Il presidente Pertini a Padova di Giuliano Marchesini

Il presidente Pertini a Padova Il presidente Pertini a Padova (Segue dalla 1 ' pagina) «Sandro. Sandro». E lui risponde con il gesto dell'abbraccio. Nella sala mensa del Petrolchimico, settecento operai aspettano il Presidente della Repubblica. E quando Pertini entra, è uno scroscio di applausi. Una scolara gli offre un mazzo di rose, riceve in cambio un bacio. Su tutto, il gran peso della tragedia di Silvio Sergio Gori. Dice il direttore dello stabilimento, ing. Tagliercio: «I tempi calamitosi che minano da vicino il tessuto sociale del Paese non sono purtroppo estranei alla realtà produttiva del nostro Petrolchimico». L'operaio Vito De Bortoli parla per il consiglio di fabbrica: ...Voi riconfermiamo a lei. signor Presidente, quello che ha già detto un nostro compagno durante l'imponente manifestazione che abbiamo fatto due ore dopo l'assassinio di Gori: è stato ammassato un lavoratore, è stato ammassato uno di noi». E Pertini risponde: non un, discorso, «ma soltanto due parole». «Io non potevo non sostare qui per esprimere a voi tutti la mio piena solidarietà dopo questo nuovo, barbaro assassinio consumato dalle Br contro un lavoratore. Sergio Gori. Vorrei che mi ascoltassero i dirigenti e gli intellettuali, che avvertissero la maturità della classe operaia. Nei miei giovani anni vi era una frattura tra l'operaio propriamente detto e i dirigenti dell'azienda. Io sentimi stamattina il compagno che ha parlato da questo microfono definire Sergio Gori "il compagno Sergio Gori", il "lavoratore Sergio Gori" caduto nella lotta. Prendano atto i dirigenti. • prenda atto la classe politica di questo enorme passo avanti fatto dal movimento operaio, che non si chiude più in se stesso, e non considera lavoratori soltanto quelli che compiono un lavoro manuale, ma anche, quelli che compiono un /aiioro intellettuale e creativo». Che cosa vogliono queste Brigate rosse? domanda gonfio d'angoscia il Capo dello Stato. «Non vengano a dirci con i proclami che si battono per una nuova società. Essi vogliono distruggere in realtà questa società basata sul lavoro. Chi sta dietro di loro? Hanno trovato i messi, oh compagni, lauti mezzi. Di dove ricevono questo denaro, chi dà loro queste armi, perché hanno scelto proprio l'Italia per scardinare il movimento e il sistema democratico?»: e nelle «due parole» del Presidente, tutto lo slancio combattivo di Pertini: «lo mi sento un po' ringiovanito perché in questa lotta torno in prima linea con voi. Le minacce che giungono, non solo non turbano il mio animo, ma lo ringiovaniscono. Vuol dire che. essendo anch'io bersaglio delle Br. riprendo la lotta di allora contro il fascismo. Io considero il Quirinale non come un posto in cui si debba oziare, ma come, un avamposto sulla lotta del terrorismo». Il Capo dello Stato ricorda gli enormi sacrifici della guerra di liberazione. «Quanti operai e contadini, signori, io ho incontrato nel mio pellegrinare di carcere in carcere, di isola in isola durante il fascismo!». Aggiunge: «Ci siamo battuti nella Resistenza e nella lotta antifascista per la democrazia e per la Repubblica. La democrazia e la Repubblica appartengono soprattutto alla classe lavoratrice italiana». E conclude: «Ebbene, compagni di Porlo Marghera, allora abbiamo lottato per conquistare la democrazia e la Repubblica; oggi siamo qui per una nuova resistenza, per difendere la democrazia e la Repubblica die sono una conquista nostra». Pertini lascia Marghera tra le selve di braccia che si agitano nel segno del saluto. La macchina imbocca la via del Brenta e una mezz'ora dopo il Presidente è a Padova. Per questa visita, a Padova si è stesa una rete di forze dell'ordine. File di camionette nelle piazze, per le vie del centro e della periferia: si calcola che siano circa 5 mila gli uomini impiegati. Entrando nel palazzo universitario, Pertini scioglie con il suo calore l'ansia che lo circonda. Poi, la cerimonia nell'aula magna dell'ateneo patavino dalle