I cavalieri della guerra santa di Francesco Rosso

I cavalieri della guerra santa FEDE E POPOLI MUSULMANI AL CENTRO DELL'INTERESSE MONDIALE I cavalieri della guerra santa Dai tempi dei Normanni e di Marco Polo la travolgente espansione delle verdi bandiere arabe è stata oggetto di meraviglia e di studio - Oggi, poi, c'è il petrolio - In libreria sono sempre più numerose le opere che tentano di spiegare una realtà ricca, variegata e spesso contraddittoria in se stessa, alla luce di un'attualità sempre più pressante / sussulti dell'Islam arrivano anche in libreria, una così intensa attività editoriale sui complessi moti del mondo musulmano si può giustificare solo con le ripercussioni che le varie rivoluzioni islamiche possono avere sulla nostra esistema, ripercussioni cui si può dare un solo nome: petrolio. I libri apparsi di recente (Ibn Gubayr - Viaggio in Ispagna. Sicilia. Siria e Palestina. Mesopotamia. Arabia, Egitto - Ed. Sellerio pag. 246 - L. 35.000 e Francesco Gabrieli e Umberto Scerrato - Gli arabi in Italia - Ed. Libri Scheiwiller - pag. 763 s.i.p.) potrebbero essere considerati preziosità da bibliofili, ma per quanto destinati a cerchie limitate di lettori, essi rivelano tanta, e tanto veemente attualità da renderli preziosi come riferimento ad una maggior conoscenza del mondo islamico. Il «Viaggio* di Ibn Gubayr ha la particolarità di essere stato scritto nel momento in cui il cristianesimo era passato al contrattacco portando la minaccia all'Islam in Palestina, ed i normanni avevano sconfitto gli emirati arabi in Sicilia. Il «viaggio» dello studioso arabo di Spagna è un pellegrinaggio alla Mecca, ma il suo diario po- trebbe essere considerato un precursore de «Il Milione» perché, come oltre un secolo dopo Marco Polo, il pio musulmano Ibn Gubayr, oltre a svolgere le sue pratiche di fede, approfitta dell'occasione per raccontarci le cose mirabili notate durante il suo viaggio attraverso tutte le terre dominate dagli arabi, un periplo che gli ha preso due anni, dal 4 febbraio 1183 al 3 maggio 1185. Il viaggiatore visitava le terre della sua fede cinquecento anni dopo la scomparsa di Maometto, cioè in un'epoca in cui l'islamismo e l'arabismo erano già mutati profondamente, frantumandosi nelle sette scismatiche e rivalità tribali che hanno sempre caratterizzato il mondo musulmano. Il libro può essere letto in due chiavi, come avventura di viaggio, e come testimonianza storica. Attento ai dettagli, persino pignolo, il diarista arabo ci svela un Islam simoniaco, superstizioso, in moto da un santuario all'altro a lucrare indulgenza e ineriti presso Allah. La descrizione della Mecca, dov'egli rimase per un anno, rievoca fatalmente avvenimenti remoti e recenti. Il più santo dei santuari musulmani, secondo il narratore arabo, era un covo di ladri, parassiti, mercanti disonesti sui quali egli invoca la vendetta divina. Che giunse, ma quasi seicento anni dopo, quando l'imam Abdul Wahab dovette fuggire dalla Mecca, dove aveva tentato di scacciare i mercanti di fede, e nel 1749 si alleò ad Ibn Saud il Grande per smantellare il castello di ipocrisia dei corrotti imam meccani. Sbarcato nelle vicinanze del luogo dove oggi sorge Gedda, il viaggiatore che aveva attraversato il Mar Rosso, sostò a pregare sulla «Tomba di Eva», un tempietto accanto ad una fontana dove si diceva fosse sepolta la madre dell'umanità. Una delle prime azioni di Ibn Saud su consiglio di Abdul Wahab, fu proprio la distruzione della « Tomba di Eva» considerata simbolo di peccaminosa superstizione. Dalla Mecca a Medina, e da qui lungo gli itinerari seguiti dagli arabi durante la loro folgorante avanzata vittoriosa, a dorso di cammello o di mulo, il viaggiatore giunge a Baghdad che descrive lussureggiante, splendida, mollemente adagiata in riva al Ti- gri, fra cupole d'oro delle moschee e svettanti minareti. Visitata oggi, nemmeno mille anni dopo il passaggio del diarista arabo, Baghdad appare un polveroso borgo assediato dal deserto, con pochi minareti e scarse palme nel cielo perennemente affocato. La Baghdad dei Califfi e delle «Mille ed una notte», la Baghdad di cui racconta ancora Ibn Gubayr, è scomparsa. Rimane inesplicabile la decadenza ambientale subita dalle regioni occupate dagli arabi. La Sicilia, ci racconta Francesco Gabrieli, arabista di fama internazionale, era interamente ricoperta di foreste quando sbarcarono gli arabi. Duecento anni dopo, quando furono scacciati, era già una pelata pietraia, come 10 è tuttora. Considerata miniera di legna per costruire navi, fu disboscata con ferocia, anche per l'inclinazione