Una bancarotta mondiale? possibile, ma pochi ci pensano

Una bancarotta mondiale? possibile, ma pochi ci pensano IL SISTEMA ECONOMICO SOFFOCATO DAI DEBITI Una bancarotta mondiale? possibile, ma pochi ci pensano Entriamo negli Anni Ot-' tanta con un mondo dominato dalla psicologia dell'inflazione. Questa, di fatto, continua a rappresentare la maggiore preoccupazione di quasi tutte le autorità monetarie, è insomma la più grave minaccia per i cittadini delle «ingole comunità. Si calcola infatti che in Gran Bretagna raggiungerà una punta del 20 per cento nella prima metà del 1980; in Italia e in Francia il tasso d'inflazione è già adesso rispettivamente del 17 e dell' 11,5 per cento. Se dunque per ora soltanto! Òran Bretagna, Italia e Francia soffrono di un'inflazione a due cifre, gli indicatori dei maggiori sistemi economici indicano chiaramente che altri Paesi entreranno in quella schiera col passare dei mesi, e ciò in seguito ai rincari del petrolio e al fatto .che in un Paese dopo l'altro la crescita monetaria supera i limiti prefissati. Dalla crisi degli Anni Trenta c'è stato infatti un incredibile sviluppo della struttura dell'indebitamento globale ; negli ultimi due anni quella crescita ha invaso il settore del consumo. Il ritmo di aumento dell'indebitamento ha cosi largamente superato la produzione, mentre i debiti al consumo raggiungono livelli ampiamente superiori all'aumento dei redditi in tutta la Comunità europea. Sarebbe quindi del tutto irrealistico prevedere che continui ancora per molto questo massiccio ricorso all'indebitamento, sia su base internazionale sia nel settore del consumo domestico. Sarebbe anche assurdo credere che possano improvvisamente emergere politiche governative coordinate in grado di fare uscire l'economia mondiale dal suo male autogenerante. Gli squilibri globali di oggi sono il risultato, anzitutto, di decenni di decisioni azzardate e poco sagge. Un'ulteriore interferenza da parte di qualsiasi governo centrale rallenterà soltanto le necessarie correzioni che il mercato libero apporterà da solo. La maggior parte degli; esperti economici sono giunti alla conclusione che, per frenare l'inflazione, occorre limitare la crescita della disponibilità monetaria. La saggezza convenzionale e la teoria monetaria classica indicano senza ombra di dubbio che la via per il controllo monetario passa attraverso il meccanismo dei tassi d'interesse. Come risultato, la psicosi dell'inflazione in Europa e altrove ha portato a una guerra concorrenziale dei tassi d'interesse. Di rilievo è stato l'aumento del 3 per cento del minimum lending rate inglese, ma i tassi d'interesse sono stati alzati dalle banche centrali, alla fine dell'anno, anche in Norvegia e Svezia. Mentre i tassi d'interesse parevano stabilizzarsi negli Stati Uniti, in Francia e in Germania, quelli di altri Paesi tendevano chiaramente ad aumentare. Eppure, nonostante tassi record d'interesse e il vasto uso del loro meccanismo, la disponibilità monetaria nella maggior parte delle economie sviluppate è stata superiore ai limiti precedentemente stabiliti ed è sembrata una causa dell'inflazione piuttosto che una cura. In aggiunta a questi problemi c'è il rincaro del petrolio. I Paesi non esportatori di petrolio dell'Ocse saranno fra i più colpiti da una recessione globale, ma ancora più gravi saranno gli effetti sugli Ldc (-Less development countries». i Paesi meno sviluppati) non esportatori di petrolio. Nel 1979 il deficit dei Paesi Ldc ha superato i 45 miliardi di dollari. I recenti 'aumenti di prezzo decisi dall'Opec porteranno quel deficit, nel 1980. oltre i 60 miliardi di dollari. Mentre i finanziamenti del' Fondo monetario sono a disposizione degli Ldc. una loro condizione è sovente la svalutazione della valuta. Questo non è mai stato considerato un mezzo efficace per correggere un Paese poco sviluppato. E' difficile pertanto che l'andamento delle esportazioni e delle importazioni risponda con efficacia alla svalutazione. Il risultato netto della svalutazione tende a essere un più alto livello d'inflazione senza il desiderato miglioramento della bilancia dei pagamenti. Si può quindi prevedere che i Paesi meno sviluppati eviteranno nei limiti del