Paesi comunisti, non hanno mai minacciato di far saltare in aria il sistema. Tito non ha mai dovuto impiegare carri armati, né suoi né altrui, contro i lavoratori. Il complicato sistema jugoslavo rivela comunque alcuni punti deboli. La decentralizzazione può portare ad un egoismo economico di singole regioni o aziende. E' il caso delle difficoltà di rifornimento dell'inverno 1979-1980 quando improvvisamente a Belgrado non si trovò più latte perché i consigli autogestiti dei caseari preferirono esportare i loro prodotti in Grecia, contro valuta pregiata, anziché venderli nella capitale. I funzionari jugoslavi ammettono spesso che il Paese è vissuto finora «sopra i propri mezzi». Inflazione e crisi di materie prime, provenienti dall'Occidente, colpiscono il sistema. In un sistema a metà socialista e a metà di mercato libero — sistema che sotto taluni aspetti assomma in sé gli svantaggi di tutti e due — gli jugoslavi devono passare attraverso la crisi, una crisi che non appare insolubile purché il governo jugoslavo non decida di ritornare a metodi di pianificazione centralizzati e scelga alla fine di sostituire un male transitorio con uno stabile. Una cosa è incontestabile: parecchi partiti comunisti — come in Cina, così anche in Italia e Spagna — hanno inserito nel loro programma certi elementi dell'ideologia autogestionale. Non c'è dubbio che il modello jugoslavo, volere o no. rappresenta un deciso superamento del concetto sovietico-comunfst'a sutl'economia cen tralizza ta. Cari Gustaf Stroehm rqtmztuldlsdtsnsa

Persone citate: Eduard Kardelj, Gilas, Gustaf Stroehm, Stalin, Vallora