La mano pubblica stringe troppo

La mano pubblica stringe troppo Intervento dell'ex ministro dell'Industria Romano Prodi La mano pubblica stringe troppo TORINO —Dati alla mano, la situazione dell'industria italiana ha ormai una caratteristica e insieme una evoluzione di questo tipo: la grande azienda è sempre più pubblica, mentre la media e la piccola sono ancora nelle mani dei privati. Quella statale va male, perde miliardi ogni giorno, la seconda tiene, è flessibile, in grado di aggredire, dentro e fuori i confini nazionali. Su questo panorama si è basata la conversazione che ieri a Torino il prof. Romano P rodi ex ministro dell'Industria, ha tenuto ad un gruppo di manager, nel quadro delle giornate di studio e aggiornamento organizzate dallo Studio Ambrosetti di Milano. Non dobbiamo stupirci nemmeno troppo die l'industria pubblica faccia acqua da tutte le parti, ha detto Prodi, dal momento die ad essa vengono accollate imprese agonizzanti: se oggi è vietato fallire, ci pensa lo Stato. Dodici anni fa il quadro era questo: un quarto dell'industria privata era Fiat e Montedison, un quarto di altri privati, un quarto straniero e il rimanente quarto aziende a partecipazione statale. Oggi è tutto cambiato, la sfera pubblica si è allargata a macchia d'olio: il fatturato dell'impresa pubblica è passato dal 35 al 42%, con il 48% degli occupati. Una tendenza, dice Prodi, «che non ha confronti in altri Paesi occidentali». Il primo salvataggio del dopoguerra, la «Nuova Pignone» di Firenze, sollevò lo scandalo, ma riuscì bene perché fu studiato bene. Oggi scatena ancora polemiche l'ipotesi di privatizzare, si urla ancora contro il «bieco capitalismo». «A forza di salvataggi obbligati» spiega Prodi, «la mano pubblica non può che muoversi male: potrebbero essere anche dei geni quelli della Gepi, non riuscirebbero comunque a fare miracoli con decine di migliaia di occupati da amministrare dall'oggi al domani». Se attacchiamo in continuazione alla locomotiva statale i «carri vecchi», se togliamo gli incentivi, se inseguiamo non la logi¬ ca aziendale ma il criterio della pubblica amministrazione, perdiamo, afferma Prodi, quella professionalità in base alla quale anni fa gli stranieri invidiavano il nostro Iri. Per l'ex ministro dell'Industria oggi si premia chi arriva ultimo o comunque lo si tratta come se fosse arrivato primo: «E' un modo di fare molto evangelico, ottimo sul piano morale, ma il Vangelo vale per le coscienze, non è certo una pubblicazione della Banca Mondiale». E il futuro? Prodi ha detto ..boti». Si è dichiarato cioè perplesso sui cambiamenti die potranno avvenire nei prossùni anni. Certo è che, ha spiegato, se non sì adottano scelte realmente manageriali l'industria pubblica continuerà ad andare male, a chiedere fe ottenere) soldi dallo Stato, vivremo sempre nell'inflazione, costretti a svalutare la lira per riuscire a vendere all'estero. Secondo Prodi qualcosa sta cambiando, se non altro c'è una nuova presa di coscienza. Non è cosi diffusa, però, da aspettarci prossimi e radicali cambiamenti. Permane inoltre una specie dì convinzione fideistica che l'industria di Stato sia meglio di quella privata. La gente comincerà a credere nel sistema occidentale vero quando toccherà con mano la crisi del socialismo burocratico. Gioca un ruolo importante, poi, il clima internazionale. Ci sono accenni di inversione di tendenza: la Thatcherin Inghilterra, i nuovi economisti in Francia, la rivolta antistatale in California. Ma non bastano ancora. E il clima, culturale e ambientale, è importante: «Se non c'è una convinzione» dice Prodi, «la gente non cambia mentalità». Ma i segnali sono contraddittori: «Pensate» ha detto l'ex ministro, «che alla Harvard Business School hanno scoperto l'impresa pubblica e sembra siano entusiasti di questo modello. Quelli devono essere impazziti». Pier Mario Fasanotti

Luoghi citati: California, Firenze, Francia, Inghilterra, Milano, Pignone, Torino