Oltre il 10% degli europei ha vissuto da disoccupato di Jacqueline Grapin
Oltre il 10% degli europei ha vissuto da disoccupato RISULTATI DI UN'INDAGINE TRIENNALE Oltre il 10% degli europei ha vissuto da disoccupato Il mondo europeo del lavoro è come una bottiglia, della quale si può dire indifferentemente che è mezza piena o mezza vuota. Su un campione multinazionale di 9 mila persone, interrogate nel quadro di un'inchiesta condotta da Hélène Riffault per incarico della Direzione generale dell'occupazione e degli affari sociali della Commissione delle comunità, il 13 per cento ha vissuto di persona l'esperienza della disoccupazione, il 36 per cento l'ha conosciuta attraverso parenti o amici. Ciò vuol dire che quasi un europeo su due ha avuto fra il 1975 e il 1978 una certa esperienza personale, diretta 0 indiretta, della disoccupazione o della ricerca di lavoro. Il fenomeno riguarda cir^. ca i due terzi della popolazione fra i 20 e i 30 anni, e la metà degli adulti oltre i 60 anni, mentre coinvolge soltanto una persona su dieci fra i 34 e 1 60 anni. Un fenomeno, nell'insieme, esteso. Le situazioni e gli atteggiamenti nei confronti della disoccupazione variano notevolmente da un Paese all'altro. Due europei su tre hanno opinioni pessimistiche sulla situazione dell'occupazione nei loro Paesi, ma sono opinioni che variano molto a.; seconda dei Paesi. Lo «statò d'animo» è buono in Germania Federale, abbastanza buono in Danimarca e nei Paesi Bassi, cattivo in Italia, pessimo in Francia. Indubbiamente, i motivi non sono da ricercare soltanto nella congiuntura economica, ma anche nell'equilibrio politico e sociale. Negli ultimi tre anni. 26 milioni di persone complessivamente sarebbero state disoccupate o avrebbero cercato lavoro senza trovarne nella Comunità europea. Il 40 per cento sarebbe stato in questa situazione per almeno un anno. La percentuale è particolarmente elevata nel Regno Unito, in Irlanda, in Italia e in Francia. Oggi, quattro persone su dieci hanno trovato un lavoro, due su dieci hanno rinunciato e si sono rassegnate (fra le quali il 75 per cento sono donne, e un terzo di queste sono capifamiglia), gli altri continuano a cercare. Poi c'è il problema delle indennità che vengono spesso denunciate come un incoraggiamento abusivo all'inatti¬ vità. Nella sua inchiesta. Hélène Riffault ha cercato di chiarire questo punto. I due terzi degli europei interrogati dicono di conoscere personalmente gente iscritta alla disoccupazione, ma che non cerca seriamente un lavoro, o di averne sentito parlare. D'altra parte, la metà degli stessi europei dice di conoscere personalmente o per sentito dire gente che non è iscritta alla disoccupazione, ma vorrebbe lavorare, se trovasse un impiego. Paesi Bassi e Italia sono i più portati a vedere l'abuso nell'uno e nell'altro senso. Ma in tutti i Paesi i pareri su questo problema variano a seconda che vengano espressi da persone che non hanno . mai avuto difficoltà a lavorare o che ne abbiano avute. In pratica, oltre un terzo degli intervistati che negli ultimi tre anni sono stati disoccupati per un certo periodo, o che abbiano inutilmente cercato lavoro, dicono di non essersi mai iscritti alla disoccupazione, e la metà dice di non aver mai avuto alcuna indennità o aiuti finanziari dallo Stato. Paradossalmente, l'indagine sulle persone che dicono di essere state disoccupate per un anno o più dimostra che si sono iscritte in minor numero, rispetto alle altre, alle liste di disoccupazione, e che hanno ricevuto minori indennità. Sino ad oggi inoltre non esistevano dati sull'estensione del cumulo dei lavori e del lavoro nero nell'Europa. Stando all'esperienza dei protagonisti di questa inchiesta, il lavoro nero è diffuso quanto le «ore supplementari» ed il cumulo dei lavori è tutt'altro che raro. Vi sono però pareri discordi su questa abitudine. La gente è generalmente favorevole alle ore supplementari, ostile al cumulo dei lavori, divisa sul lavoro nero. Chi ha provato la disoccupazione non è più contrario degli altri al cumulo dei lavori e al lavoro nero. 10 è di più invece alle ore supplementari. L'Italia è il regno di questa pratica, dove la maggioranza dei lavoratori si dice contraria soprattutto al doppio lavoro. La Germania è decisamente favorevole al lavoro nero, infatti in questo Paese 11 doppio lavoro è poco diffuso. Irlanda e Regno Unito. che seguono a ruota l'Italia per la diffusione di questi fenomeni, sono invece decisamente favorevoli alle ore supplementari, e meno contrari di altri Paesi al cumulo dei lavori. La Francia sembra cosi essere il Paese nel quale queste formule di lavoro sono meno diffuse. I francesi sono contrari al cumulo e al lavoro nero, e favorevoli alle ore supplementari. E comunque, la maggioranza è d'accordo nel dire che il consiglio di lavorare al «nero», come quello di transigere sul tipo di lavoro nel quale uno spera, sono cattivi consigli per i disoccupati: meglio spingerli ad imparare un altro mestiere o ridurre il tenore di vita. Le donne e i giovani sono le vittime preferite della disoccupazione. L'atteggiamento discriminatorio dei datori di lavoro nei confronti delle donne è diffuso soprattutto in Germania, in Italia e in Danimarca. Italia, Germania e Lussemburgo «gridano» al declino delle industrie che occupano soprattutto donne; Regno Unito, Paesi Bassi e Francia gridano invece alla scarsa formazione professionale delle donne. In Belgio i vantaggi dell'indennità di disoccupazione rispetto al lavoro sono la miglior spiegazione del fenomeno. I giovani adducono soprattutto un motivo: i datori di lavoro preferiscono assumere dipendenti con una certa esperienza. Ma la differenza qualitativa fra i posti offerti e l'ambizione del giovani che cercano lavoro è frequente, soprattutto in Germania. In Italia. Francia e Danimarca, la reticenza dei datori di lavoro a creare nuovi impieghi ha un peso notevole. Nel Regno Unito si critica, per i giovani e le donne, l'insufficienza della formazione professionale. Per chi non riesce a trovare lavoro la cosa peggiore so•no. oltre alle entrate insufficienti, la perdita di fiducia in se stessi, e la prospettiva delle difficoltà in famiglia. Rara, invece, la paura dell'esclusione sociale, e del giudizio di amici e conoscenti. Come dice Hélène Riffault. «sarebbe bello avere i risultati della stessa domanda posta dieci. 35 o 50 anni fa per valutare l'evoluzione dell'atteggiamento nei confronti di questo problema». Jacqueline Grapin
Persone citate: Hélène Riffault, Rara
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