Gli sportivi, «soldati» di Carter di Gian Paolo Ormezzano

Gli sportivi, «soldati» di Carter CHE COSA E' CAMBIATO NEL MONDO DEGLI ATLETI AMERICANI Gli sportivi, «soldati» di Carter Da due anni Washington incoraggiava e aiutava lo sport olimpico povero di mezzi e disorganizzato - Deciso il boicottaggio di Mosca, il presidente pensa di risarcire gli olimpionici mancati offrendo loro forse Giochi alternativi - Intanto nei «colleges» universitari continuano le gare con ospiti sovietici e la nazionale di hockey prepara una supersfìda con l'Urss DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE LAKE PLACID —// primo presidente degli Stati Uniti a pronunciare ufficialmente la parola sport al di fuori di qualche cerimonia ufficiale di premiazione fu Kennedy, nel 1960. Il secondo e stato Carter, vent'anni dopo. Kennedy aveva semplicemente detto che la Casa Bianca non era insensibile alle esigenze degli sportivi: ma non era andato al di là delle parole. Da due anni invece il governo Carter aiutava direttamente lo sport statunitense povero, cioè quello olimpico: da due anni il centro di preparazione olimpica di Colorado Springs. sistemato dove prima era una base aerea militare piuttosto segreta, è in fumione e tira avanti con i soìdi del governo, oltre che di una ditta produttrice di hamburgers. Idem per il centro «gemello» di Squaiv Valley. in California. E stava per nascere un terso centro. all'Est: sempre con l'aiuto di u n governo preoccupa to dopo che ai Giochi di Montreal 1976 non solo l'Urss. ma anche la Germania Est. diciassette milioni di abitanti, aveva raccolto più oro degli Usa. che pure giocavano quasi in casa. L'aiuto del governo era stato quasi clandestino, e si era preferi to lasciar credere all'opinione pubblica che lo sport olimpico statunitense tirasse avanti come ai vecchi tempi, con lasciti privati, questue agli angoli delle strade, povertà esibita come un fiore all'occhiello di fronte al ricco sport universitario, quello dei colleges. e al ricchissimo sport professionistico (foot¬ ball americano, basket, baseball, hockey su ghiaccio e ora anche soccer, cioè football europeo). Adesso, di colpo, a questo sport olimpico che ha appena fatto nascere, come organiszazione e respiro economico, il governo Carter ha cliiesto il sacrificio massimo: la rinun-' eia ai Giochi di Mosca per punire in qualche modo l'Urss dopo l'invasione dell'Afghanistan. Due interventi di Carter, il 4 gennaio e il 20 gennaio, un ultimatum ai sovietici, scaduto il 20 feb- ' "S oraio, e la decisione «irrevocabile», paralizzante anche nei riguardi di atleti ai quali, sino a pochi mesi fa, veniva detto che l'Olimpiade era un loro problema personale, da gestire senza chiedere un cent alla collettività: gli atleti sono stati «arruolati-, insomma, e pare che nessuno respinga la cartolina-precetto. Il tutto è avvenuto mentre a Lake Placid si vivevano i giorni dei Giochi Invernali, in un caos organizzativo, specialmente di fronte al problema dei trasporti, che a priori costituiva indulgenza plenaria per i sovietici, in vista del prevedibile caos organizzativo di Mosca dal 19 luglio al 3 agosto. Il boicottaggio chiesto e ottenuto da Carter ha fatto più rumore, pensiamo, in Europa che negli Stati Uniti, dove lo stesso sport olimpico ha valutato in pieno l'«affare»: e cioè vale la pena cominciare a esistere, anche se ciò significa immediatamente rinunciare a qualcosa. Ci ha detto Donna de Varona. che fu per un'Olimpiade (Tokyo '64/ la più brava e la più bella nuotatrice del mondo: «Gli atleti sono tristi, quasi disperati. Ma sono fieri di contare finalmente qualcosa nella vita e quindi nella storia della nazione». E' possibile che. a normalità olimpica ripristinata, magari con Giochi di tipo nuovo (in Grecia sempre?), lo sport statunitense a cinque cerchi presenti al Paese una specie di conto. In fondo, proprio mentre tocca a lui boicottare Mosca, si disputano nei colleges riunioni sportive con atleti sovietici, e la Nazionale professionistica statunitense di hockey prepara una supersfida con la Nazionale olimpica dell'Urss. E non solo: la voglia che Carter ha di organizzare Giochi paralleli o alternativi che dir si