Le battaglie di Valiani un profeta del passato

Le battaglie di Valiani un profeta del passato STORICO, GIORNALISTA, NEO-SENATORE Le battaglie di Valiani un profeta del passato Quando accompagno Leo Valiani, neo-senatore a vita, per la prima volta nell'aula di Palazzo Madama — è un pomeriggio senza seduta — uno dei vecchi e ancora decorativi commessi del Senato, quelli stile Italia d'ieri (uno stile che si va consumando e appannando inesorabilmente), gli dice, con festosa ma anche rispettosa confidenza: «Sono lieto di rivederla qui. dopo tanti anni". Rivederla. Sembra, dal punto di vista della filologia storica, un errore: Valiani non è stato mai senatore, ha rifiutato due volte la candidatura come indipendente nelle liste del partito repubblicano a Milano, nel '72 e nel '76 {«Preferisco sempre fare il giornalista, e continuare a farlo", si scuserà più tardi, con fervida, rivelatrice innocenza), ha separato per oltre un quarto di secolo la sua milizia politica, di laico «terzaforzista» senza tessera, da quella di storico, di storico senza cattedra, ma con un'influenza più penetrante e capillare di quella riservata a molte svuotate cattedre universitarie. In realtà non è del tutto un errore, e l'interessato ne sorride. Valiani è stato costituente, e l'assemblea monocamerale che fondò la Repubblica assorbì Camera e Senato, preparando il successivo, necessario bicameralismo. Un ritorno?Fra '46e '48 Valiani ha rappresentato, sia pure nell'altro palazzo, in quello di Montecitorio, il partito d'azione: quel partito che era stato già lacerato dalla scissione del marzo 1946. che aveva visto più tardi la costituzione del gruppo cui pure intellettualmente Valiani si sentirà più vicino, il gruppo di «Democrazia repubblicana», con La Malfa e Parri e De Ruggiero e Omodeo e Salvatorelli e altri ancora, tutto l'azionismo nonsocialista. Rievochiamo insieme quel mondo, quegli anni, nella stanza di Palazzo Giustiniani che gli è stata assegnata {«Non ho segretaria, ma ho una macchina da scrivere, e questa mi basta". aggiunge: «Non potrei mai cessare di scrivere articoli, non potrei rinunciare al giornalismo, sarei come un pesce senza acqua"). La sua vita di battaglie politiche e civili si intreccia con questo amore per la carta stampata, con questa dedizione monacale, assoluta, al giornalismo «Ho esordito, e pochi lo sanno, come giornalista sportivo, nel '26. a Fiume. Ero dipendente di una banca ma lavoravo anche per il giornale". Mi torna in mente Luigi Einaudi, un liberale cui questo democratico di sinistra è stato sempre legatissimo, quando rievocava confidenzialmente il doppio lavoro nella Torino dei primissimi anni del secolo, fra le sale di redazione della Stampa di Roux e l'assistentato alla cattedra di scienza delle finanze, nelle aule dell'ateneo torinese Giornalismo e antifascismo Nel '20 conosce a Milano, appena diciassettenne. Carlo Rosselli e diventa suo «galoppino» e collaboratore per la diffusione di Quarto Stato rivista che aveva unito per un momento due nomi così diversi, anche dai destini così diversi. Nenni e Rosselli. VAvanti! è il primo giornale in cui Valiani. che sarà comunista, azionista e democratico-indipendente ma mai socialista, scriverà non più di tre o quattro artico li. nell'estremo autunno delle pubbliche libertà nella seconda metà del '26 Sarà arrestato a Fiume nel '28 la prima volta, in questa vita così risorgimentale di prigionie, di esili, di campi di concentramento, di clandestinità e di fughe eroiche — perché, neanche ventenne, aveva contratto l'abitudine di varcare ogni mattina la frontiera con la Jugoslavia per acquistare i giornali antifascisti, quelli na- sdtaalcvccqdta o a n ! à e l a e é, e a i - o a o arodi aa d a pre nl è a ne, n sccnti della «concentrazione» di Parigi, che arrivavano là oltre confine. Era seguito, senza accorgersene; l'accusa si unirà ad altre di attività antifascista, lo porterà al primo anno di confino. Solo il carcere, quello di Civitavecchia, fra il '32 e il '36. con Terracini compagno di cordata, spezzerà la penna di questo polemista già vigoroso, di questo combattente dell'antifascismo che segue in quegli anni una sua visione peculiare e nazionale del comunismo, non senza larghe venature bordighiane (mai amato da Togliatti). Il suo periodo parigino, fra '36 e '39. da una posizione di comunismo molto indipendente e spregiudicato, si identifica con un periodo di giornalismo militante, in cui fedeltà al mestiere e lotta per