possibile i prestiti del Fondo, e questo si tradurrà in un'ulteriore pressione sui mercati eurovalutari, che già rivelano gravi tensioni e mancanza di liquidità. Inoltre, come risultato della crisi fra Stati Uniti e Iran, la minaccia di una crisi bancaria mondiale è più una realtà di quanto molti siano disposti ad ammettere. Facciamo un esempio. Pare che l'Iran abbia con le banche statunitensi un indebitamento di 6 miliardi di dollari. I beni iraniani congelati dagli Stati Uniti nelle loro banche e nelle filiali estere ammonterebbero a 12 miliardi di dollari. Si ritiene inoltre che l'Iran non intenda onorare i debiti per 6 miliardi di dollari ritirando al tempo stesso i suoi 12 miliardi di dollari e ridepositandoli in altre valute presso banche fuori degli Stati Uniti. Il risultato netto sarebbe l'uscita di 18 miliardi di dollari dal sistema bancario americano e questo, senza dubbio, scatenerebbe una reazione a catena fra le banche con indebitamenti iraniani. Mentre i maggiori creditori per i 6 miliardi di dollari dell'indebitamento iraniano sono le banche in America. Germania e Svizzera, saranno molto più numerosi coloro che potranno essere danneggiati. La maggior parte dei consorzi bancari internazionali hanno contribuito ai prestiti contratti dall'Iran con le banche americane: c'è da dubitare che qualsiasi banca possa sfuggire alle conseguenze di una crisi bancaria mondiale. Chiaramente molte delle banche più piccole chiederanno una moratoria che eserciterà maggiori pressioni sulle banche più grandi. Occorre ricordare che le somme in questione fanno sembrare la cri*si bancaria del '74 negli Usa e in Inghilterra nulla più che il debito di un piccolo pescivendolo. In aggiunta alla minaccia, di una crisi bancaria internazionale c'è la diffusa opinione che il sistema bancario, internazionale abbia seguito sentieri commercialmente poco validi solo per tenere a galla potenziali bancarottieri. C'è stata una marcata tendenza a ottenere investimenti dai ricchi Paesi produttori di petrolio e poi riciclare i depositi a breve in .prestiti a lungo termine con i Paesi Ldc. La storia insegna però che la migliore formula per un crack bancario è sempre stata «farsi prestare a breve e dare in prestito a lungo termine^. Mentre, come abbiamo visto, le autorità perseguono una politica di contenimento monetario, destinato a porre limiti all'inflazione che la ipnotizza con gli indici dei prezzi al consumo, una minaccia ben più grave attende dietro le quinte: il pericolo della deflazione. Tutta l'attenzione è ora focalizzata sull'inflazione: si tratta in realtà di un problema momentaneo, che ha occupato il. breve periodo degli Anni Settanta. I veri problemi_degli' Anni Ottanta saranno invece il panico finanziario, la recessione e infine la deflazione. Per quasi quarant'anni la' crescita economica è stata la protagonista indiscussa. Sta per arrivare il giorno in cui la sopravvivenza avrà la precedenza sulla crescita. Ciò che la maggior parte dei pianificatori non riesce a comprendere è che la deflazione è stata, molto più dell'inflazione, un elemento costante del nostro sistema economico. Come dimostra la storia dei prezzi fin dai tempi di Tommaso d'Aquino, sono stati più lunghi i periodi di prezzi al ribasso che quelli di prezzi al rialzo. A lungo termine la contrazione dell'indebitamento è più diffusa che la sua espansione. La deflazione significa alta disoccupazione, bancarotta, panico, consumo dei capitali, banche che saltano, ed è sempre stata temuta molto più dell'inflazione. Ma ora la paura dell'inflazione supera quella della deflazione: la mancanza di preparazione per affrontare le forze deflazionane spiega in buona misura perché la minaccia sia cosi grave. I fattori deflazionari agiscono cosi nel sistema economico virtualmente inosservati. Non c'è dubbio che la tassazione è deflazionaria. La maggior parte degli indici dei prezzi al consumo sono falsati dall'incidenza fiscale e quindi sopravvalutano il vero tasso d'inflazione. La ereRobert C. Beckman (Continua a pag. Il in quinta colonna) ] PAESI SOTTOSVILUPPATI PAESI SOCIALISTI U. S. A. EUROPA OCCIDENTALE I I Crescita annua del prodotto nazionale 30% 35%

Persone citate: Less, Tommaso D'aquino