r Fantacronache di Stefano Reggiani di Stefano Reggiani
r Fantacronache di Stefano Reggiani r Fantacronache di Stefano Reggiani Maschere e società di massa Quali maschere sono adatte per l'Italia a questo punto? Forse la maschera della Sopportazione, o quella della Pazienza, o quella dell'Indifferenza? O la vecchia maschera impennacchiata della Retorica? O il costume ottocentesco della Riscossa? Siamo in pieno carnevale, è naturale che si discuta di maschere. I modelli vecchi e nuovi della tradizione italiana calano nelle città dove si festeggia il carnevale e imbastiscono dibattiti, tavole rotonde, animate discussioni sulla natura della maschera italiana, su quale sia la maschera oggi più rappresentativa del costume e della situazione politica. Qualche giorno fa a Venezia (che è la capitale italiana del carnevale) una delegazione di maschere italiane s'e riunita frettolosamente a Palazzo Grassi per un dibattito privato. Tanto in fretta che le sale del Palazzo erano ancora occupate dagli ultimi partecipanti alla tavola rotonda sugli intellettuali e la società di massa die aveva concluso il convegno della Fondazione Rizzoli. Arlecchino, Brighella, Pantalone, Balanzone, Capitan Fracassa, doppino. Pulcinella hanno circondato i relatori, chiedendo, con l'impazienza di chi esce in pubblico una volta l'anno, ragguagli sui problemi italiani e sul rapporto tra il costume e i mass media. I relatori erano in qualche modo commossi e turbati da quell'euforia ingenua, da quella voglia di competere e di sapere. Nello Afello ha addirittura promesso che avrebbe scritto un libro sui rapporti tra maschere italiane e pei dal '45 a oggi ed Enzo Bettiza, per non essere da meno, ila ipotizzato un saggio sulla maschera dell'eurocomunismo. Balanzone, con la sua schiettezza emiliana, ha spiegato agli studiosi di mass media: «Dovete scusarci, sentiamo d'improvviso che la maschera torna a essere un simbolo italiano. Ognuno di noi vuol prendere il suo posto, difendere le sue ragioni contro le maschere nuove e astratte che si sono affollate in quell'angolo, l'Indifferenza, l'Ira, l'Accidia. Noi maschere siamo uomini e donne, non solo simboli. Chiediamo l'appoggio dei giornali e della televisione, vogliamo che si parli di noi con rispetto e conoscenza, vogliamo essere amati o detestati per quello che siamo». Hanno ricevuto ampie assicurazioni, c'è stato un piccolo rinfresco offerto dalla Fondazione di Palazzo Grassi; poi, fattesi deserte le sale, le maschere si sono riunite al primo piano in vista del Canal Grande per discutere il loro rapporto con la società italiana. Baiamone: «Ci aspettano nelle strade. In questo momento gli occhi di tutti sono puntati su di noi. Vogliono soppesarci, giudicarci, capire se la tradizione ha ancora diritto di interpretare la società di massa con le sue corruzioni, la sua violenza, le sue speranze. Io dico chiaramente, contro le maschere silenziose e astratte che s'affollano lungo le pareti, che noi abbiamo ancora una parola da dire in difesa dei caratteri regionali e dell'unita nazionale nella diversità. C'è bisogno anche tra noi di una forma di solidarietà nazionale Pulcinella (dopo aver fatto uno sberleffo alle maschere silenziose): «Bisogna che ciascuno si faccia carico, come si dice, di una parte di realtà. Io sono la questione meridionale, è un peso che posso reggere benissimo da solo, senza che mi aiutino le maschere della Corruzione e della Rassegnazione. Ho un vantaggio sulle altre maschere, ed è il mio rapporto diretto con la gente, con la plebe, con le masse meridionali. Io sento la loro sofferenza, la condivido, ma faccio ridere. Credete che senza risate si potrebbe tirare avanti?». doppino (esibendo con polemica il mento gozzuto): «Io rappresento i contadini poveri, vengo dalla bergamasca, da una tradizione di fame e di lavoro severo. Sono stato consulente di Olmi per L'albero degli zoccoli, ma il mio compito non si ferma qui. Io dico che una parte della forza e della sopportazione contadina è rimasta nel nostro popolo. Sennò come si farebbe a tirare avanti?». Pantalone: «Credo purtroppo di essere l'unico a non temere concorrenza. Il fisco italiano, il nostro sistema tributario non si concepisce senza di me. Io sono quello che paga sempre; che paga per tutti. Io non sono capace di fare sciopero per non pagare l'Iva, lo mi arrendo subito, so che il bilancio dello Stato riposa su 'di me come sull'unico cuscino che gli sia rimasto. Ho avvertito il ministro Reviglio che in concomitanza con l'aumento dei prezzi petroliferi consideri la possibilità di darmi una torchiatina come contribuente. Io ' mi lamento sempre, ma sono masochista. Mi piace soffrire e pagare. Dove, se non su di me. si può fondare la solidarietà nazionale?». Balanzone: «La nostra insostituibilità si va facendo chiara. Dietro il ghigno delle maschere silenziose vedo un poco di incertezza. Vogliono parlare? Non dicono nulla. La parola, allora, ad Arlecchino». Arlecchino.' «Ho ascoltato, apprezzo le ragioni della tradizione, credo anch'io che il nostro compito simbolico non sia terminato, ma credo che le nuove maschere silenziose abbiano ormai un posto nella società italiana. Ci vuole qualcuno che getti un ponte, un contatto tra noi e loro.. Baiamone: «Ma chi?». Arlecchino (con un inchino irriverente): «Io». Balanzone (stupito e goffo): «Perché?». Arlecchino (nel grande silenzio allibito della sala): «Perché sono il servo di due padroni».
Persone citate: Capitan Fracassa, Enzo Bettiza, Olmi, Reviglio
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