Colombe ammaestrate volano sul Cremlino di Frane Barbieri

Colombe ammaestrate volano sul Cremlino I brindisi di Breznev e la nuova strategia Colombe ammaestrate volano sul Cremlino Qualche giorno fa c'è stato un sussulto di ottimismo. «Che accade al Cremlino?» si chiedevano i titoli dei giornali. Alcuni rispondevano sostenendo che «la crisi afghana scuote il vertice dell'Urss». L'euforia nasceva per una frase di Breznev pronunciata in un brindisi nel fastoso «Georgievski ZaI» del Cremlino: «Il problema comune ai popoli della Terra è adesso il superamento della tensione». Lette con i consumati cifrari cremlinologici, queste parole per molti sembravano indicare che la parola distensione avesse ritrovato diritto di cittadinanza a Mosca. Il fatto poi che le avesse pronunciate Breznev, dopo un lungo silenzio, avallava l'ipotesi di una rivincita delle colombe sui falchi, dopo una scossa al Politburo, provocata dalla crisi afghana. 1 sillogismi della cremlinologia si sono rivelati spesso fallaci, dovendo trarre da piccoli indizi grandi conclusioni. Anche questa volta le supposizioni su un contraccolpo al Cremlino risultano piuttosto avventale. Basta ricordare a chi stava brindando il capo sovietico mentre pronunciava quella frase. Gli stava di fronte Heng Samrtn. il governante della terra, non potendosi parlare più del popolo, cambogiana, insediato a Phnom Penh dall'intervento militare vietnamita. Breznev lo ha invitato a Mosca, tributandogli i massimi onori di Stato, per dare la sanzione e la legalizzazione finale al suo governo nato e tuttora retto da un'occupazione straniera. Samrin equivale a Karmal. Rilanciare la distensione rivolgendosi proprio a lui può avere un solo sottinteso: la distensione può riprendere il suo travagliato cammino soltanto accettando i fatti compiuti in Cambogia e nell'Afghanistan, governi imposti e occupazioni sovietovietnamite che li sorreggono. Un altro avvenimento moscovita si presta pure ad interpretazioni ingannevoli. I più importanti giornali sovietici si sono messi d'improvviso a dare spazio nelle loro ridottissime e dosatissime pagine alle infor mazioni sulla guerriglia afgha na: villaggi assaltati, soldati uccisi, ponti distrutti, strade interrotte. Nemmeno la propaganda dei mujahid islamici e riuscita a fare tanto. Le ricerche dei focolai della resistenza, compiute da tanti inviati accorsi da tutto il mondo, si sono risolto piuttosto in pericolose avventure alpinistiche che non in testimonianze guerrigliere. Nessuno è riuscito a portarci, ritornando dalle ardue scalate ai monti afghani, notizia di qualche battaglia vissuta. Perché ora Mosca si decide ad offrirci sul piatto delle Izvestia e della Pravda simili testimonianze? Una spiegazione si può trovare di nuovo nel brindisi di Breznev rivolto a Samrin: «Il contingente sovietico sarà ritirato non appena cesseranno gli attacchi ai confini e alla sovranità dello Stato afghano». Siccome l'Armata rossa finora non si è ritirata mai da dove era pe- mpnBosupemincrnerGsznetrata. ne 1 fut uro assisteremo alla paradossale concorrenza fra la propaganda sovietica e quella islamica nel presentare le gesta dei guerriglieri dell'Afghanistan. Mosca dovrà pure esagerare i pericoli che l'Urss ed il socialismo corrono per giustificare il massiccio insediamento delle sue truppe a ridosso del Golfo Persico: un insediamento non compromesso, per il momento, dall'annuncio dell'Urss circa un graduale ritiro da Kabul. Nel contesto del brindisi di Breznev, distensione e intervento militare non vengono in collisione. Anzi, i soldati sovietici si trovano nell'Afghanistan per consolidare la pace. E chi è ansioso di riprendere il discorso sulla distensione lo potrà fare tanto meglio quanto prima si scorderà dell'incidente afghano. Una strategia articolata, questa, che abbraccia e accontenta sia i falchi che le colombe del Cremlino, se di una simile distinzione nel quadro del Politburo si può parlare. Non ci sor.o motivi seri per credere che Breznev abbia dovuto subire l'invasione a causa degli scarsi risultati della distensione ed ora. di fronte agli effetti negativi dell'intervento militare. abbia riconquistato il prestigio ed il comando. Né i falchi di Ustinov avevano sopraffatto le colombe di Breznev, né le colombe hanno ora imbrigliato i falchi. La distensione e l'espansione sono ugualmente «brezneviane» e. più che una contraddizione, esprimono l'estrema abilità di manipolarle e combinarle, una in funzione dell'altra. Illuminante, a questo proposito, la circostanza che. mentre preparava il contingente per l'Afghanistan (nessuno ha ancora controllato se ad entrare a Kabul erano gli stessi carri armati ritirati spettacolarmente dalla Germania Orientale), il capo sovietico aveva stimolato l'iniziativa congiunta di Gierek e di Marchais per la convocazione di una conferenza pancomunista sulla distensione in Europa. In fondo. Breznev non ha corso molti rischi, calcolando che da rimedio per Io scandalo dell'invasione potrà servire, paradossalmente, il rilancio della distensione. Breznev non la usa semplicemente per camuffare le vicende afghane. Leda questa volta un contenuto, il quale, se avesse l'effetto sperato, farebbe dimenticare l'Afghanistan per i suoi effetti sconvolgenti in Occidente. Prima erano gli Usa a dividere la distensione. Ora lo fa l'Urss attaccando la tesi sulla indivisibilità della délente. La stralcia dal contesto mondiale e l'applica alla sola Europa: «Non ci si può dichiarare favorevoli alla distensione in Europa e dimostrarsi, allo stesso tempo, solidali con la politica americana, la aitale vanifica la distensione». Viene da chiedersi se la sfida di Mosca sia ispirata ad un senso di superiorità o di esasperazione. Breznev fa. infatti, il discorso del potente nel momento in cui il mastodonte sovietico non è stato mai così debole: le cifre ufficiali di questi giotni ci svelano che il reddito cresce del 2"ó invece del pianificato 4.5'-'ó: l'industria segna l'aumento del 3,4?<3 invece del 5.7'^ prospettato e l'agricoltura cala del Tutto sommato: una crescita zero. «L'aggressività appare più espressione di debolezza che prova di fora». sentenziano i cremlinologi. Tuttavia, ci sembra che sia un'altra diagnosi a determinare la nuova strategia europea del Cremlino. L'avevamo sentita da un famoso economista dell'Accademia di Mosca: «Fra l'Europa e l'Urss le sorti sono segnate. Calcoliamo che più di due milioni di operai europei lavorano su commissioni dei Paesi socialisti. L'alternativa è una sola: o la fabbrica prosegue a lavorare a tutto vantaggio dell'Urss o la fabbrica viene sommersa dalla disoccupazione, di nuovo a tutto vantaggio dell'Urss». L'Europa: una florida, grande fabbrica dell'Unione Sovietica. I pessimisti la chiameranno: l'Europa sovietizzata; gli ottimisti, invece: l'Urss europeizzata. Frane Barbieri