In appello la strage di Alessandria (sette morti nella rivolta in carcere)

In appello la strage di Alessandria (sette morti nella rivolta in carcere) Il processo, oggi a Genova, davanti ai giudici dell'Assise In appello la strage di Alessandria (sette morti nella rivolta in carcere) Fra le vittime due detenuti, un medico, un insegnante, l'assistente sociale e due agenti di custodia - Un solo imputato, il recluso Levrero che in primo grado era stato condannato a 26 anni ALESSANDRIA — La rivolta nella casa penale di piazza Don Soria, ad Alessandria, e la strage che ne seguì (sette morti e numerosi feriti) è rievocata oggi a Genova in Corte d'Assise d'appello. A sei anni da quei tragici fatti (avvenuti il 10 maggio 1974) si teme che neppure il nuovo processo possa fare luce sull'episodio. Non si saprà mai. cioè — ed è quello che più interessa l'opinione pubblica e gli alessandrini che ancora ricordano con orrore quei giorni — chi fece entrare nel carcere le armi per i tre detenuti, protagonisti della sommossa. Cesare Concu, Domenico Di Bona, entrambi morti, ed Everardo Levrero, unico superstite. Così come, forse, mai si saprà se vi furono responsabilità da parte di chi, ordinando gli assalti, portò alla morte di cinque ostaggi oltre che dei due rivoltosi. Su questi punti i giudici, durante l'istruttoria, hanno detto che nessun elemento è stato raccolto per un eventuale procedimento: i fascicoli sono già archiviati. Ricordiamo i nomi delle vittime. Sono, oltre i due detenuti, il medico del carcere dottor Roberto Gandolfi, 48 anni, uno degli insegnanti della scuola carceraria, il prof. Pier Luigi Campi, 42 anni, l'assistente sociale Graziella Vassallo Giarolà, di 30, un brigadiere ed un appuntato degli agenti di custodia, Gennaro Cantiello di 40 e Sebastiano Gaeta. 48 anni. I fatti risalgono al 9-10 maggio 1974. La mattina del 9. armati di due rivoltelle, numerose munizioni ed un coltello, Concu, Di Bona e Levrero diedero il via alla sommossa nell'aula della scuola carceraria. Bloccati una ventina di ostaggi (medico, insegnanti, agenti di custodia, alcuni detenuti e l'assistente sociale Vassallo, entrata per cercare di convincere i tre a desistere) si barricarono nell'infermeria, da dove annunciarono le loro richieste. Volevano — dissero — uscire ad ogni costo, chiedevano un furgone e intendevano partire senza l'intervento delle forze dell'ordine, portando con sé, quale garanzia, alcuni ostaggi. Iniziarono le trattative; vi parteciparono, con chi scrive ed i colleghi Emma Camagna e Giuseppe Zerbino, il procuratore della Repubblica dottor Enrico Buzio e il sostituto dottor Marcello Parola. Tutto senza esito. Alle 17 dello stesso pomeriggio, dopo un vertice tra il procuratore generale Reviglio Della Veneria ed il generale del carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa fu ordinato il primo assalto. Nella sparatoria caddero il dottor Gandolfi, morto sul colpo, ed il professor Campi che si spense poi dopo lunga agonia. Ritiratesi le forze dell'ordine, i rivoltosi si barricarono con gli ostaggi nelle «toilettes» dell'infermeria. Di lì continuarono le richieste. Trascorsero la notte e la mattinata del 10 maggio. Nel pomeriggio, alle 17, venne deciso il secondo assalto. Concu fu stroncato da una raffica di mitra. Di Bona, dopo aver ucciso la Vassallo, il brigadiere Cantiello e l'appuntato Gaeta, si tolse la vita sparandosi alla testa. Levrero, invece, si arrese chiedendo aiuto agli stessi ostaggi. Diversi i feriti. Scoppiarono le polemiche. Si era agito nel modo giusto? Si poteva tenere un diverso comportamento anziché tentare l'attacco frontale? Di chi la responsabilità? Chi aveva fornito le armi a Concu, Di Bona e Levrero? Quattro anni dopo in Assise a Genova, si iniziò il processo: unico imputato Everardo Levrero, genovese. Doveva rispondere, in concorso con i due compagni morti e non più imputabili, di una lunga serie di reati: dalla strage, alla rivolta, al tentativo di evasione, al possesso delle armi, alla violenza e resistenza a pubblico ufficiale, e ad altri minori. Il pubblico ministero chiese l'ergastolo, la Corte condannò l'accusato a 26 anni concedendogli alcune attenuanti. f. m.

Luoghi citati: Alessandria, Genova