voglia, alla faccia dei regolamenti internazionali che comportano squalifiche e addirittura radiazioni per questi atti di ribellione, fa capire che il Paese si sdebiterà in qualche modo con gli atleti olimpici: e offrendo loro un altro palcoscenico, sul quale agire anche per onorare certi contratti pubblicitari che ormai non scandalizzano più nessuno, e garantendo, ormai per sempre, la presenza de! governo al loro fianco. Carter casomai uccide l'Olimpiade, cosi come è ora concepita. Ma si è intanto impegnato, lui e ami la Casa Bianca, a far vivere bene questo terzo sport statunitense, sinora soffocato dagli altri due sport, cioè dal college e dal professionismo. Il college è il posto dello sport più vitaminico, più ricco in proteine. Al college il talento trova /Tiumus perfetto, e cioè l'installazione ottimale, l'allenatore in gamba, gli stimoli più freschi e persino più puri, il divertimento agonistico sposato bene con l'esasperazione tecnica, la gratificazione con risvolti positivi anche per la vita dello studio e per quella del sesso. Le classifiche sportive dei colleges sono le classifiche autentiche di un'America importante: servono per fare strada nella vita, sia che si scelga lo sport professionistico, sempre pronto a prelevare i migliori, sia che semplicemente si continui ad andare avanti «in competizione», trasferendo al lavoro lo spirito delle gare. Soltanto ultimamente un certo riflusso. all'Est, sembra non voler privilegiare più la pratica sportiva: e le università della costa orientale si fanno belle con i loro programmi di solo studio, quasi esibendo i diritti del cervello di fronte alì'ipervitaminosì degli studentidell'Ovest, specie di Los Angeles. Ma all'Ovest dicono che ciò avviene solo perché il clima. all'Est, consiglia per troppi mesi all'anno di stare al chiuso. Il college, cosi esaltato, offre emozioni sportive sostitutive addirittura di quelle olimpiche, a livello di grandi confronti. E si deve ricordare che. dal 1972. il college ha fatto, per la donna, quanto se non più di tanti movimenti specifici di liberazione: l'articolo 9 di un equality act emesso quell'anno offre alla studentessa l'identico diritto, anche economico, di fare sport che allo studente. Le ragazze ne hanno subito ap- profittato: e unendo i diritti del college al neo olimpismo, ecco le ragazze della pallavolo in collegiale dì studio e sport per due anni e mezzo a Colorado Springs, a preparare la non Olimpiade di Mosca '80. Quanto allo sport professionistico, che con il college sazia comunque la voglia «proteinica» di sport che gli Usa hanno, sembra lanciato come non mai, grazie a un rapporto pieno, con risvolti quasi perversi, con la televisione. Il football americano, sport di grande presa spettacolare sul video, vive una stagione ricchissima: ciascuno dei ventotto club del massimo campionato riceve, dalla tivù, quasi cinque miliardi di lire all'anno. Parker, un giocatore negro di Pittsburgh, guadagna sugli ottocento milioni all'anno, imitato peraltro da Walton nel basket e da Rose nel baseball. Sono cifre decisamente pubbliche, la gente le riceve dalla tivù in sovrimpressione quando sullo schermo agiscono questi giocatori. Poi vede lo stesso giocatore in uno short pubblicitario, di quelli da mezzo miliardo al minuto, e sa che i suoi guadagni in pratica raddoppiano. La realtà sportiva del college e quella del professionismo potevano bastare a sfamare la voglia di sport dell'americano medio, dandogli fra l'altro stimoli di ordine e morale e materiale. Il college è per la salute di base, il professionismo è per l'espressione organizzata e premiata di vertice. L'olimpismo è qualcosa in più. Adesso è un'arma per colpire l'Urss, «vale» in America più di quando era soltanto un gioco da fare ogni quattro anni, magari buscandole. Ci ha detto Don Schollander. cinque medaglie d'oro in due Olimpiadi, dal 1964 al 1968: «Qui è più facile essere qualcuno rinunciando vistosamente a una Olimpiade che vincendo cinque gare b.i Giochi». Molti sportivi, adesso -soldati» di Carter, diventeranno famosi specialmente per avere rinunciato all'oro di Mosca. Gian Paolo Ormezzano A Reggio Emilia

Persone citate: Donna De Varona, Kennedy