tutta araba di considerare gli alberi «ladri di terra». Oasi fiorenti come quelle di Baghdad e Damasco divennero a poco a poco città calcinate dal sole. Ibn Gubayr ebbe ancora tempo di vederle nel loro splendore dì acque e di verde, ma le visitò quando era ancora attivo il Faro di Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo, che egli descrive minutamente, come descrive in dettaglio le tombe di Noè. di suo figlio Set. di Mose nelle vicinanze di Damasco. Viaggiava anche nel momento in cui si scatenava un nuovo sussulto musulmano guidato dal Saladino e già si annunciava l'arrivo dei Turchi Selgiuchidi per 11 colpo di grazia al vacillante impero bizantino. Dove non è la descrizione di avvenimenti fantastici ad avvincere, e nel mondo musulmano il fantastico ha largo margine, subentra l'accostamento che si affaccia spontaneo nelle pagine fra avvenimenti dell'altro ieri e quelli odierni. Ibn Gubayr non poteva immaginare quale peso avrebbe avuto il liquido infiammabile che egli notò e descrisse affiorante dal suolo tra Bassora e Baghdad, eppoi sulla strada verso Damasco, come non lo immaginò un secolo dopo Marco Polo, che annotò lo stesso fenomeno: ma in quell'epoca era ancora vitale la spinta fideistica che aveva trasformato in guerrieri invincibili i rozzi beduini d'Arabia, ed i musulmani ripartivano all'assalto dell'Occidente con la stessa veemenza con cui avevano conquistato il mondo subito dopo la morte di Maometto, colui che li aveva scagliati contro gli infedeli al grido: «Uccideteli ovunque vi imbattiate in loro». Secondo Francesco Gabrieli, per infedeli Maometto intendeva i «pagani idolatri della Mecca» che lo avevano costretto a fuggire a Medina, dove si scontrò coi «cavillosi, beffardi Giudei», ma i beduini arabi interpretarono l'incitamento seguendo il proprio istinto «di guerra e di rapina», e si lanciarono sul «pane del mondo», il ricco impero persiano prima, quello romano d'Oriente poi, travolgendo ogni ostacolo, stendendo sull'ellenizzato mondo mediterraneo una coltre di primitiva barbarie. La parola di Maometto fu la scintilla su una polveriera «rimasta all'asciutto nel deserto, e le fiamme si levarono al cielo da Delhi a Granada». Allo slancio iniziale subentrò la sazietà della conquista, il fiorire della civiltà araba, l'affievolirsi della fede, la decadenza. A intervalli regolari si presentano sulla scena musulmana nuovi eroi, tra i quali possiamo citare il Saladino, che strappa Gerusalemme ai crociati; poi Abdul Wahab che due secoli e mezzo fa restituì all'Islam l'iniziale purezza; oggi Khomeini, Gheddafi, ed altri, che rilanciano la sfida islamica. Soltanto il settarismo tribale, portato in tutto il mondo musulmano dai primitivi beduini arabi, impedisce, come ha sempre impedito, un'azione unitaria islamica. Il solo punto di coagulo lo hanno trovato nel petrolio, sfruttato non per una guerra santa totale, ma come conseguenza del temperamento, oggi più raffinato, «di guerra e di rapina», che scatenò le prime masse di beduini arabi a conquistare le «ricchezze del mondo», dalle quali erano sempre stati esclusi. - L'odierno sussulto musulmano, nota ancora Francesco Gabrieli in questo suo messale-strenna sull'arabismo, in cui c'è anche molto da vedere oltre che da leggere (la cultura e l'arte araba in Italia sono trattate da Umberto Scerrato), è ancora l'esplosione islamica contro il mondo della civiltà meccanica, ed il ricatto del petrolio, oltre ad essere una riedizione in chiave moderna della tendenza alla «guerra e rapina», può essere interpretato come la vendetta di Paesi a lungo soggiogati dall'imperialismo colonizzatore. Però, oltre al petrolio, non vi sono salde intese fra musulmani. Se inizialmente la fede funzionò da catalizzatore, più tardi, ed ancora oggi, gli scismi e la conflittualità tribale rendono pressoché impossibile la formazione di un fronte unico musulmano. Già si vede come la repubblica islamica del Pakistan, di fede ismailita, non leghi con quelle sciite del vicino Afghanistan e dell'Iran. Già nel 1154, sostando a Damasco, Ibn Gubayr elencava un buon numero di sette eretiche in cui si era diviso lo sciismo che aveva il predominio in Medio Oriente. Ancor più numerose sono le sette eretiche nel mondo sunnita. La religione non è più elemento catalizzatore, Gheddafi non può intendersi con Khomeini come non si intende con Sudai, Burghiba e Hassan II del Marocco. Rimane il petrolio e, per quanto divisi in moschea, i musulmani ritrovano identità di interessi fra pozzi, derriks e pipelìnes. Francesco Rosso La bella e il cammelliere: un acquerello di Bruno Caruso