la libertà si identificano intimamente Quando mi ricorda la deportazione nel campo di concentramento di Vernet, a opera del regime di Vichy, come ex combattente della guerra di Spagna, egli insiste con una punta di civetteria: «In realtà io ero andato in Spagna come giornalista ». L'uomo tende sempre nel ricordo ad attenuare i propri meriti, a sfumare le proprie battaglie, quasi con una smorfia di sorriso. «Ero redattore del Grido del popolo. il giornale diretto da Teresa Noce: occorreva un corrispondente sul fronte spagnolo. Eni felicissimo di offrirmi. Un periodo indimenticabile". Come indimenticabile è per Valiani la successiva esperienza giornalistica. la partecipazione alla Voce degli italiani, il giornale di Campolonghi e di Di Vittorio, fra '37 e '39 «Eacevo tutto, anche l'impaginatore", dice con una punta di orgoglio l'uomo che a settantanni suonati non si rifiuta mai di scrivere un articolo su commissione, tempo due ore. e nella misura prescritta. «Anche in Messico, annota, lavorai come redattore di una rivista d'arte". La sua fuga in Messico fu rocambolesca; era sfuggito al campo di Vernet, insieme con un gruppo di antifascisti, aveva fatto sosta a Marsiglia, per alcuni giorni, sottraendosi, con infiniti marchingegni, al controllo della polizia, si era imbarcato per il Marocco, di lì. con un viaggio molto lungo, in una stiva di terza classe, era giunto in Messico (altri, come Pacciardi. arrivarono negli Stati Uniti). 11 suo ricordo è sempre privo di odio, di animosità, di qualunque vena di intolleranza. Laico credente nella ragione, questo israelita perseguitato da tanti regimi rinnova davanti a noi l'immagine che Koestler ne tracciò, con lo pseudonimo di «Mario», nelle pagine della Schiuma della terra allorché ricordò che il suo compagno di prigionia, arrestato insieme coi comunisti ma dopo aver rotto col pei — e il patto nazi-sovieticoera stato la causa della rottura — rifiutò di uscire dal campo, non appena fu offerta la libertà ai non comunisti, si dichiarò comunista, non essendolo più. pur di restare in detenzione, solidale coi compagni di sofferenza «Solo allora. accenna cautamente, Longo mi restituì il saluto-. Una vita esemplare, che egli non ha voluto mai raccontare con pudore e discrezione quasi ottocenteschi In un libro oggi introvabile. Tutte le strade portano a Roma, ha rievocato gli anni dal '42 al '45. con una dedica che non si può dimenticare, per altezza d'animo: «A Duccio Galimberti, per lutti i Caduti, della nostra parte e dell'altra". Eppure molti dei problemi di oggi sono anticipati da quelle pagine Nel '46 Valiani restò nel partito d'azione, ma il suo cuore era già con gli scissionisti Voleva solo preservare il legame fra i ceti medi e il proletariato, che gli appariva compromesso Risentiva e riviveva fino in fondo la lezione di Giustizia e libertà, il tentativo del «socialismo liberale», su cui è tornato spesso Ma già in quel le lontane pagine aveva intuito il ruolo dell'uomo politico cui sarà più vicino nel trentennio repubblicano, che commemorerà un anno fa in piazza Mon tecitorio, davanti alla salma «Il capo più in vista del partito d'azione. Ugo La Malfa, aveva concepito il piano certamente audace di farne il partito pilota della democrazia moderna". E tutta la battaglia di Valiani è stata una battaglia di sinistra democratica (il titolo di un suo-libro recente) Mai chiusa alle esigenze del movimento operaio, radicata in una conoscenza storica, che non teme cssgondItedCascv«plaspdc confronti, del socialismo, nel suo infinito travaglio, fra scissioni e ricomposizioni, protagonista indiscusso della sua opera storica. Ma salveminianamente proteso oltre i dati del marxismo e del classismo. In una visione europea dell'Italia, anzi dell'altra Italia, che egli ha vissuto, nei trent'anni di Milano, nel clima della Commerciale di Mattioli, con accenti e vibrazioni alla Cattaneo Valiani esordisce in Senato sul caso Sacharov. Conclude con una citazione di Puskin rivolta ai capi del Cremlino: «Sire, rendete la libertà al popolo russo". Chi lo ascolta, con Io sguardo proteso verso un mondo lontano (il mondo delle minoranze dell'Europa centro-orientale che egli conosce anche per diritto di nascita e di sangue) potrebbe scambiarlo per un uomo del Risorgimento, per un compagno di Mazzini o di Kossuth. A nessuno come a Valiani si adatta la definizione che Schlegel riservava allo storico: lo storico, diceva, è il profeta del passato. Giovanni Spadolini