Com'è virtuosa questa Sonnambula di Massimo Mila

Com'è virtuosa questa Sonnambula Com'è virtuosa questa Sonnambula Se i contadini di «Don Giovanni» sono convenzionali, quelli belliniani, nati 50 anni dopo, hanno più spessore e consistenza - Funzionano ancora le scene ottocentesche del grande Sanquirico - Luciana Serra, una rivelazione TORINO — A quel purissimo capolavoro che è La Sonnambula alcuni mal s'acconciano a riconoscere anche il merito del realismo. La trovano oleografica, convenzionale, come una leziosa vignetta romantica: una Svizzera da cioccolato Nestlé. Ma basta pensare cos'era, prima, nel melodramma, la rappresentazione della campagna e dei contadini: arcadia, pura e semplice. Nel primo atto della Sonnambula si ripete tal quale una scena del Don Giovanni: un ricco signore capita in un villaggio dove si prepara un matrimonio, ammira la sposa, la prende per il ganascino, ci fa un pensierino e ingelosisce lo sposo. Klvino e Amina sono Masetto e Zerlina, ma cinquant'anni dopo. Che contadini erano quelli del Don Giovanni.' Quali campi coltivano? Pure larve convenzionali. Qui. Klvino e Amina fanno parte veramente d'una piccola comunità rurale, arroccata intorno al mulino e all'osteria (fortunatamente non c'è la chiesa, le sacre squille e il parroco dal gran cuore). I campi ci sono, c'è la natura, che manca totalmente nel Don Giovanni, ci sono i luoghi ameni, e soprattutto c'è uno spessore, una consistenza di rapporti sociali, una consuetudine di vita collettiva, che il Settecento manco se li sogna¬ va. Se non è realismo questo! Che poi la Svizzera non c'entri, e che il clima musicale sia quello di un inequivocabile bucolico lombardo, a mezza strada tra il Parini e il Manzoni, questo non fa che aumentare la verità della situazione. Acrobazie vocali La Sonnambula è una di quelle opere di cui si dice sempre che non ci son più i cantanti per cantarla, che s'è perduto lo stile, la scuola, e avanti con tutte le solite geremiadi degli specialisti di bel canto. K veramente si aspettava alla prova con una certa curiosità, per non dire diffidenza, questa Luciana Serra, di cui si sapeva poco o nulla. Ma appena ebbe aperto bocca nel recitativo della scena terza, già le prevenzioni cominciarono a tingersi di speranza: la qualità della voce c'era. E quand'ebbe cantato «Come per me sereno», ebbe il pubblico in mano: agilità, virtuosismo, sovracuti saettati alle stelle con assoluta sicurezza, note filate, smorzature, gorgheggi, e tutto questo con voce sempre dolce, limpida, carezzevole, senza che mai l'arcigna superbia della virtuosa compromettesse la tenerezza della gentile Amina. Una protagonista cosi mette un po' in ombra lutto il re¬ sto della compagnia, ma costituisce anche un bel modello, ri tenore Oaraventa. cui tocca talvolta ripetere tali quali le acrobazie vocali della prima donna, se ne cava onorevolmente nei passi di agilità, (non è proprio un tenore leggero, alla Tito Sciupa, potrebbe lare benissimo, e fa. parti liriche e perfino eroiche), e mollo bene là dove è questione di espressione commossa, come in «Prendi, lanci ti domi». Il soprano Maria Rosa Nazario ha cominciato con qualche incertezza, poi si è rinfrancata e ha disegnato bene il personaggio della maligna ostessa, cui spetta il periglioso onore di dare inizio all'opera. Dignitoso a dovere e vocalmente a posto Mario Rinaudo in quella curiosa parte del Conte Rodolfo, di cosi sesquipedale sicumera da far pensare a molti che il librettista Romani vi abbia annesso qualche intento ironico. Ma forse no: forse allora il rapporto tra gente di campagna e gente di città, tra rustici e istruiti stava proprio in quei termini. Anche il personaggio della madre di Amina è ben sostenuto da Wally Salio, e nelle parti minori di Alessio e del Notaio un bentornato al nostro Giuliano Perrein e all'ameno Luigi Pontiggia. Sufficiente la prestazione del coro, istruito da Ferruccio Lozer. che ha molta importanza proprio nel fornire il quadro sociale dell'azione, e ottima la direzione di Bruno Martinetti, tenuta su un piano costante di delicatezza, affettuosa ed elastica, tenera ma piena di sollecitazione ritmica, attenta e vigile a ogni particolare, anche se non sempre servita al cento per cento da tutti i settori dell'orchestra. Confesserò che è la prima volta che questo mio antico allievo mi persuade proprio interamente e che sono lieto di dargli finalmente quel dieci da cui in classe restava di solito abbastanza lontano. Senza ((suspense» La regia di Filippo Crivelli è di proposito discreta, aliena da interventi sopraffattori; le scene della vita rustica vengono bene, cordiali, pittoresche; un po' meno riesce il suspense delle apparizioni nottambule di Amina, anche per il difetto dell'ultima scena che svolgendosi a un metro da terra, là dove poc'anzi è apparsa tranquillamente la vecchia madre di Amina, non da affatto l'idea del pericolo che corre la fanciulla passeggiando addormentata sull'orlo del tetto, sopra la ruota del mulino che gira vorticosamente. Realizzate da Sorniani di Milano, e qui attuate dalle brave maestranze del Regio sotto la direzione di Aulo Bresaola, queste scene originali di Alessandro Sanquirico sono fresche e ariose pitture, .specialmente le due di esterni agresti. Ma non vorremmo che il successo del loro recupero si prestasse ad un'operazione reazionaria, mirante a sostenere che non ci si deve discostare dalle scenografie 'originali. Le scene di Sanquirico funzionano ancora non perché siano quelle originali, ma perché Sanquirico fu un grande: il maggior scenografo italiano dell'Ottocento, creatore di quella cifra di grandiosità neoclassica e pomposa che restò poi. fino a ieri, la gloria e la maledizione della scena scaligera. Un bel successo, con continui applausi a scena aperta. La Sonnambula è un'opera francamente a forme chiuse, Bellini ci si trovava come un pesce nell'acqua e non sentiva nessun bisogno di promuovere la continuità narrativa con accorgimenti di collegamento. Sicché alla fine di ogni numero esplodono gli applausi, con gran sollievo degli influenzati di stagione che ne approfittano per sfogare rumorosamente la tosse fin li bravamente contenuta. Ecco un vantaggio che il dramma musicale — Parsifal o Pelléas! — non consente. Massimo Mila

Luoghi citati: Milano, Svizzera, Torino