pareti cariche di stemmi, tra l'apparato austero delle toghe e degli ermellini. E qui. nel momento in cui il rettore Luciano Merigliano attacca l'Autonomia nel tenere la relazione, esplode l'inciden te di cui sono protagonisti i radicali: l'on. AlessandroTes sari e Stefano Modena, segretario regionale del pr, sono seduti tra il pubblico in mezzo alla sala. D'un tratto, mettono in mo stra due cartelli che tenevano arrotolati. Sul primo c'è scritto: «Pertini. ti hanno pulito le strade come facevano col du ce, per mostrarti una città che non è quella vera». E sull'altro: «Pertini. non farti stru mentalizzare dal compromes so di regime». Il rettore s'arresta nel discorso, guarda sbalordito ed esclama: «Questo non è un palcoscenico». C'è cqfpgrda uno scompiglio, nella sala: Tessari è rimbeccato da Arrigo Boldrini, segretario nazionale dell'Anpi, i cartelli si ripiegano nel trambusto. Riprende la cerimonia, ma la tensione resta nell'aria. Dopo Merigliano, parla il rettore dell'Università di Genova, presidente della Conferenza permanente dei rettori. E una studentessa, Annalisa Angelini, a nome della sezione universitaria democristiana, della federazione giovanile comunista e della gioventù liberale, mette in evidenza il profondo malessere dell'ateneo patavino, con accenti di critica nei confronti della conduzione. Pochi minuti dopo, un altro clamoroso episodio turba questa mattinata piena d'affanni nell'ateneo. E' quando il prof. Angelo Ventura s'accinge a salire sul podio per tenere la prolusione all'anno accademico, impostata su una analisi del terrorismo. Ventura è stato ferito ad un piede durante una sparatoria, da uno dei componenti il «comrnando» che gli aveva teso un agguato. Prima che il docente cominci il suo discorso, il Capo dello Stato gli si fa incontro, va ad abbracciarlo. In quell'istante, scoppia di nuovo il trambusto nel settore dove hanno preso posto i radicali. Qualcuno del gruppo di rappresentanti dell'Associazione partigiani dice rivolto a Tessari: .. Vediamo se applaudite Ventura». L'esponente del pr replica: «Noi non abbiamo problemi, per applaudire Ventura. Non applaudiamo questa sceneggiata di regime». Poi grida rivolto a Pertini: «Non ti lasciare militarizzare». Il Presidente, che è tornato a sedersi davanti al podio, coglie le frasi, si alza di scatto, estremamente teso, le mani serrate, fronteggia Tessari ed esclama: «Dovreste abbracciarlo anche voi se siete, come me, contro la violenza, da qualunque parte venga». Visi impalliditi, momenti pesanti, poi il Presidente riprende il suo posto. La cerimonia giunge al termine nella calma. Quando scende lo scalone del Bo, Pertini trova nel cortile vecchio un fiume di studenti che l'attendono: al suo passaggio, è un'ondata quasi travolgente. Partecipando ad un'altra cerimonia, al Palazzo della Ragione, tra i rappresentanti .della Regione e della città, il Capo dello Stato conclude questa sua lunga giornata, carica di emozioni. Un giornalista televisivo gli chiede: «Signor Presidente, come reagisce ad un nuovo attentato?». Pertini risponde: «Un'angoscia. Questo popolo avrebbe il diritto di vivere in pace, invece è turbato da questo terrorismo, una malapianta che noi tutti, d'accordo, dobbiamo sradicare dal nostro Paese. E ci riusciremo. La strada maestra è quella di non transigere, di rimanere tutti uniti dì fronte ai terroristi, di cercare dove si trovano e colpirli senza nessunapietà». Un'altra domanda: «Se lei si trovasse di fronte uno di loro, che cosa gli direbbe?». «Se avessi di fronte questi giovani, chiederei loro prima di tutto cosa sono, e chi li spinge a fare questo. Li metterei di fronte* alle loro responsabilità, a quello che di disumano compiono contro gli italiani, al disordine che creano. Cercherei di convincerli di questo. E se non ci riuscissi, non ci sarebbe che colpirli inesorabilmente». Giuliano Marchesini , Pd Ki dili Padova. Ksponenli radicali con cartoli di protesta davanti all'Università (Tclelbto)

Luoghi citati: Genova, Italia, Padova