Le pieghe sulla fronte di Nerino Rossi

Le pieghe sulla fronte PAGINE DA «MELANZIO» Le pieghe sulla fronte Sta per uscire da Rusconi Melanzio. il nuovo romanzo di Nerino Rossi, giornalista-scrittore, direttore del «Giornale Radio della mezzanotte- e nostro collaboratore. Ne pubblichiamo in anteprima qualche pagina. Le visite dell'Isora a Cleto si erano fatte più frequenti anche se, per prudenza, non regolari. Forse avevano già concepito un figlio. Lui le leggeva il viso. Gli occhi, diceva, sono già quelli di una mamma: non vedi che pensano? E la bocca anche: non è più acerba, potrebbe già baciare un bambino. E poi. ti sono venute le pieghe sulla fronte: non lo sai che i bambini nascono con tante pieghe? Una mammina, una mammina tu sei, diceva, e intanto riempiva il percorso di baci: sugli occhi, sulla bocca, sulla fronte. Quindi tirava indietro la testa e guardava lei di traverso, da furbo: hai le guance tutte bianche, è il primo latte che arriva. Ma, amore, non è da lì che viene il latte. Ah no? Credevo che il latte venisse da tutto il corpo. Tutto il corpo, ripeteva, e si slanciava a stringerla tutta. Le affondava allora le dita nei capelli, sollevandoli e scompigliandoli come avrebbe fatto una folata di vento. Bionda come sei, le diceva, non avrai mai i capelli grigi, così sarai sempre una mamma giovane. Poi, con l'indice, le' alzava ancora di più il naso schiccio e glielo stropicciava col suo. Quindi si staccava, per ritornare dopo un attimo da lei e fingere di darle grandi morsi al mento. Ti mangio, sai. Ti mangio. Lei allora rovesciava indietro il capo, scrollando i capelli quasi fossero una criniera. Poi si mettevano nei due angoli più lontani. Lei faceva la corrucciata. Ma quando lui le correva incontro affondando negli stecchi, copriva a metà il riso con le mani, e, una volta ghermita, si lasciava tirar giù. Allora lui le metteva l'orecchio sul grembo cercando e ricercando il palpito di una creatura. Ma non c'è niente, diceva lei. Lui non si staccava e fermava l'orecchio fingendo d'aver trovato il battito che cercava. C'è, c'è, ci sarà. Quindi si sollevava e le rovistava il petto, non da maschio, ma con la delicatezza del contadino quando rovista fra le radici. Stai fermo, che cosa speri di trovare se la fava è ancora nel paniere?i Zitta, ci penso io a seminarla la fava, e siccome di sementi m'intendo verrà un grand'uomo. Come donna io lo voglio solo bello, e col naso schiccio come me. Ti dico che sarà un grand'uomo, forse un genio. Sai quanti geni nascono nelle case contadine! Delle volte il mondo lo sa, delle volte no. Lei allora circondava con le sue mani il viso di lui, un viso rosa, tutto rosa come hanno certi contadini. E dopo, un lungo stropiccio dei nasil prendeva l'iniziativa di baciarlo. Era, quello, l'invito finale. Lui non era più irruente nel fare l'amore. ★ ★ ★ L'Isora seppe che era incinta un giorno di fine febbraio. Non lo disse a nessuno; a Cleto avrebbe fatto un'improwisata. Si coprì col paltoncino ros-. so e s'infilò le calosce. Andò dove la neve era vergine, lungo la cavedagna dei Domenicali. La neve pareggia le cose, pensò. Fa il mondo tutt'uguale. Forse è per questo che dà allegria. Era sola. Si sentì per un momento monella e, per dirlo al mondo, si mise a correre. Xòi fu presa da una gran voglia di fare un ruzzolone giù nel grande fosso del confine. Ma si chinò soltanto per raccogliere un pugno di neve che in parte mangiò e in parte scrollò dalla mano. Il sole patinava di rosa quel gran bianco. Allora l'Isora disegnò nella neve un piccolo cerchio, con due buchi, un segno orizzontale e un'asta al centro. Quando lo faceva da ragazza vi aveva sempre visto il viso di un uomo, questa volta vi vide quello di un bambino. Poi ritornò di corsa badando a evitare le orme dell'andata. Arrivata sullo stradello si voltò a salutare quelle grandi braccia spalancate che, diventano, sotto la neve, i festoni delle viti issati sui pali ai lati delle «piantate». Le sembrò che il mondo fosse pronto ad abbracciarla. ★ ★ ★ Nessuno poteva immaginarlo visto che di giorno non si parlavano quasi mai, ma Melanzio e la Virginia la sera, a letto, si parlavano lungamente. Forse perché il letto era lo stesso di quand'erano giovani e si sa che sono le cose a perpetuare le abitudini degli uomini; forse per il fatto che a letto diventavano più uguali indossando tutt'e due la camicia da notte. Parlavano come narrando. Era un intreccio di racconti dove i conoscenti si facevano personaggi. Melanzio era più bravo nella parte ironica, la Virginia in quella fiabesca. E quando i grilli, nella prima estate, erano ancora desti, entravano anche loro nell'impasto della storia. Fatta sempre, del resto, di uomini e di donne ma anche di animali, seguendo il flusso della vita sulla terra. Si parlavano stando supini, lei con le braccia sul ventre, lui con una mano fra la nuca e il cuscino. Non c'era sopraffazione nel raccontare. Insieme tracciavano i racconti; insieme modellavano le facce. E soprattutto quando parlavano di bambini sembravano due che lavorassero allo stesso intaglio, chi da una parte del viso chi dall'altra. Per cui si può dire che costruissero insieme ogni bambino delle loro storie. Alla fine, quando la voce di uno dei due si faceva bisbiglio, quella dell'altro continuava per assecondare il sonno del coniuge. Qualche volta nessuna delle due voci diventava mai bisbiglio. Nel discorso veniva allora aperta di comune intesa una parentesi, breve e non del tutto silenziosa. Seguivano poche frasi soltanto, che formavano un capitolo a parte. Quelle volte Melanzio, addormentandosi, si faceva più lungo nelle braccia e nelle gambe. La Virginia, che prendeva sonno dopo di lui, si rannicchiava un po', ma contenta. Nerino Rossi

Persone citate: Nerino Rossi

Luoghi citati: Cleto, Virginia